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SA DIE DE SA SARDINIA: L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE PAIS. CORDOGLIO PER MEREU.

Data: 28/04/2019 – Cagliari 

Cagliari, 28 aprile 2019

Signor presidente della Giunta,

assessori, colleghe consigliere e colleghi consiglieri un saluto a voi, alle autorità presenti e ai gentili ospiti che condividono con noi questo momento solenne in cui celebriamo la festa del popolo sardo.

Prima di dare il via alle celebrazioni per Sa Die credo però sia doveroso ricordare la figura di Salvatorangelo Mereu, ex presidente di questo Consiglio regionale nei primi due anni della X legislatura, dal 17 luglio 1989 al 26 novembre 1991, scomparso la notte scorsa, all’età di 84 anni, Sindaco di Senorbì per oltre 20 anni, Lello Mereu è stato una figura di primissimo piano del Partito Socialista. Consigliere regionale per 11 anni, Mereu è stato anche assessore all’Ambiente nella Giunta presieduta da Antonello Cabras.  Nella sua lunga stagione politica è sempre stato un punto di riferimento per la sua vicinanza alle problematiche sociali.

Particolarmente apprezzata era la sua grande carica di umanità e la sua lealtà nei rapporti istituzionali. Nel formulare le più sentite condoglianze ai familiari, esprimo il profondo cordoglio dell’intero Consiglio e mio personale e sospendo la seduta per un minuto in segno di cordoglio.

Credo di interpretare i sentimenti dell’intero Consiglio regionale rivolgendo, in questa giornata, un saluto e un augurio a tutti i sardi. Vorrei fossero oggi idealmente con noi a formare una grande comunità di uomini e donne che, pur dovendo affrontare le difficoltà del presente, sia pronta ad assumersi le proprie responsabilità e a lottare unita per assicurare un futuro migliore ai propri figli.

Un saluto particolare va a chi soffre: ai malati, ai bisognosi a chi ha perso il lavoro e a chi ancora non lo ha trovato. A tutti coloro che contribuiscono a mandare avanti il “sistema Sardegna”: amministratori locali, forze dell’ordine, imprenditori, studenti e operatori culturali. Senza dimenticare i sardi che hanno lasciato l’Isola per lavoro o per studio e che quotidianamente, con il loro agire, tengono alto il nome della nostra amata terra nel mondo.

È con grande senso di responsabilità, di orgoglio e di fierezza che oggi ci troviamo riuniti in questa Assemblea per risvegliare e offrire nuovi spunti di riflessione alle nostre coscienze in una giornata ricca di significati storici, culturali e sociali.

Sono passati quasi 26 anni dal varo della legge regionale n.44, approvata da questo Consiglio il 4 agosto del 1993 e promulgata dal presidente della Regione il 14 settembre dello stesso anno. Con quella legge venne istituita Sa Die de Sa Sardigna, giornata nazionale del popolo sardo da celebrarsi ogni anno il 28 di aprile, in ricordo dell’insurrezione popolare avvenuta lo stesso giorno del 1794 e che portò alla cacciata da Cagliari e dalla Sardegna dei piemontesi e del viceré Balbiano.

Quel provvedimento, frutto di un ampio e franco confronto che coinvolse tutte le forze politiche rappresentate in Aula, segnò l’avvio di una nuova stagione politica più attenta ai temi delle identità e dei diritti delle piccole patrie. Quella legge, al di là dei pur significativi aspetti culturali, aprì una profonda riflessione politica sulla necessità di pensare a una nuovo modello di gestione dell’istituto autonomistico, di guardare alla nostra specialità tenendo conto del mutare dei tempi.

E’ proprio questo l’obiettivo che dobbiamo darci: restituire a Sa Die de sa Sardigna il suo significato originario. Una giornata che deve essere occasione per riflettere sul momento storico che attraversiamo, sulla nostra situazione economica e sociale, sul nostro essere sardi. Una riflessione che non può e non deve esaurirsi in quest’aula, ma deve coinvolgere tutta la società sarda.

Vorrei che ogni anno si andasse oltre con il pensiero, vorrei che ognuno di noi potesse riflettere sul vero senso che la Sarda Rivoluzione ha avuto a partire dal 28 aprile del 1794 in relazione, però, a quanto viviamo oggi e con lo sguardo proiettato verso il futuro. Solo se siamo capaci di far maturare le esperienze vissute in un ragionamento costruttivo e di grande efficacia, la strada tracciata da Giovanni Maria Angioy, da Michele Obino e il sacrificio di uomini coraggiosi come Francesco Cilloco, non saranno cancellati, ma ci consentiranno di avere sempre una luce come punto di riferimento per tutti.

La nostra presenza in Consiglio regionale, oggi, ha un grande significato. Il rispetto della data del 28 aprile, con il suo carico simbolico, rafforza il valore intrinseco della ricorrenza. Cosi come avviene il 2 giugno per la Festa della Repubblica e il 4 luglio per il giorno dell’Indipendenza negli Stati Uniti. Stesso discorso per tutti gli altri grandi eventi, laici e religiosi, della Sardegna: Sant’Efisio il 1° maggio, l’Ardia di Sedilo il 6 e 7 luglio, i Candelieri il 14 agosto, l’apertura del Carnevale barbaricino con l’accensione dei falò per Sant’Antonio Abate la notte tra il 16 e i 17 gennaio.
Per questo ritengo fuori luogo ricorrere a un freddo calcolo ragionieristico per contabilizzare i costi dell’apertura del Palazzo. Oggi è importante essere qui, non solo per celebrare il passato, ma soprattutto per costruire il nostro futuro, onorando le vite di uomini valorosi che hanno lottato per ottenere il sacrosanto diritto alla libertà.

E’ l’idea di una Sardegna da rispettare, da costruire, da difendere e liberare, da proiettare in un nuovo futuro che ha fatto di Giovanni Maria Angioy un riferimento sempre attuale, che oggi rinforziamo e con convinzione portiamo avanti.

«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria – scriveva Angioy nel suo Memoriale – la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione».

Dare una svolta significativa alla nostra Isola è l’impegno che abbiamo preso e che abbiamo già iniziato a portare avanti nell’interesse esclusivo dei sardi.

Se nel 1794 si era passati da una Sardegna asservita al feudalesimo ad una Sardegna libera, fondando nell’autonomia, nel riscatto della coscienza e dell’identità di popolo una nuova patria sarda, una nazione protagonista, così come scriveva Giovanni Lilliu, oggi dobbiamo promuovere un processo tale per cui si determini una vera e propria rivoluzione federalista.

I moti rivoluzionari del 1794, e in seguito il movimento angioiano, videro in prima fila le città di Cagliari, Sassari e Alghero. Quel particolare momento storico fu segnato da una perfetta saldatura tra città e campagna come sempre accaduto nei momenti salienti della storia sarda.
Una lezione di grande attualità: anche oggi sono i Comuni della nostra Isola a fare grande la Sardegna. Dai piccoli paesi, dalle zone interne e da quei luoghi indicati come terre dello spopolamento, così come dai grandi centri, deve partire una nuova spinta rivoluzionaria.

Penso, ad esempio, al Sulcis, all’Ogliastra, alla Barbagia. Il senso di comunità e di appartenenza deve restituire a chi abita quei territori spirito ed entusiasmo per costruire un futuro con solide basi.

Il rapporto Regione – Enti locali deve essere pianificato in quest’ottica. E’ arrivato il momento di dare gambe a quel decentramento amministrativo agognato da tempo. Di superare il concetto di periferia dando centralità a tutti i territori sardi, ridisegnando il sistema di enti e agenzie regionali con il trasferimento di alcuni snodi decisionali in aree oggi marginali. Un cambio di rotta che consentirebbe alle popolazioni e ai territori di sentirsi partecipi di un progetto comune.

I rapporti con lo Stato centrale, e questo è l’altro tasto dolente, hanno toccato in questi anni il punto più basso. La Sardegna sconta pesanti ritardi infrastrutturali e di sviluppo. La vertenza entrate è lungi dall’essere risolta, ai sardi non è neppure garantito il diritto fondamentale alla mobilità. La politica, senza distinzioni di schieramento, deve fare fronte comune in difesa dell’interesse supremo della Sardegna. Come? Anzitutto attuando tutte le prerogative previste dallo Statuto di Autonomia. Troppe, anche su questo fronte, sono state le titubanze e le timidezze. Occorre alzare il livello del confronto e difendere, senza esitazioni, i diritti del popolo sardo.

Ma detto questo, credo che siano ormai maturi i tempi per andare oltre e immaginare una profonda riforma del nostro istituto autonomistico che quest’anno raggiungerà i 71 anni di vita. E’ arrivato il momento di pensare ad un intervento innovativo sul nostro Statuto, prendendo come modello – perché no? – l’esempio del Trentino Alto Adige che negli anni è riuscito a dare forma compiuta al principio di autodeterminazione.

Più autogoverno e più federalismo, quindi, a questo deve aspirare la Sardegna per respingere le cicliche tentazioni neocentraliste dello Stato italiano.

È questo il messaggio che mi sento di rivolgere a questa Assemblea nella giorno della festa del Popolo sardo.

Solo così possiamo aspirare a un ruolo da protagonisti nello scenario nazionale ed internazionale. L’Europa e il Governo centrale devono guardare alla Sardegna con il rispetto che merita. La nostra Isola deve essere al centro di un dialogo programmatico con tutti gli altri Stati.

A questo proposito occorre guardare con grande attenzione al mutamento del quadro politico e sociale della comunità europea dove le spinte autonomiste e indipendentiste delle “nazioni senza Stato” si fanno sempre più pressanti.

Catalogna, Scozia, Corsica e Bretagna sono facce della stessa medaglia. L’Europa, pensata dai padri fondatori come un’unione egualitaria fra popoli è oggi in mano alla tecnocrazia e ai poteri finanziari. Occorre riappropriarsi di quel comune sentire, restituire all’Europa un orizzonte solidaristico di progettualità.

Su questo versante, la Sardegna insieme alle altre piccole patrie può offrire un contributo fondamentale. Occorre però rafforzare la nostra identità coniugandone i due elementi costitutivi: la nostra autocoscienza e la disponibilità al confronto con gli altri popoli.

E’ questo il messaggio da mandare ai giovani. A loro voglio rivolgermi: non ha senso guardare al futuro di questa Regione non riconoscendo loro un ruolo da protagonisti. I nostri ragazzi devono conoscere il mondo, fare esperienza, ma rivendicando con orgoglio e fierezza il loro senso di appartenenza. A partire dalla conoscenza delle proprie radici e della propria lingua, elemento primario della nostra identità. “A un popolo puoi togliere la libertà ma continuerà ad esistere – ha scritto Francesco Masala – se gli togli la lingua quello stesso popolo morirà”. Questo Consiglio ha fatto importanti passi in avanti nella difesa del sardo, del catalano e delle altre parlate alloglotte della Sardegna. Manca però un passaggio fondamentale: la libertà di insegnare la lingua ai nostri figli nelle scuole sarde di ogni ordine e grado. Per far questo occorre riscrivere lo Statuto e rimediare ad un errore storico dei padri costituenti.

Allo stesso tempo occorre rafforzare il sistema dell’istruzione. Scuola e Università vanno messe al centro della nostra programmazione. Serve un impegno prioritario e costante: è fondamentale avere basi solide per costruire il domani della nostra terra partendo da una formazione seria di giovani responsabili e determinati.

Con il loro bagaglio culturale e linguistico, aperto al confronto con il mondo, i giovani potranno essere ambasciatori di una Sardegna che produce conoscenza, che tiene vivo il filo della memoria e che si proietta negli scenari politici e sociali di domani con autorevolezza.

“Bisogna prendere coscienza del proprio passato per farne il dispositivo che apre ad una nuova storia capace di speranza progettuale e di programmazione operativa – ha scritto Bachisio Bandinu – La costruzione di una nuova scena politica ed economica, sociale e culturale deve procedere dalla sfiducia alla stima di sé, dal risentimento ossessivo alla proposta costruttiva, dal fatalismo alla progettualità”.

Oggi si celebra la festa del popolo sardo e noi siamo un grande popolo, lo siamo stati nei momenti più difficili del passato e dobbiamo continuare ad esserlo.

“La scommessa – come diceva Nereide Rudas – è quella di far mantenere ai giovani sardi una rinnovata autoconsapevolezza della loro specificità: di far diventare i giovani sardi cittadini del Mondo, conservando i significati e i valori della loro piccola patria. Ma la scommessa è anche quella di farli diventare veri abitanti della Sardegna, in quanto abitanti del Mondo.
Potremo così metterci alle spalle le sconfitte, le illusioni e le de-lusioni, le vergogne, le invidie, i naufragi e camminare liberi, a viso aperto, insieme agli altri popoli della terra”.

Bona Die de sa Sardigna

Bona jornada de Sardenya

Michele Pais

Presidente Consiglio regionale della Sardegna

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