Mozione n. 40

CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA

XVILegislatura

Mozione n. 40

LAI – COCCO sulla gravità del processo in atto del regionalismo differenziato che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla Sardegna e su tutte le regioni meridionali.

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IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO che:
– l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ha introdotto la possibilità di conferire con legge “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni che ne facciano richiesta, secondo una logica di efficienza e prossimità, tenendo conto delle peculiarità e specificità delle stesse, rafforzandone il principio di sussidiarietà con lo Stato, escludendo la possibilità di dare vita arbitrariamente a nuove regioni a statuto speciale o di prefigurare una via alla secessione rispetto ai principi costituzionali fondamentali;
– l’articolo 117 della Costituzione, rubrica 23, comprende materie che possono essere delegate “a condizioni particolari”, di cui venti sono di potestà legislativa concorrente mentre quelle riguardanti l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, che toccano parti vitali della vita istituzionale e sociale, sono di esclusiva pertinenza dello Stato;
– lo Stato, nel segno del principio di sussidiarietà, ha il dovere di fissare primariamente le condizioni di parità ed i LEP (livelli essenziali di prestazione), nell’alveo di uno schema di integrazione nazionale che valorizzi la vocazione autonomistica dei territori, vincolando la potestà legislativa sui principi fondamentali ed entro limiti certi, al fine di scongiurare il rischio di un caos istituzionale;
– è fondamentale interpretare correttamente l’autonomia differenziata significa dare la giusta responsabilità al governo del territorio, evitando una divisione del Paese per censo, in particolare tra il nord e il sud, di accordare alle singole Regioni l’esercizio di competenze essenziali come per esempio sanità, istruzione e ambiente, poiché ciò rappresenterebbe una forma di celato secessionismo o di federalismo improvvisato che andrebbe contro i principi di solidarietà nazionale sanciti dall’articolo 5 della Costituzione;

CONSIDERATO che:
– sorgono rilevanti perplessità sulla legittimità dell’attribuzione di ulteriori forme di autonomia – come richiesto da alcune regioni – su tutte le materie previste dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione in quanto, a detta di numerosi costituzionalisti, nel caso ciò non avvenga con un meccanismo alternativo di definizione delle risorse finanziarie potrebbe derivarne un aumento dei trasferimenti dal centro alla periferia ricca del Paese;
– la solidarietà costituzionale è un dovere dello Stato verso e tra le regioni, che non si possono dividere tra donanti e beneficiarie, riversando una parte della fiscalità prodotta come un contributo di solidarietà del nord verso il sud come se fosse di sua pertinenza, tanto è vero che il gettito proveniente dalla fiscalità sostiene la spesa collettiva su tutto il territorio a garanzia dell’espressione unitaria del sistema su cui si regge il quadro generale della finanza pubblica;

RILEVATO che:
– da una prima valutazione delle bozze di intesa tra lo Stato e le regioni richiedenti emerge che qualora entro un anno non venissero determinati i costi standard per singole materie, cosa assai probabile, la misura di riferimento per il trasferimento delle risorse per l’attuazione delle nuove competenze alle regioni passerebbe al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle funzioni interessate e, comunque, non inferiore alla spesa storica, cui conseguirebbe un aumento significativo della spesa pubblica stravolgendo gli equilibri di redistribuzione delle risorse tra i diversi territori, a discapito delle regioni che non hanno attivato il meccanismo dell’autonomia differenziata;
– la funzione redistributiva delle ricchezze svolta dallo Stato attraverso la tassazione (articolo 53 della Costituzione) verrebbe definitivamente soppiantata da un sistema in cui i ricchi di ciascuna Regione garantirebbero solo i diritti dei poveri del proprio territorio, in violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui deve farsi garante attivo lo Stato (articolo 3, secondo comma, della Costituzione), originando un’insostenibile sperequazione tra i cittadini delle diverse regioni ed in particolare nei confronti dei cittadini del sud, lasciando così indeterminato e frammentario un tema centrale ed essenziale per la tenuta dell’unità del Paese;
– la richiesta di trattenere nei territori il cosiddetto residuo fiscale spingerebbe il Paese verso un sistema di fatto confederale, cristallizzando diritti diversi a seconda della residenza, dando vita a tante cittadinanze quante sono le regioni con contenuti incomparabili e discriminatori, in base a criteri che accrescono i divari e peggiorano i livelli dei servizi pubblici locali (quando presenti);

DATO ATTO che:
– le ricadute di questa forma di autonomia sarebbero gravi e pregiudizievoli per le Regioni con rilevanti criticità come la Sardegna, che presentano un PIL pro capite evidentemente molto basso, con il rischio, nei fatti, di produrre una prevalenza di interessi particolari su quelli generali, mettendo in discussione i principi fondamentali alla base del nostro ordinamento costituzionale;
– il sistema dell’istruzione pubblica come delineata dai Padri costituenti, che ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione dell’unità culturale del Paese, dove la rottura dell’unità di indirizzo e di gestione metterebbe in discussione la libertà di insegnamento ed il diritto di apprendimento con effetti devastanti sull’identità nazionale e sull’unitarietà del sistema di istruzione che ha costituito fino a oggi il collante culturale dell’Italia, con il rischio concreto della creazione artificiosa di un “federalismo scolastico” basato su diversi modelli educativi, formativi ed organizzativi e l’aggravante di un diritto allo studio differenziato, legato alle risorse dei territori, non equilibrato che amplierebbe il divario tra le regioni, in particolare tra quelle del nord e quelle del sud;
– in campo ambientale avremmo conseguenze potenzialmente drammatiche per quanto concerne la gestione in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, delle risorse idriche, dei rifiuti, di bonifica dei siti inquinati, di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera ed infine per la prevenzione e ripristino ambientale riguardo alle trivellazioni e in materia di aree protette. Ancora, il trasferimento delle competenze su materie di grande interesse quali ad esempio i rifiuti (consorzi, fanghi di depurazione, compostaggio e produzione) ed il trasporto e la distribuzione di energia, obbligherebbe le imprese a confrontarsi con venti legislazioni regionali diverse e ad operare a diverse velocità, sia a livello nazionale che a livello locale, malgrado la tutela delle matrici ambientali sia tanto più efficace quanto più estesa ed uniforme;

RITENUTO che:
– per aggredire le drammatiche differenze sociali ed economiche che caratterizzano oggi il Paese è indispensabile una omogenea distribuzione dei doveri sull’intero territorio nazionale, compensando nel contempo, i disagi strutturali ed economici delle realtà territoriali meno fortunate;
– è sì necessario cambiare, ma senza disgregare, immaginando nuove funzioni e sinergie che ci colleghino all’Europa e mettano in risalto il ruolo dei comuni, sempre più frontiera strategica per la buona gestione della cosa pubblica, senza dividere ancora di più l’Italia in due, con la parte ricca che vuole esserlo sempre di più a discapito della parte più povera;
– la Sardegna, pur essendo un’isola ultraperiferica e con molte ragioni per rivendicare la propria “specialità” rispetto a tutte le altre regioni italiane, a conti fatti risulta essere tra quelle più danneggiate dall’attuazione del regionalismo differenziato,

impegna il Presidente della Regione e la Giunta regionale

1) ad opporsi al percorso intrapreso per la realizzazione dell’autonomia differenziata, che oltre ad accentuare le differenze esistenti tra le diverse aree del territorio nazionale, agirebbe anche come fattore di esasperazione delle divaricazioni sociali, con gravi ricadute negative per la Sardegna;
2) proporre, unitamente alle altre regioni, un progetto complessivo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da garantire su tutto il territorio nazionale, come sancito dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e dalla legge delega n. 42 del 2009;
3) presentare un progetto complessivo ed organico di riorganizzazione delle autonomie locali che ripensi in termini sistematici il rapporto dello Stato centrale, anche attraverso una ridefinizione del quadro degli enti intermedi e di secondo livello, garantendo, medio tempore, agli enti locali i mezzi necessari per “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite” (articolo 119, quarto comma, della Costituzione);
4) adottare un Piano straordinario di investimenti e di misure incentivanti, d’intesa con le regioni e le autonomie locali interessate, per realizzare infrastrutture, servizi ed opportunità al fine di recuperare il grave divario tra nord e sud del Paese in relazione anche a nuove forme di autonomia.

Cagliari, 24 luglio 2019

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