Versione per la stampa http://www.consregsardegna.it/wp-content/plugins/print-o-matic/css/print-icon-small-black.png


Sa Die de sa Sardigna: le figure di Eleonora d’Arborea e di Emilio Lussu

La scelta di dedicare ad Eleonora d’Arborea e ad Emilio Lussu le manifestazioni di quest’anno riguardanti “Sa Die de sa Sardigna”, appare puntuale oltrechè rappresentare un omaggio a due personaggi così importanti.
Si tratta di due figure, una donna ed un uomo, che, pur in contingenze storiche fra loro lontane e diverse, hanno lasciato alla nostra terra, straordinari, fondamentali contributi del loro impegno civile; hanno saputo dare risposte a importanti problemi, che attendono da noi una evoluzione ulteriore, nei modi propri del nostro tempo.
Loro principale impegno, prima nel medio evo sardo, e poi nella prima metà del ’900, è stata la costruzione di un sistema di valori alti e condivisi, basati su una profonda conoscenza della realtà civile locale e delle migliori culture internazionali del tempo.
A questo – come ulteriore esemplare paradigma – si è aggiunta la capacità di definire precisi strumenti politici e giuridici, che guidassero la pratica condivisione sociale di quei valori.
Così ad Oristano, nel 1392, è nata la Carta De Logu, che ha operato per quasi cinque secoli, sino al 1827; così Lussu – mettendo a frutto la sua lunga esperienza di guida di importanti forze sarde e nazionali – ha inciso nell’impianto della Costituzione repubblicana, pervasa da principi di giustizia sociale e di autonomia istituzionale.
Abbiamo avuto, quindi, importanti indicazioni di metodo, nella storia regionale, per la costruzione della nostra autonomia, e successivamente della nostra democrazia, che hanno prodotto importanti risultati anche se forse non conformi alle speranze.
Oggi è diffusa in Sardegna la consapevolezza di essere ad una svolta nella vita della società e delle nostre istituzioni e di dover dare risposte più adeguate alle grandi speranze di benessere, di equità, di libera partecipazione alle più ampie relazioni umane, che il nostro popolo manifesta.
Si tratta, innanzitutto, se non si vuole fallire, di capire bene quali sono stati i limiti delle passate esperienze e, partendo da essi, definire una proposta..
Se guardiamo, infatti, alla qualità dei gruppi dirigenti sardi nei momenti chiave della costruzione delle istanze e delle attività autonomistiche, troviamo un’ampia rappresentanza di figure di rilievo, di uomini e donne impegnati nella vita pubblica con saggezza e onestà d’intenti. Questo, per esempio, negli anni degli albori del nostro autonomismo organizzato – i primi anni ’20 del ’900 – o nel secondo dopoguerra, nell’esperienza della Consulta regionale, della Costituente, nelle prime legislature della Regione.
I profeti dell’autonomia – Tuveri, Asproni, Bellieni e Lussu –, i grandi movimenti di massa che l’hanno proposta nel primo e secondo dopoguerra del ’900, hanno concepito la nostra capacità di autogoverno e di emancipazione come un fatto economico, culturale, di liberazione sociale; ma anche, e non meramente in senso strumentale, come originale strumentazione dei poteri istituzionali.
Anche i nostri gruppi dirigenti regionali, nei primi 50 anni di vita della Regione, si sono adoperati per creare le condizioni – sostanziali e formali – per rendere effettiva, dinamica e piena, l’autonomia: grandi eventi sono stati percorsi, come il Piano di Rinascita, l’età della contestazione verso lo Stato, l’unità autonomistica, e altre ancora. Spinte materiali e ideali che via via, come si dice, hanno perso la loro forza propulsiva.
Oggi abbiamo necessità di nuovi valori e di nuovi strumenti, per aprire la nostra vita regionale – sociale e istituzionale – a nuove e più mature prospettive.
La tutela della specialità regionale, per esempio, trova radici nelle forti ragioni storiche che hanno fondato, fra ‘800 e ‘900, la stessa idea di Repubblica autonomistica; ma, oggi, nel vivo dell’esperienza degli ultimi decenni, anche in nuove ragioni, che si misurano con i problemi della contemporaneità essa ha perduto originalità.
Alla tradizionale impostazione economicista dell’autonomia speciale, basata peraltro sulla obiettiva insopportabile arretratezza materiale, si sono aggiunte, e forse sostituite, altre ragioni che fondano la necessità di forti autonomie regionali differenziate.
Così, per esempio, ragioni materiali e geografiche, come l’insularità, la fragilità e il pregio delle condizioni ambientali, la collocazione di medietà fra popoli e regioni fisiche; ma anche ragioni di identità e di capacità di integrazione internazionale, economica e culturale, di idee sulla stesa vita e sui sistemi di convivenza maturati in condizioni storiche peculiari, anche in rapporto a competenze tradizionalmente statali, come la tutela del territorio, la protezione civile, i prezzi delle produzioni tradizionali, la pace, la giustizia, la sicurezza pubblica, le relazioni internazionali.
Proprio in queste nuove direzioni della specialità regionale potrebbe trovare contenuti quell’esigenza di nuova soggettività culturale e politica da porre come base di una Repubblica plurale, costruita sulle diversità e sulla ricchezza delle culture.
In questo senso potrà costruirsi una nuova fase dell’autonomia basata sull’individuazione di valori ed il perseguimento di conseguenti risultati, e non solo sulla tutela di cataloghi di competenze.
Lo Statuto regionale, gli Statuti locali, la nuova idea di Regione diffusa è la prima grande questione con cui dobbiamo misurarci.
Esiste un ampio e intelligente dibattito internazionale sulle forme di democrazia, sull’uso condiviso delle risorse, sui modelli di sopravvivenza e di convivenza.
Dobbiamo trarne profitto e arricchire la nostra lunga riflessione sul federalismo, interno alla Regione e nel Paese, sui valori e sugli strumenti che dovranno comunque dare sostanza ad una nuova fase dell’autonomia sarda e il Consiglio Regionale ha già avviato questa fase.
Il contesto nuovo in cui si pongono ormai da decenni le questioni dei diritti condivisi, può suggerirci strade nuove da percorrere. Il nuovo patto statutario, di livello costituzionale, che ci attende, potrà e dovrà cioè trovare soluzioni per garantire questo nuovo quadro di certezze giuridiche e sostanziali, in una rete formale non solo regionale.
Vanno riaffermati innanzitutto i tradizionali fondamentali diritti al lavoro, ad una vita libera, ad una emancipazione dal bisogno, alla pace, alla democrazia politica ed economica.
Oggi le linee di un possibile sviluppo in questa direzione del nostro sistema istituzionale, nazionale e regionale, non solo non sono chiare, ma appaiono fortemente compromesse nella Legge Costituzionale approvata dal Parlamento e su cui abbiamo manifestato la nostra contrarietà.
L’Assemblea regionale deve, in questo contesto, riflettere su come assicurare la sua stessa funzione. Con l’adozione della cosiddetta legge statutaria il Consiglio deve stabilire i nuovi modi di confronto funzionale e di equilibrio tra le forze politiche, definendo la forma di governo – innanzitutto nei rapporti tra Giunta e Consiglio –, la legge elettorale, le forme dell’iniziativa popolare, i referendum; un nuovo rapporto con gli Enti Locali, Comuni e Province, cui vanno affidate competenze nuove che alleggeriscano la Regione e la sua elefantiasi ridefinendo i termini fondamentali dei rapporti con i cittadini, le forme della rappresentanza e delle concrete modalità di una nuova democrazia regionale, più intensa e partecipata.
Compiti nuovi e impegnativi ci attendono, quindi: la definizione formale e sostanziale della nostra collocazione, come sardi, nel contesto nazionale e internazionale, la costruzione di nuove realtà di democrazia e benessere al nostro interno.
Per quanto attiene al metodo da adottare per la nostra necessaria iniziativa, è utile ancora ricordare Lussu: intervistato nel ’57 sulle necessità di modifica dello Statuto sardo del ’48, il senatore di Armungia raccomandava lo studio attento dei problemi, sino a produrre proposte chiare, difficilmente controvertibili in sede nazionale. E sottolineava, infine, l’opportunità di ogni sforzo perché si maturassero proposte condivise da tutte le forze politiche.
Questi lontani suggerimenti conservano ancora oggi la piena attualità.
Anche nell’odierna occasione di dibattito e approfondimento possiamo definire una tappa non rituale di questo percorso.

Condividi: