CCXXIX SEDUTA
MARTEDI'20 APRILE 1993
Presidenza del Presidente FLORIS
indi
del Vicepresidente SERRENTI
INDICE
Congedo ..................................
Interrogazioni (Annunzio) ....
Proposta di legge Satta Gabriele - Satta Antonio - Marteddu - Amadu - Dettori - Ferrari - Manchinu - Sardu - Zucca - Desini - Baghino: "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante 'Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale'" (386). (Discussione):
DADEA ...................................
SATTA GABRIELE, relatore di maggioranza
PLANETTA, relatore di minoranza
COGODI .................................
SATTA ANTONIO .................
MANCHINU ..........................
La seduta è aperta alle ore 17 e 04.
MULAS MARIA GIOVANNA, Segretaria, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana di giovedì 15 aprile 1993, che è approvato.
Congedo
PRESIDENTE. Comunico che il consigliere regionale Augusto Onnis ha chiesto di poter usufruire di un giorno di congedo a far data dal 20 aprile 1993. Se non ci sono opposizioni il congedo si intende accordato.
Annunzio di interrogazioni
PRESIDENTE. Si dia annunzio delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MULAS MARIA GIOVANNA, Segretaria:
"Interrogazione Onida, con richiesta di risposta scritta, sulle gravissime conseguenze dell'apertura di una nuova strada nel parametro dell'istituendo parco del Sinis-Montiferru". (536)
"Interrogazione Serrenti - Meloni - Planetta - Ortu - Puligheddu - Ladu Giorgio - Demontis, con richiesta di risposta scritta, sullo stato della spiaggia della 'Pelosa' a Stintino". (537)
"Interrogazione Pau, con richiesta di risposta scritta, sulla chiusura dell'impianto di macellazione di Nuoro e sulla crisi del comparto zootecnico isolano". (538)
Discussione della proposta di legge Satta Gabriele - Satta Antonio - Marteddu - Amadu - Dettori - Ferrari - Manchinu - Sardu - Zucca - Desini - Baghino: "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, recante 'Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale'". (386)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge numero 386; relatore di maggioranza Gabriele Satta, relatore di minoranza Planetta.
Ha domandato di parlare l'onorevole Dadea. Ne ha facoltà.
DADEA (P.D.S.). Signor Presidente, siccome era intenzione del relatore di maggioranza poter svolgere compiutamente in Aula la propria relazione, volevo chiederle soltanto qualche minuto di sospensione per potergli eventualmente consentire di raggiungere l'aula.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni sospendiamo la seduta del Consiglio per dieci minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17 e 07, viene ripresa alle ore 17 e 14.)
PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta.
Dichiaro aperta la discussione generale. Ha facoltà di parlare l'onorevole Gabriele Satta, relatore di maggioranza.
SATTA GABRIELE (P.D.S.), relatore di maggioranza. Signor Presidente, colleghi del Consiglio, la tornata di lavori che si apre è una tornata particolarmente significativa, credo di quelle che comunque lasciano il segno in una legislatura. Dopo un periodo di travagliata gestazione arriva in Aula un provvedimento di legge che avvia in maniera decisiva la possibilità di approvazione dei piani territoriali paesistici così come concepiti dalla legge regionale numero 45 dell'89.
In un discorso rimasto ormai famoso nella storia politica contemporanea, recentemente ritornata alla ribalta per rievocazione di cronaca, Martin Luther King diceva: "I have a dream; ho un sogno, sogno che bianchi e neri possano stare insieme". Ebbene, io e la Commissione urbanistica, abbiamo un sogno, quello di una Sardegna libera dal bisogno di vendersi, libera dal pericolo di una morsa di cemento sul suo bene più prezioso. Questa è l'ispirazione che ha condotto i lavori della Commissione nel suo faticoso cammino; Commissione della quale, come i colleghi sanno, ho avuto l'onere e l'onore della Presidenza a partire solo dal 6 aprile ultimo scorso.
Intendo recitare in quest'Aula, spero puntualmente, il ruolo che al relatore di maggioranza spetta, cioè quello di una prospettazione quanto più possibile obiettiva del risultato e dell'andamento dei lavori, del contenuto e del merito; una rappresentazione spoglia cioè da personalismi e da particolarismi; problema del quale il dibattito che stiamo aprendo probabilmente potrebbe essere affetto. La Commissione ha svolto un ruolo particolare in questo caso, poiché la legge "45" assegnava al Consiglio il compito di approvare in via definitiva i piani, la Commissione si è trovata, con una scadenza molto ravvicinata e senza grandi supporti, né di conoscenza, né di aiuto tecnico, a dover affrontare questa complessissima tematica e a dover rispettare contemporaneamente i tempi.
Parlo quindi del lavoro che la Commissione ha svolto sotto altra Presidenza, cui va dato atto dell'ottima impostazione del lavoro e sotto la Presidenza del sottoscritto nelle ultime due settimane di lavoro. Ha avuto, cioè, la Commissione, in un certo senso, un qualche ruolo di supplenza rispetto a un percorso nel quale il ruolo della Giunta, che già era affievolito dalla legge, si è vieppiù affievolito per decisione, diciamo così, separatamente congiunta dei due organi, della Commissione e della Giunta; la Commissione avendo pensato di agire meglio e più serenamente in una certa parte dei suoi lavori senza la compresenza della Giunta, la Giunta avendo accettato questo principio e avendo lasciato comunque che la Commissione portasse a termine in solitudine questo suo lavoro.
E sono qui a testimoniare dunque della serenità e della serietà del lavoro che è stato svolto nella Commissione stessa prima, durante e dopo le polemiche insorte. E sono qui anche, io ritengo, a interpretare comunemente lo spirito che ha animato il lavoro dei colleghi nel respingere con sdegno al mittente ogni marchio di infamia, di schizofrenia, di demagogia e di populismo che è stato scagliato nei confronti del prodotto che la Commissione ha esitato. Non abbiamo avuto e non manteniamo alcuna vocazione al martirio; non diciamo che comunque tutto o è così o sarà il diluvio, ma ugualmente non abbiamo alcuna inclinazione alla codardia. Io credo che il voto che ieri l'Italia ha manifestato con i referendum ha chiesto chiaramente di cambiare il modo di fare politica. Bene, cominciamo noi dicendo: su la testa, e non è una citazione di una frase cabarettistica.
Non ci sono contrasti tra la Giunta e la Commissione, lo ha dichiarato il Presidente della Giunta e sono qui a ribadirlo. Chi lavora su questo versante cura interessi politici e non politici diversi da quelli su cui invece la Giunta regionale per suo conto e la Commissione consiliare, per suo, ma congiuntamente come indirizzo, vogliono perseguire. E lavora anzi per destabilizzare politicamente un equilibrio che sta producendo i suoi frutti.
E' chiaro che non tutto è stato definito e che non tutto è perfetto; non credo che nessuno di noi abbia questa mania di essere portatore del verbo, però quello che abbiamo raggiunto è quello che proponiamo all'Aula: un punto fermo di reale la salvaguardia di un patrimonio irripetibile, premessa per una migliore valorizzazione del patrimonio stesso; di questo siamo fermamente convinti. Si tratta, comunque vadano le cose, di un successo politico importante; è l'avvio alla conclusione di un iter travagliato, lo ripeto, e anche la fine del provvisorio e di tutti i danni che il provvisorio ha recato, si abbraccia finalmente un'ottica di lungo periodo. Certo sono possibili miglioramenti, non solo da questa sessione di lavori (l'Aula, come si dice giustamente, è sovrana), ma anche in lavori che si faranno in altre sessioni, in altri tempi e forse con altri organismi.
Che cosa sono i piani paesistico secondo la legge 45 dell'89? Credo che i colleghi sappiano bene che la scelta che il legislatore regionale aveva effettuato alla fine della legislatura scorsa, e che è stata riconfermata dall'approvazione della legge in Aula nel dicembre dell'89, all'inizio della corrente legislatura, fosse un tentativo molto arduo, forse utopistico, ne parlerò più avanti, di voltare pagina e di porre come concetto fondamentale, il primato del progetto su tutto il resto della politica in materia urbanistica.
Forse c'era una carica utopistica, che peraltro ci hanno insegnato non debba mai mancare, almeno in una certa misura, per dare il segno delle decisioni importanti, nella legge 45 una carica utopistica probabilmente sulla stima delle capacità progettuali, tecniche e politiche della classe dirigente sarda nel suo complesso. Probabilmente questo dato di fondo è venuto poi a pesare lungo l'iter di redazione prima, di modificazione poi e di approvazione, o meglio di adozione dei piani territoriali paesistici.
Come pure probabilmente era insito nella stessa legge un errore di fondo, sul quale peraltro si discusse anche a suo tempo, sul ruolo che all'Assemblea veniva assegnato, quello di approvare in via definitiva i piani. Una Assemblea legislativa come la nostra, chiamata a sanzionare a posteriori e senza troppi supporti un percorso fatto da altri, in altre sedi e con altri supporti. Corresponsabilizzata cioè, senza grandi contropartite né precondizioni per poter influire sull'andamento del percorso.
Era dunque possibile scegliere, come in origine si era fatto, di rimanere aderenti al dettato della legge nazionale e di individuare, con singoli provvedimenti, i punti emergenti, le singolarità da salvaguardare, di modo che, quant'altro non fosse compreso in detti provvedimenti, non fosse oggetto di piano territoriale paesistico. Era questa la filosofia dei cosiddetti "galassini" su cui è iniziato il percorso, poi decisamente, radicalmente modificata in infine praticamente scartata, in base al dettato della sopraggiunta legge 45, che faceva dei piani territoriali paesistici qualcosa di più e di diverso rispetto alla mera individuazione delle emergenze paesistiche da salvaguardare. Nella realtà i piani territoriali paesistici che sono arrivati all'attenzione del Consiglio non apparivano più sia ad una prima lettura frettolosa, sia poi ad un approfondimento che la Commissione ha svolto, come il disegno che il legislatore aveva individuato; apparivano piuttosto come una sorta di ibrido, una sorta di piano urbanistico comunale calato dall'alto nel quale non erano esplicitati completamente, o erano spesso omessi, i veri valori paesistici che avrebbero dovuto informare il progetto, nel quale era avvertibile, nel fruscio di fondo, un orecchio fin troppo sensibile agli interessi della edificazione diffusa, per non dire indiscriminata, nel quale era avvertibile come lungo il percorso, con le conferenze di confronto con gli enti locali e con il noncale totale nel quale le risultanze di queste conferenze sono cadute nella stesura definitiva dei piani, fosse stato mortificato il ruolo degli enti locali.
Noi scontavamo e scontiamo ancora, e questo è stato il ragionamento di base che è stato svolto in Commissione, un punto di partenza importantissimo, che era ed è quella enorme massa di milioni di metri cubi, oltre 60 o 65 milioni di metri cubi realizzabili sulle coste, certo ipoteticamente, ma certo una riserva di quantità inusitata, sino ad andare a rappresentare quelle che plasticamente da più parti è stata definita la "città lineare sulle coste" a fruizione di pochi e ad impedimento di molti del bene ambientale marino e paesaggistico della nostra regione. Era dunque questo il punto di partenza su cui i piani paesistici avrebbero dovuto incidere, su cui era attesa una correzione di fondo.
Ora, di fronte a questo, il pianificatore ha sempre dei grandi problemi da risolvere e credo non valga la pena qui di citare Lewis Mumford, e il suo "Le città nella storia" per dire che "la supposta necessità del pianificatore di dover scegliere tra cinture verdi e cunei verdi (naturalmente si tratta di una citazione urbanistica ma è benissimo adattabile al nostro caso), è un dilemma gratuito ed una falsa alternativa perché quello che è veramente vitale è la conservazione della matrice verde (leggasi nel nostro caso del paesaggio costiero), nella quale le comunità sono inserite, soprattutto la necessità è di evitare la crescita incontrollata che cancella questa matrice e sconvolge l'intero sistema ecologico". Ho citato queste frasi per appoggiarmi a qualcuno certamente più forte di me, che fa un'abile sintesi tra urbanistica, storia e sociologia, per dire che questi pensieri (che poi in fondo fanno parte comune nel nostro essere in mezzo alla gente e dentro il territorio e del nostro godere con la gente e nel territorio le bellezze della nostra isola), sono intuizioni elementari ed insieme il concentrato di uno studio che ha avuto ben altre possibilità di analisi che non solo quello dell'attenzione portata alla nostra Isola, ma che tuttavia perviene alle stesse argomentazioni finali.
Bene, di fronte a questa possibilità, certamente non remota, di una interdizione perpetua del bene costiero e alla constatazione che questa riserva di milioni di metri cubi che erano previsti dai comuni come realizzabili lungo le coste erano qualcosa di più di una semplice previsione, il legislatore regionale aveva intravisto nei piani territoriali paesistici lo strumento per correggere, con un progetto di grande scala, la tendenza che ho denunciato. I piani dovevano cioè servire per tracciare una linea progettuale di alto profilo che fornisse agli enti locali le indicazioni e le prescrizioni necessarie per la salvaguardia e la valorizzazione dell'immenso patrimonio ambientale, naturalistico, paesaggistico nonché degli indubbi risvolti che a questi sono collegati dal punto di vista storico ed antropologico della nostra Isola.
Ma le proposte di piano inviate dalla Giunta regionale al Consiglio per la definitiva approvazione non sono parse consone agli ambiziosi obiettivi posti dalla legge; nati per uno scopo più limitato, in linea con la concezione della legge nazionale, poi amplificati di contenuto, in linea con la sia pur sopraggiunta legge regionale numero 45, scollegati tra loro per contenuti specifici, per metodologia e normazione propria, poi collegati attraverso una normativa di omogeneizzazione, i piani, sia per le vistose differenze riscontrabili tra i vari stadi della proposta, sia per il complesso delle prescrizioni normative che recano, sono - il che è senz'altro di primaria importanza - molto lontani dalle attese su di essi possibili.
Di fronte a questa correzione impossibile attraverso i piani, e forse anche dei piani, nel riconoscimento di questo carattere un po' utopico della legge e di fronte al fatto che mancano ancora numerosi tasselli che sono di tipica attività della Giunta regionale, le direttive per le zone agricole, le direttive per i centri storici (le direttive per le zone urbane, gli articoli 7, 8 e 9 della legge "45" rimasti inattuati), di fronte al fatto che non viene assegnato nessun ruolo alle province così come prescrive comunque l'articolo 10 della legge, di fronte al fatto che non siamo dotati di nessuna dimostrazione di un repertorio paesistico delle entità meritevoli di salvaguardia, si poneva dunque la pratica alternativa o di bocciare tutto o di rimandare sine die l'approvazione nell'attesa di tutto quanto fosse di assoluto corredo alle decisioni.
Ma potevamo permetterci noi, Consiglio regionale, questo è il dilemma che si è posto alla Commissione, interpretando in quella istanza come ramificazione del Consiglio il pensiero del Consiglio stesso, di buttare via sei o sette anni di percorso, sia pure difficile e tormentato e di dispendio di energie finanziarie che è costato questo percorso di stesura dei piani territoriali paesistici? Potevamo davvero cioè pensare di rinviare o addirittura di bocciare (e questo sarebbe stato un rinvio ancora più doloroso)? Credo proprio di no!
La legge 45 assegna, l'ho già detto, al Consiglio regionale sardo il compito postumo di approvare in via definitiva i piani territoriali paesistici.
(Brusio in aula)
Per cortesia, la materia è molto complessa e credo che sia anche oggetto di una certa tensione, io personalmente la sento e faccio una certa fatica, chiedo scusa.
La legge 45, dicevo, assegna al Consiglio regionale sardo il compito postumo di approvare in via definitiva i piani. Ora non vi è chi non veda che la più recente dottrina, ed anche la normativa della legge numero 142/90 che ha recepito la dottrina nel nostro Paese, traccia una linea di separazione sempre più marcata tra i ruoli delle Assemblee e quelli dei Governi; e non vi è chi non veda che il ruolo delle Assemblee è quello di indirizzo e di controllo e quello dei Governi è quello di governo e di amministrazione. E che su questa strada, la prescrizione di legge che chiamava il Consiglio in sede finale, senza aver potuto incidere minimamente sulla possibilità di stesura e di indirizzo dei piani, ad approvare i piani stessi era dal punto di vista della dottrina un errore. Se ne discusse allora senza concludere: credo che poi il nodo sia venuto fatalmente al pettine, credo che da questo punto di vista non ci siano molte altre cose da dire se non che questo errore andava in qualche modo rimediato. E qui interviene la proposta di legge creata in Commissione, qui sta la novità della quale oggi stiamo a discutere che è insieme novità ma anche un pezzo di percorso che comunque si sarebbe dovuto fare per arrivare all'approvazione definitiva dei piani. E' una novità improntata al realismo, dunque, e al recepimento di questa linea di demarcazione netta tra i ruoli assembleari e quelli di governo ma è anche una novità improntata ad una visione prospettica certamente maggiore, a nostro avviso, così ci è parsa, più lungimirante rispetto al respiro invero abbastanza corto che i piani avevano assunto nella stesura finale.
Una proposta che si incentra su due meccanismi fondamentali di revisione, uno di procedura e l'altro di contenuto. Quello di procedura è per far sì che l'approvazione finale dei piani non debba essere più e non già competenza del Consiglio, secondo la linea di demarcazione già più volte richiamata, bensì della Giunta. I piani, tra l'altro, sono atti amministrativi ad alto contenuto tecnico e come tali di difficile "digestione" da parte di un'Assemblea legislativa come la nostra che per giusta tradizione è consolidata nell'approvazione di atti meramente normativi e non ha certamente inclinazioni allo scendere in profondità in atti a carattere squisitamente amministrativo. Una procedura dunque che da un certo punto di vista rimettesse alla Giunta l'approvazione finale, ma dall'altro non facesse sì che il Consiglio si spogliasse di un ruolo che comunque deve avere, un ruolo dunque che dovrebbe essere assicurato attraverso la stesura di un corpo normativo non solo di legge ma anche di disposizioni molto incisive e dettagliate alle quali la Giunta dovrà, secondo l'intenzione della Commissione, conformare la stesura finale dei piani e dunque l'approvazione stessa, corredato anche di un parere della Commissione nel merito per individuare quelle correzioni che, essendo impossibili in sede normativa, nel testo cartografico e normativo specifico dei piani dovessero essere riconosciute come necessarie.
Ora, su questo va detto chiaramente che si è scelta la via sì, da una parte, di una statuizione di legge di cui parlerò più avanti, e dall'altra di un complesso di norme di coordinamento non sottoforma di legge. Quello che politicamente va rilevato è che il ruolo del Consiglio doveva essere un ruolo di indirizzo che non c'è stato, e che sia pure in sede finale, recuperando dalla coda quel che si sarebbe dovuto fare in testa, si ottiene attraverso la stesura di queste disposizioni: si ottiene cioè di poter dare al Consiglio quel ruolo che gli sarebbe davvero proprio di indirizzo generale (normativo e legislativo) che gli sono propri. Su questo occorre dire che prevaleva e credo prevalga nella Commissione l'atteggiamento del sostanzialismo nel senso che prevale su tutto l'idea che questo ruolo di indirizzo debba essere svolto al di là dell'etichetta che queste norme dovessero assumere, regolamento o disposizioni. Quel che importa è che questo corpo normativo sia tale da "costringere" la Giunta ad adeguare i piani alle prescrizioni che noi in Commissione abbiamo approvato e che sottoponiamo all'Aula.
Dall'altra parte alcune introduzioni di novità non solo procedurali in legge, una legge dunque che non solo bada agli aspetti procedurali che sono normati credo in maniera sufficientemente precisa, ma che introduce - e questa è la materia del contendere della polemica di queste settimane - il vincolo di inedificabilità nella fascia dei 300 metri dal mare. Questo vincolo non è un'invenzione spuntata come un fungo tra una notte e l'altra dei lavori della Commissione, è frutto di una nuova coscienza, maturata faticosamente nella nostra Regione. Ed è un frutto che nessuno, nemmeno gli enti locali, ha formalmente contrastato; certamente si è avuto qualche distinguo, ma su di esso c'è stata una convergenza molto larga di pensiero. Questo vincolo è introdotto dall'articolo 2 della proposta di legge numero 386 che oggi è in Aula, naturalmente con le eccezioni che questo articolo ha comportato.
Noi siamo ben consapevoli che, da un certo punto di vista, l'introduzione di un vincolo generalizzato nella fascia dei 300 metri sia, rispetto alla concezione che la legge numero 45 aveva voluto esprimere, una sorta di ritorno al passato. In un certo senso è così. Ma di fronte a una difficoltà estrema, per non chiamarla fallimento, della pianificazione reale, cioè delle proposte dei piani territoriali paesistici che ci erano pervenute, di fronte al riconoscimento di quell'eccesso di carica utopistica sulle capacità progettuali e decisionali della classe dirigente sarda, progettuale, tecnica e politica, che cosa si doveva fare? Si doveva far finta di niente? O portare all'approvazione una versione dei piani spogliata e ridotta in termini scheletrici e rimandare il tutto ad altra possibile stagione? Si doveva bocciare? Io credo che non a caso le citazioni che sono state fatte precedentemente sul concetto di mantenimento della matrice fondamentale, insieme al mantenimento dei termini di tempo che sono importanti in un percorso così lungo che ha visto troppe incertezze temporali, interpretino correttamente le ispirazioni che hanno condotto al riconoscimento della necessità di agire sia pure modificando lungo il percorso una norma così importante come quella della edificabilità sulla fascia più sensibile delle nostre coste, ponendo, cioè, un punto fermo decisivo, una volta per tutte, l'affermazione di un superiore interesse collettivo dei valori che con questa norma vengono tutelati.
La filosofia di fondo che ha ispirato dunque il lavoro, con l'introduzione dei 300 metri dal mare e con l'abbattimento delle volumetrie edificabili nelle zone F, è quella di frenare il grosso delle previsioni di edificabilità e spostare indietro e possibilmente in parte nei centri abitati e comunque oltre la fascia dei 2 chilometri l'eccesso che si era manifestato nelle previsioni complessive nella sommatoria delle previsioni degli enti locali, nella consapevolezza della necessità della valorizzazione delle peculiarità storiche, culturali, sociali e paesistico-antropologiche degli aggregati urbani, che dalla proposta di piano venivano sicuramente mortificati, nella consapevolezza che non sarebbero dovute più avvenire crescite incontrollate o incontrollabili sul territorio che cancellassero la matrice del nostro essere paesaggio e sistema fisico e sociale.
Quello che vogliamo non è un museo, non è la cristallizzazione.
Rimangono alcuni problemi contestati, signor Presidente, che credo debbo necessariamente rappresentare all'Aula per esaurire il mio compito. Ci sono alcune zone C di espansione urbana a mare sulle quali è prevalso un giudizio "di merito" rispetto alla essenza normativa; nella legge numero 45 queste erano già fatte salve. Rimane un problema sugli accordi di programma, anche se l'articolo 28 non è stato affatto modificato dalla proposta di legge che è arrivata in Aula mentre sono state compresse le sue capacità operative, ne è stata cioè limitata la portata. L'accordo di programma è sempre possibile, sono possibili contenuti magari diversi rispetto a quelli che si erano ipotizzati inizialmente. Ricordo che la legge numero 45 del 1989 parlava degli accordi di programma come realizzabili solo dopo l'approvazione dei piani territoriali paesistici e ricordo anche che esiste una risoluzione della Commissione urbanistica che chiedeva alla Giunta, un anno fa, di non fare accordi neanche di carattere preventivo con gli enti locali e i privati. Specificazioni su questo tema sono anche possibili, purché non stravolgano la portata generale dei vincoli introdotti. Questo non è un tabù da una parte, ma non è neanche un feticcio, o forse meglio sarebbe dirlo al rovescio.
Terzo problema: i nullaosta, che si sono manifestati, questa volta sì come una irresistibile leggerezza, come è stato detto, ma io lo cito al rovescio, una irresistibile leggerezza dell'essere governo-mecenate. Su questo tema nessuna apertura a noi pare possibile, dato il tenore delle cose fatte. Chi ha diritti li farà valere, chi non ne ha non potrà farli valere; d'altronde la sospensione per legge e in via amministrativa degli stessi che significato avrebbe altrimenti avuto?
Sono sempre possibili specificazioni su singole partite che seguiranno, che io non porto qui in Aula perché il tempo vedo è terminato: tagliando corto dico che il complesso di norme di legge e non, finisce per ribaltare la logica progettuale sugli esecutori, sugli imprenditori, che dovranno fare uno sforzo ulteriore di fantasia creativa per adattarsi alle nuove norme. Molte cose restano comunque da fare e ci sono anche dei dubbi: chi non ne ha non prende atto della multiformità della realtà. Ma il dovere di chi opera nell'Assemblea e nelle Commissioni è di superarli e portarli a sintesi decisoria, e la sintesi è quella appunto di decisioni serie, ponderate, discusse con tutta l'attenzione che il problema meritava; un punto di equilibrio faticoso e delicato raggiunto dalla Commissione.
Devo dare atto, io ne sono il Presidente solo dal 6 aprile, alla Commissione del buon lavoro (a chi c'è e a chi non c'è più), svolto lungo questo breve tempo a disposizione, nelle difficoltà enormi, attraverso sessioni operative del Consiglio anche importanti che hanno menomato la nostra possibilità di continuatività dei lavori e nella solitudine di responsabilità nella quale la Commissione, per quel gioco incrociato di cui ho parlato in premessa, ha dovuto operare. Devo dare anche atto all'opposizione del Partito Sardo d'Azione del ruolo altamente produttivo e propositivo che spero continuerà a recitare in Aula su questo provvedimento, pur nella differenza dei ruoli, nell'interesse superiore della Sardegna.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, dicendo che anche dal punto di vista economico le previsioni complessive che erano state manifestate dagli enti locali erano tali da indurre a pensare che ci si avviasse inesorabilmente alla saturazione del prodotto Sardegna così come è stato sempre presentato; con le tendenze in atto (ora possibilmente frenate) sicuramente questo sarebbe avvenuto. Ed ecco dunque un interrogativo: ma siamo sicuri che il mercato sia veramente solo costruire sul mare? Siamo sicuri che il mercato deperisca lasciando liberi, o meglio ancora liberi e guarniti, i 300 metri dalla battigia? La Commissione ha ritenuto che questo tema sia affrontabile da diversi versanti e che comunque debbano prevalere gli interessi collettivi di tutela di valori sovraordinari, e che infine ciò possa, se non nel breve, nel lungo periodo rivelarsi un migliore investimento.
E' questa un'ora di grandi decisioni, e concludo, signor Presidente, è in gioco un futuro non solo prossimo. In tal senso è questa una occasione che raramente si presenta a questa Assemblea. Affrontiamola dunque con il necessario spirito di serenità e di concludenza, con l'equilibrio che la materia richiede.
La scorsa estate, nel ritemprare lo spirito, lungo uno degli scorci di quelle coste in pericolo, oggetto dei piani territoriali paesistici, dedicavo il mio tempo libero alla lettura di un non più recente romanzo del premio Goncourt Tahar Ben Jelloun, marocchino, "La preghiera dell'assente", dove tale allocuzione assume il significato non più reale della preghiera per i morti, bensì allegorico della speranza dei cittadini marocchini nell'avvenuto di uno stato indipendente, l'assente per l'appunto.
Quell'allegoria io credo è, scusatemi per la forzatura, applicabile al nostro problema. Facciamo si che il nostro lavoro, lungi dal prendere il corpo di pregoni, anatemi, suppliche e preghiere del presente e dei presenti diventi, per le nostre coste, che sono anzitutto nostre, non dimentichiamolo, nel più rigoroso equilibrio per lo sviluppo, la preghiera dell'assente, il riscatto della Sardegna.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Planetta, relatore di minoranza.
PLANETTA (P.S.d'Az.), relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe del Consiglio, la proposta di legge numero 386 - la quale come tutti noi sappiamo reca modifiche alla legge numero 45 dell'89 che noi tutti siamo chiamati ad esaminare e ad approvare in veste definitiva - è il frutto di un lungo lavoro che ha visto impegnata la Commissione urbanistica per tanto tempo e alla fine ha determinato la stesura di una relazione di minoranza, ritenuta doverosa, da parte del Gruppo sardista. Si è ritenuto redigere questa relazione di minoranza per sottolineare alcuni aspetti che a nostro avviso abbisognano di un approfondito dibattito; offrendo così a tutti noi un contributo di maggior chiarezza e elementi ancora più significativi per effettuare una scelta che graverà non poco nell'ecosistema della nostra Isola per il nostro futuro. Relazione di minoranza, fatta pervenire alla Presidenza del Consiglio regionale subito, anche prima dei 15 giorni previsti, onde evitare dubbi di ostruzionismo; decisione assunta secondo la logica che il mio partito ha portato avanti sin dalle prime dichiarazioni programmatiche del presidente Cabras, cioè opposizione costruttiva volta a privilegiare gli interessi della Sardegna e dei sardi.
Il Partito Sardo d'Azione, in seno alla Commissione urbanistica, come sottolineava poc'anzi il collega presidente Satta, ha dato un contributo fattivo, tecnico, morale e politico nell'iter di studio sulla modifica della legge urbanistica e per la stesura del Regolamento, in quanto proposta di normativa e di coordinamento dei 14 piani territoriali paesistici a modifica delle note di omogeneizzazione degli stessi.
A questo punto appare indispensabile l'approvazione del Consiglio regionale, in particolare per quanto riguarda gli ambiti di massima tutela, con l'approvazione del vincolo dei 300 metri dal mare. Questo in quanto non si può permettere a nessun burocrate, e ancora meno alla Giunta regionale, di decidere in modo inequivocabile quale parte del territorio sardo vada salvaguardata e tenuta libera da insediamenti di qualunque natura in modo da poter tramandare alle future generazioni il massimo valore dell'ambiente. Un siffatto orientamento deve servire da indirizzo per le Giunte regionali; deve essere un indirizzo futuro per lo stesso Consiglio, dal quale neppure i consiglieri regionali devono discostarsi. So perfettamente che il limite dei 300 metri dovrà necessariamente scontentare alcune parti sociali, alcune amministrazioni comunali, alcuni enti, consorzi, associazioni imprenditoriali. Ma, badate bene, questo è il prezzo che richiede una seria politica di tutela ambientale: pagare qualcosa oggi per avere domani una risorsa ambientale integra che consenta lo sfruttamento delle risorse derivate, compatibilmente alla necessità di mantenere inalterato l'habitat.
Si pone certo il problema dei posti di lavoro, che presumibilmente, dico presumibilmente, verranno a mancare; ma anche su questo bisogna fare alcune precisazioni. Innanzitutto bisogna chiedersi quali professionalità oggi siano impiegate nell'ambito dei vari consorzi turistici visto che ci siamo sempre lamentati che a noi sardi, a fronte di un accumulo di ricchezze derivate dallo sfruttamento della risorsa ambientale, è corrisposta una ricaduta occupazionale per lo più di basso livello, priva di prospettive di reddito stabile e duraturo. Certo, mi riferisco ai sardi camerieri, ai sardi lavapiatti, ai sardi giardinieri, cioè lavori stagionali nei quali viene impegnata una manciata di disoccupati. Non credo che in questo modo possano essere risolti i problemi occupazionali che attanagliano la nostra Isola. La verità vera è che bisogna creare strutture compatibili con le risorse locali, atte ad espletare la funzione di supporto a quelle ricettive già esistenti.
In questo modo ci si rivolge alla popolazione turistica itinerante in Sardegna offrendole motivi di maggiore svago e rafforzandone la permanenza. Sto parlando chiaramente di strutture di tipo sportivo come piscine, campi da tennis e da golf, facilmente gestibili dalle stesse amministrazioni comunali o dai consorzi, anche intercomunali, creati appositamente. Questi impianti, oltre a servire da struttura di supporto per il turismo, hanno anche il pregio di costituire una risorsa utilizzabile dalla popolazione locale, di conseguenza in tutto l'arco dell'anno costituiscono una risorsa occupazionale stabile e duratura. Noi tutti sappiamo - lo diciamo e la sbandieriamo dappertutto - che l'ambiente costituisce la più importante risorsa della Sardegna; risorsa però non rinnovabile, quindi se defraudata o peggio consumata del tutto, vedrebbe nulla la sua valenza economica. Questa è l'unica risorsa che attualmente permette all'isola un possibile aumento del proprio valore aggiunto senza però importare o trasferire grandi capitali.
Onorevoli colleghi del Consiglio, colleghe, signor Presidente del Consiglio e signor Presidente della Giunta, dobbiamo ripetere l'errore storico compiuto nel tentativo di sviluppare il sistema industriale importando sistemi e modelli culturali e organizzativi estranei alla nostra cultura, nonché di concentrare le risorse e l'attenzione soltanto sui cosiddetti poli di sviluppo trascurando le risorse esistenti nelle altre zone e condannandole al degrado? E' necessario pensare al turismo non più emotivamente o sporadicamente, ma in termini supportati da dati e da conoscenze più approfondite rispetto alle poche che possediamo in virtù degli ampi riflessi che tale politica comporta su tutto il territorio. Però in questa legislatura i vari Governi succedutisi non hanno pensato a dotare la Regione di un piano di sviluppo turistico che bene si sarebbe sposato con la stesura dei piani territoriali paesistici. Un turismo in rapida espansione a livello mondiale per un bisogno di riposo sempre più necessario in relazione ad un modo di vivere stressante e frenetico, e anche un turismo per un aumento del grado complessivo di cultura che richiede una maggiore e più diretta conoscenza dei luoghi e dei patrimoni culturali.
La tutela ambientale è in grado di garantire lo sviluppo perché il territorio e il paesaggio non sono misurabili in metri cubi, a prescindere da chi li autorizza, siano essi Regione o Comuni. L'ambiente è un valore a se stante, una ricchezza e insieme una risorsa strategica, è in sintesi quel fattore che fa la differenza, costituendo il vantaggio che questa nostra Regione ha rispetto ad altre, al fine di importare una qualità nuova di vero sviluppo e vantaggio di tutti i sardi indistintamente. Questa acquisizione di carattere culturale è tutt'uno con la propria identità; bisogna agire in proprio e capire che si può essere costruttori delle proprie fortune. La salvaguardia del territorio è un processo che deve essere nostro, combinato con altre risorse disponibili; non si possono concedere quindi tutti quei nulla osta che sono stati concessi e per fortuna sospesi, bisogna stare attenti alle deroghe perché diversamente stiamo consegnando ad altri il nostro sviluppo, con il rischio di vedere trasformate queste autorizzazioni da valore ambientale a valore commerciale, consegnando così titoli a società per aumentare la loro quotazione in Borsa e magari per canalizzare investimenti altrove o in altri settori.
Per dare senso compiuto a quanto ho appena detto, noi sardisti abbiamo sostenuto il vincolo di inedificabilità nelle zone C urbane che riteniamo debba esistere insieme a quello di immodificabilità. Un vincolo riteniamo, cari colleghi, che debba costituire un essenziale elemento di tutela del patrimonio costiero della Sardegna, impedendo di fatto che magari, sotto la spinta di pressioni particolaristiche di tipo privato, questo patrimonio sia privilegio di pochi. Ma tutto questo, onorevoli colleghi, signori Presidenti, colleghe, cosa c'entra con il nostro sviluppo? Diciamolo chiaramente: una politica dello sviluppo turistico in Sardegna non esiste ancora. Esistono barriere insormontabili che dividono un Assessorato dall'altro producendo un insieme disarticolato di politiche il cui senso complessivo rimane imperscrutabile; infatti non si riesce ad intravedere una qualche linea di indirizzo comune tra gli interventi degli stessi Assessorati su questioni che toccano più o meno indirettamente il turismo.
Dobbiamo far capire ai sardi che la loro esigenza di sviluppo economico non deve essere quella del cemento a ogni costo, non deve essere quella di costruire ad ogni costo e subito, è invece quella di tendere ad uno sviluppo di qualità, perché non è assolutamente detto - lo ripeto e lo confermo - che molti metri cubi equivalgano a molto lavoro. Questo è falso!
Purtroppo in questa legislatura non si è riusciti a gestire gli strumenti della pianificazione, non si sono integrati i piani dei parchi con i piani territoriali paesistici, ove trovare un equilibrio tra uno sviluppo delle coste con quello delle zone interne, in modo tale da allungare la stagione turistica e far sviluppare le zone agricole, oltre quelle costiere. Per non parlare poi della mancanza di pianificazione delle infrastrutture di cui la Regione non può fare a meno.
Mi voglio fermare qui, ma un esempio lampante di quanto sto affermando è la posizione assunta dall'amministrazione di Teulada contro il vincolo dei 300 metri. Ebbene proprio nella zona di Piscinnì in Teulada vi è un primo insediamento sotto forma di porticciolo che ha modificato, alterandola per sempre, la spiaggia. Se questo esempio dovesse essere seguito da altre amministrazioni comunali, noi tutti subiremmo la distruzione di buona parte delle spiagge sarde a vantaggio di alcuni privilegiati e senza le condizioni ottimali per svolgere il turismo nautico o la piccola pesca, totalmente esclusa per via delle caratteristiche di questi porticcioli. Porticcioli, dicevo, che al di là della gravità dell'alterazione ambientale, non sono fruibili invece da chi sul mare lavora e produce.
Credo non sia inutile rimarcare in questa sede assembleare che un durevole futuro sviluppo del turismo passa soprattutto attraverso un recupero dei centri storici costieri ovvero con insediamenti produttivi stabili nel territorio e suscettibili di diversificazione di quei segmenti del mercato caratteristici dei centri marinari che tendono ad occupare tutte le possibili varianti del mercato del lavoro, soprattutto nella cantieristica delle imbarcazioni di piccolo tonnellaggio. Sarà così possibile imporre, come è già avvenuto per i piani regolatori dei comuni, anche nei nuovi insediamenti costieri, senza dimenticare il risanamento e il recupero di quelli già edificati, una tipologia urbanistica che privilegi momenti aggregativi, per esempio lo stare insieme nelle piazze, piuttosto che trovare momenti distensivi negli attuali insediamenti cosiddetti ricettivo-alberghieri ossia per così dire le villette a schiera.
Allora diciamolo ancora una volta chiaramente che in questi quattro anni di legislatura le varie Giunte succedutesi con poche eccezioni hanno disatteso a quelle norme generali di tutela che garantivano beni e valori fondamentali rispondenti alle caratteristiche della Sardegna, così come invece imponeva la legge urbanistica. Quest'ultima doveva essere uno strumento che andava governato, dove in ogni momento doveva essere perseguita l'efficacia commisurandola al fine da perseguire. Ma la stessa Giunta regionale si è clamorosamente contraddetta presentando l'ultima edizione dei 14 piani territoriali paesistici che contravvenivano alle dichiarazioni programmatiche espresse nel momento di iniziare la stesura degli stessi piani, dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta Cabras.
Voglio far rilevare che proprio mentre nella Commissione urbanistica del Consiglio regionale, con un delicatissimo quanto impegnativo lavoro, si provvedeva alla formulazione di un regolamento che desse organicità e che perfezionasse i 14 piani territoriali paesistici, il Presidente della Giunta regionale (Cabras) avviava una serie di incontri con alcune amministrazioni comunali che ponevamo nuovamente in discussione i piani stessi. Io stesso, se ricorda bene il Presidente, in qualità di Vicepresidente della Commissione, ho avuto modo di denunciare quella che mi appariva una intollerabile prevaricazione della Giunta regionale minacciando per questo di abbandonare definitivamente i lavori della Commissione nei confronti della potestà decisionale e della stessa autonomia del Consiglio. Per questi motivi in Commissione abbiamo lavorato con serietà e impegno nell'interesse dei sardi, cercando di migliorare e raddrizzare le storture portate avanti dalle diverse Giunte.
Per questo motivo nella relazione di minoranza abbiamo posto anche l'accento negativo sulla parte della proposta di legge numero 386 - soprattutto l'articolo 3 e l'articolo 4 - dove viene ribadita l'attribuzione della competenza alla Giunta regionale per l'approvazione definitiva dei piani. Su questo punto vi chiediamo, colleghi consiglieri, signori della Giunta, di riflettere a fondo prima di procedere all'approvazione di questa proposta di legge, provate a immaginare in quale clima ci troveremmo a decidere se tutto ciò dovesse avvenire. Avremmo un Consiglio regionale sottratto all'impegno dell'approvazione diretta dei piani con la conseguenza che i consiglieri regionali, sentendosi delegittimati, potrebbero rinunciare a correggere impostazioni distorte nel tentativo di ricondurre i contenuti alle finalità assegnate loro dalla stessa legge urbanistica. Pensate, fu proprio la legge urbanistica a richiedere, come elemento qualificante di una decisione da assumersi con la massima collegialità, che i piani territoriali paesistici dovessero essere approvati dal Consiglio regionale nella loro veste definitiva. Anche in altre Regioni si era provveduto, da parte dei consiglieri regionali, all'approvazione definitiva dei piani territoriali paesistici; in Sardegna, caro presidente Satta, quella della mancanza di supporti credo che sia un alibi, perché i supporti li avremmo potuti avere (dopo ne parlerò) perché noi con una risoluzione come Commissione lo chiedevamo, era il 6 maggio 1992. In Sardegna oggi si sta verificando quindi una controtendenza; solo i Comuni approvano i loro piani regolatori, i piani territoriali paesistici, mentre i consiglieri regionali non li possono più approvare definitivamente.
Ebbene, stiamo dando questa responsabilità a una maggioranza ristretta che è costituita dal Governo della Regione Sardegna; la responsabilità dell'approvazione di tutti questi piani deve essere di ogni singolo consigliere e non può essere demandata a un insieme di persone che costituiscono la Giunta regionale, il Governo della Sardegna. La responsabilità è di tutti davanti al popolo sardo. La decisione di affidare alla Giunta regionale l'emanazione dei vincoli paesistici per grandi categorie di beni ambientali non fa altro che decretare l'arretramento metodologico, quanto già espresso agli articoli 1 bis e 1 ter della legge nazionale numero 431 del 1985 a cui avrebbe dovuto seguire invece la pianificazione, e non fa altro che impoverire il processo posto in essere dalla legge urbanistica all'approvazione di un insieme di vincoli ed esprime un vero e proprio snaturamento dell'iter pianificatorio. Inoltre l'approvazione dei piani per via amministrativa darebbe vita ad uno strumento debole e soggetto alle contestazioni giudiziarie.
E' questo che si vuole? Mi auguro di no, e noi del Partito Sardo d'Azione crediamo che proprio questo non si voglia. Voglio infine ricordare e ripetere qui in questa Assemblea che la stessa Commissione urbanistica del Consiglio con una propria risoluzione, in data 6 maggio 1992, ribadì la necessità che fosse il Consiglio regionale e non la Giunta a esprimersi in modo definitivo sull'approvazione dei piani territoriali paesistici.
Voglio dare però un altro elemento di riflessione a quest'Aula, ai colleghi e alla Giunta, è quello che riguarda la mancanza di tempo utile, prima dell'approvazione definitiva, perché la Commissione urbanistica esprima un parere sull'approvazione dei piani territoriali paesistici. Perché i commissari possano dare corretto adempimento a quell'obbligo bisogna metterli in condizione di esaminare le carte con cognizione di causa, cosa che la mancanza dei tempi indispensabili rende impossibile.
Ebbene, tutto questo l'avevamo previsto ampiamente, allorquando come Gruppo sardista, unitamente a quello Rinascita, presentammo la proposta di legge numero 334, tesa a modificare e integrare le leggi regionali 11 e 45 in materia. Si prevedeva infatti, nel testo di tale proposta, una proroga sufficiente al regime di tutela, per un tempo necessario e massimo entro cui si potesse agire conclusivamente e seriamente al fine di una maggiore e più attenta valutazione del piano: 31 dicembre 1993. Oggi stiamo arrivando al 30 aprile, frettolosamente, oltre il tempo previsto per l'approvazione definitiva dei piani territoriali paesistici, e, a mio giudizio, una proroga di altri due mesi non sarà sufficiente.
Signor Presidente, colleghi consiglieri, siamo tutti consci dell'importanza che riveste la materia che oggi stiamo trattando per il futuro della nostra terra e come dovremo lasciare l'ambiente ai nostri figli; troppo spesso, per mere valutazioni di carattere speculativo, in senso buono intendo, tralasciamo di pensare al futuro, tutti tesi come siamo nell'affermazione delle esigenze dettate dal presente. Non dico questo per ipocrisia o futile demagogia, ma in quanto convinto che ogni decisione che oggi noi saremo chiamati ad adottare, dovrà essere la giusta risposta alle aspettative e alle esigenze delle generazioni future in materia di ambiente. Vedete, ho detto in apertura del mio intervento che il bene ambiente è una risorsa economica tale che una volta compromesso è perduto per sempre. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, colleghi, colleghe di questa Assemblea, proviamo ad immaginare oggi il mondo che ci hanno descritto le generazioni passate nella loro testimonianza, ci renderemo conto di quanti errori sono stati commessi e di quante quali ricchezze ambientali sono state perdute definitivamente.
Voglio concludere per adesso il mio intervento sulla relazione di minoranza, per ritornare poi sull'articolato della proposta di legge di modifica e sul regolamento, facendovi riflettere su queste mie ultime parole.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare l'onorevole Cogodi. Ne ha facoltà.
COGODI (Rinascita e Sardismo). Credo, signor Presidente e colleghi del Consiglio, che siamo tutti consapevoli detta rilevanza e anche della delicatezza delle questioni che il Consiglio discute e sulle quali si appresta a decidere. In questa materia, ma anche in altre, ne ho visto e sentito tante, vi ho preso parte anche, specie negli ultimi dieci anni, per cui davvero non ritengo che siamo arrivati a chissà quale decisione finale e risolutiva.
Io credo che sia necessaria, lo dico subito, una buona dose di modestia, di sincerità per quanto possibile, di saggezza, di equilibrio, per chi di noi ne è capace, perché prima di tutto a noi e poi a chi ci ascolta - il popolo sardo al quale dobbiamo rendere conto di tutto - diciamo esattamente non solo cosa pensiamo ma cosa vogliamo fare, rifuggendo da inutili forme enfatiche. Noi oggi avremmo dovuto, in quest'Aula, fare una cosa diversa da quella per la quale siamo convocati; cioè oggi e prima di oggi, questo Consiglio regionale avrebbe dovuto esaminare i piani paesistici, valutarli nel merito e approvarli. A questo ci chiamava, non una generica aspettativa ma una legge della Regione che esiste da anni.
Che cosa cono i riferimenti alla novità e alla riforma della politica? Siamo tutti scossi dai fatti referendari e dal loro esito, dalla voglia di cambiamento, dallo scossone, dalla radicalità dell'entrata in scena del popolo che chiama la politica a muoversi e a decidere davvero? Se così è, perché non cominciamo a dire che non è consentito o non dovrebbe essere consentito che, vigente una legge che chiama i cittadini a osservarla, il primo a non osservare la legge sia il soggetto istituzionale? Esiste ormai da quattro anni una legge che obbliga la Regione (una legge nostra, approvata da noi; cosa abbiamo fatto in questi quattro anni, ci siamo ingannati?) a elaborare, a confrontare e a decidere sui piani paesistici, sulla pianificazione paesistica. Questa legge, che assegnava un termine iniziale di due anni massimo, è stata prorogata più volte, sempre per volontà di questo Consiglio, e sempre per inadempimento delle diverse Giunte regionali. E' stata prorogata anche nel dicembre scorso per quattro mesi, ma mentre alcuni di noi li ritenevano insufficienti - lo ricordava Planetta - voi, nuova ultima Giunta, nuova ultima grande maggioranza, politica, come facevate a essere sicuri che quattro mesi sarebbero stati sufficienti per istruire i piani paesistici e approvarli secondo la legge?
Noi proponevamo il termine temporale dell'anno 1993, ma voi, ritenendo di essere a buon punto decideste che entro aprile sarebbero stati approvati i piani paesistici. Non dovrebbe essere consentito che per anni si proroghi una legge per scoprire che alla scadenza, così, candidamente, senza conseguenza alcuna, in Consiglio siamo chiamati a prendere atto che l'istruttoria non si è fatta, non si potuta fare, che si da forfait, che si passa ad altro. Io credo che di questo dobbiamo rendere conto, dovete rendere conto. Se volessi prendermela con una Giunta regionale e con una maggioranza politica, io avrei mille argomenti validi, validissimi, per metterle al muro, in senso dialettico s'intende; però sono consapevole insieme ad altri colleghi, e spero insieme alla maggioranza di questo Consiglio regionale, che il problema principale di oggi non è mettere con le spalle al muro una Giunta o una maggioranza, ma venire a capo di questa situazione che è di rilevanza generale.
Io ho inviato come Presidente di un Gruppo consiliare, circa un mese fa, una lettera al Presidente del Consiglio rappresentando che tutto è opinabile in questo mondo eccezion fatta per i calendari, e che il calendario ricordava a tutti che il 30 aprile, scadendo i vincoli di salvaguardia dell'ambiente costiero, il Consiglio regionale era tenuto ad esaminare i piani per cui il Presidente garantisse che ciò il Consiglio potesse fare. Il Presidente ha proposto la questione durante la Conferenza dei Capigruppo e tutti hanno detto che in tempo i piani sarebbero stati esaminati; eravamo al 6 aprile, e si disse che dopo Pasqua sarebbero arrivati i piani. Invece, non arrivano i piani istruiti dalla Commissione, ma una proposta di legge modificativa della legge. Io dico che questo modo di procedere non è lineare, non è conforme ai doveri istituzionali, pone il Consiglio nella condizione di non poter esercitare il suo ruolo, introduce una difficoltà grande nei rapporti anche interni al Consiglio, oltre che nei rapporti istituzionali tra Consiglio e Giunta.
Tuttavia ho detto che questo non è l'argomento principale da trattare oggi; visto che non si può parlare dei piani paesistici, che non si possono valutare, modificare o respingere i piani paesistici, esaminiamo pure le proposte alternative che, dopo quattro anni di esistenza della legge 45, si avanzato al Consiglio. Io dico subito, per evitare incomprensioni di qualsiasi natura, che noi condividiamo, ritenendola insufficiente ma necessaria, la proposta del vincolo sulla fascia dei 300 metri. Intanto serve per porre un rimedio possibile alla mancata pianificazione paesistica, per rimediare al difetto, alla colpa e alla inadempienza di chi doveva adempiere e non ha adempiuto. Noi non siamo di fronte alla rinuncia dell'utopia, caro Gabriele, immaginavamo insieme, io credo, qualche tempo fa che l'utopia fosse qualcosa di più rispetto ad alcuni piani paesistici.
SATTA GABRIELE (P.D.S.). Siamo finiti male!
COGODI (Rinascita e Sardismo). Tu dici? Ma se ancora vogliamo, non finiremo male. E' qualcosa di più l'utopia, questi sono adempimenti ordinari della vita ordinaria delle istituzioni e nostra, che siamo qui a comporre l'istituzione autonomistica. La pianificazione paesistica non è l'utopia, irraggiungibile, l'orizzonte lontano, l'ispirazione delle grandi idealità, è un adempimento ordinario, quello che hanno fatto altre Regioni d'Italia qualche tempo fa in tutta normalità. La verità è che non c'è inafferrabilità di grandi traguardi, qui c'è l'incapacità di conseguire anche i traguardi minimi, cioè di emanare normalmente una legge, e di averla dovuta rivisitare - questa legge - almeno sei volte in questi quattro anni per modifiche e per proroghe, di averla sempre ritenuta valida fino ad oggi o fino a ieri e poi nell'ultimo tratto del cammino, tre giorni prima o dodici giorni prima della decadenza del termine di salvaguardia, dire che bisogna cambiarla.
L'utopia non si può raggiungere, ma i piani paesistici sì, se si vuole, anzi se si fosse voluto. La verità è, Gabriele, che al di là della buona volontà tua e di tanti altri qua dentro, ci sono modi di procedere, di fare, di essere della politica regionale che continuano ad essere imperscrutabili, che non riusciamo ad afferrare. Non credo che valga la pena - chissà forse lo farà qualcuno, magari mio nipote quando ne avrà voglia - di andare a cercare le interpellanze, le interrogazioni, e tutto quanto in questi quattro anni alcuni di noi, io compreso, abbiamo sempre proposto a tutte le Giunte. Le domande sono sempre le stesse: a che punto sono i piani paesistici? E l'affidamento degli studi? A che punto sono le osservazioni e gli atti? Sempre tutti ci rispondevano: "Tutto perfetto, tutto in regalo, tutto affidato, tutto prodotto, tutto costituito, dobbiamo arrivare".
Non si può allora dopo quattro anni, dire che non c'è nulla o quasi nulla, tanto che dobbiamo rinunciare all'obiettivo, al traguardo, allo strumento. Dico quattro anni, non per assolvere altri, perché il cammino è iniziato se vogliamo otto anni fa, ma perché parto dai tempi cogenti della nostra legge regionale, non per dire che voglio dare più o meno responsabilità. Per questo io dico che oggi c'è poco da cantare peana di vittoria e dire che finalmente proponiamo una cosa che salva l'ambiente naturale, finalmente salveremo la Sardegna. Io debbo dire con molta chiarezza e naturalezza che questo è un passo indietro, un ritorno all'antico, però non sia tanto un ritorno all'antico da farci perdere la speranza e la fiducia che le cose nuove comunque si possono fare.
Ciò detto in premessa voglio operare alcune riflessioni nel merito. Principalmente si propone, con questo provvedimento modificativo della legge principale, una misura di salvaguardia generalizzata, di inedificabilità, meglio dire, perché la salvaguardia è qualcosa di più della sola inedificabilità, nella fascia costiera dei trecento metri. Io dico che quanto abbiamo detto (io tante volte, altri colleghi tantissime volte, da ultimo riprendeva questo ragionamento e questo discorso anche il collega Planetta) sulla salvaguardia dell'ambiente naturale e costiero della Sardegna, sulla ricchezza collettiva e sul tratto di identità, che è costituito dall'ambiente fisico il quale contribuisce a creare anche l'ambiente culturale e in qualche modo costruisce anche quello che siamo noi perché così è, è un ragionamento che diamo per condiviso. Il problema è del modo come rispondiamo a questi bisogni e a queste esigenze.
Io avanzo una critica di fondo, cioè per meglio dire richiamo una critica di fondo rispetto al passo indietro che si ritiene di dover compiere, e riconosco anche che è meglio un passo indietro e rimanere sul cammino, che cadere nel baratro. Però la linea, la barriera, la muraglia che venga arretrata di 100 o di 300 metri, se barriera e muraglia è, tale rimane e non può essere questa la soluzione definitiva. Se poi di fronte alla muraglia noi ipotizziamo che possa esserci anche il giardino condominiale di chi dalla muraglia si sporge e quindi che quella fascia non necessariamente sia di fruizione pubblica, o comune nei limiti della possibilità della fruizione dei beni ambientali, e tutto questo non è ipotizzato da nessuna parte, non è che abbiamo fatto un grande affare. L'ho detto e lo ripeto e lo dirò diverse volte in questo mio intervento, abbiamo compiuto un passo avanti rispetto alla situazione presente e al rischio che incombe.
Quindi io credo che, oggi o domani, quando il Consiglio dovrà votare, questa misura deve essere adottata con responsabilità. A me non è che mi entusiasma sempre quando tutti parlano a favore di una legge, ho visto leggi regionali rispetto alle quali tutti hanno parlato a favore e poi sono state bocciate. Per cui riterrei che almeno chi parla a favore in tutto o in parte di questa legge, come minimo dica che vuole votare a voto palese, e vuole dire a tutti che cosa pensa esattamente; anzi, mi preoccupo sempre quando troppi parlano troppo a favore di una legge, infatti io ne sto criticando alcuni aspetti proprio perché i contenuti essenziali li condivido con tutti i limiti che essi contengono.
Dicevo però che questa soluzione della linea Maginot che è una linea di difesa in territorio proprio, non è una linea di offensiva, è una linea di parziale e iniziale sconfitta, non di vittoria, come insegna la storia e anche la geografia. Non è la soluzione migliore, il che non vuol dire che non sia una soluzione anche positiva, per cui il problema è di sfondare questa linea innanzitutto in avanti cioè di rendere liberi gli spazi, di pensare a una salvaguardia dell'ambiente naturale di questa Regione per ambiti di valutazione dove il valore oggettivo dei beni è valutabile; non può fermarsi ai 300 metri. Quando un complesso dunale, una spiaggia, è più larga e più profonda di 300 metri non può essere tagliata dalla ghigliottina al passaggio del millimetro dei 300 metri, per cui insieme a questa misura noi proponiamo che vi sia anche una proposta - come dire - rafforzativa o migliorativa che, individuando una serie di beni aventi oggettivamente valenza ambientale oltre la linea dei 300 metri dica che deve essere salvaguardata.
Se noi avessimo adottato la pianificazione paesistica, se noi adottassimo, come prima o poi dovremmo adottare, la pianificazione paesistica per dare a tutte le cose il giusto valore, è chiaro che anche la linea immaginaria più o meno dei 300 metri o di quanto si vuole, la barriera più o meno avanzata, non avrebbe senso logico e neppure utilità pratica. Non è una linea di tutela, è una linea di difesa estrema, di disperazione, è la filosofia nuova che introduceva la pianificazione paesistica, che deve essere recuperata, la filosofia appunto di dare il giusto valore alle cose che è un valore differenziato e quindi in questo senso anziché pensare alla recinzione comunque sulla linea più arretrata della Sardegna, pensare ad evitare la barriera e pensare che non è proibito immaginare o anche pianificare, quindi decidere che alcuni insediamenti in una regione che è un'isola - quindi confina su tutti i lati con il mare - possano avere anche punti di contatto nuovi col mare.
Conosciamo la geografia e, come dice il collega Fadda, anche la storia, dalla quale possiamo evincere che se non ci fosse stata la malaria, lungo le coste della Sardegna di sicuro ci sarebbe stato uno sviluppo maggiore. Però così è! Sul piano concettuale, logico, funzionale e produttivo come si fa a pensare che non possa essere immaginato nessun punto ulteriore di contatto e di insediamento dove questo può avvenire invece anche al mare sotto forma di agglomerato, di centro costruito in termini moderni non più quindi affastellato, o nato magari in modo confuso. Io dico che concettualmente ma anche produttivamente questo è preferibile a una diffusione, a una distribuzione, a un allineamento delle costruzioni che comunque, se pure su una linea arretrata, recinti la Sardegna. E' una filosofia diversa che però abbisogna di un'attenzione, di una capacità e di una produttività politica diversa da questa, per cui oggi non si può fare a meno di adottare il limite dei 300 metri. Io però lo considererei come misura, come una difesa minima che consenta di continuare a pensare altro.
D'altronde tutti abbiamo avuto non solo occasione ma anche responsabilità per cimentarci intorno a questa materia, responsabilità istituzionali, di Assemblea, di Consiglio e alcuni di noi anche di Governo; e io dico che la serietà, oltre che la sincerità dei comportamenti e se volete (dov'è Baghino?) anche la credibilità, consiste nella coerenza, nel non pensare cose diverse delle contingenza, se si sia in maggioranza o all'opposizione. Quando in altri momenti la formazione politica, alla quale ho partecipato insieme a Gabriele Satta e ad altri, aveva responsabilità di decisione, pur avendo un'ispirazione diversa su molte questioni rispetto ad altre formazioni e coalizioni politiche che avevano impostato politiche territoriali di ambito e di valore anche regionale, non ha mai ritenuto di dover operare strappi, denunce e richiami unilaterali. Ha cercato di aprire invece prima di tutto una fase nuova di confronto a tutto campo e poi di contrastare le illegalità e gli abusi, questo sì, per fissare regole valide per tutti, senza atti di rappresaglia nei confronti di nessuno, senza denunce o atti unilaterali, impostando una filosofia e una metodologia nuova, che è la premessa poi della normativa e delle leggi successive che sono intervenute.
Non è che può essere rimproverato oggi quello che si ritiene sia stato saggio ed equilibrato ieri. E' ben strano questo comportamento (dove è Baghino? Ha fatto una interruzione alla quale pure bisogna dare una risposta). Il master plan: il master plan quando è nato si ispirava a questa filosofia, soffriva di tutte le difficoltà, carenze e deficienze del tempo; ma aver pensato a un intervento per la prima volta programmato nel territorio (parlo di un'altra Giunta, non di quella della quale io facevo parte) apriva verso una dimensione migliore dell'intervento nel territorio, rispetto a quelli disordinati, distribuiti, continui, uno a fianco all'altro solo edilizi, come la Sardegna aveva conosciuto. Questo lo dice uno che ha contrastato quegli interessi e li contrasta per altra visione delle cose.
Ma l'idea di migliorare quella impostazione o quella intuizione, di aggiornare quella metodologia, dopo la legge 431, dopo le riflessioni, e diciamo anche le acquisizioni culturali nuove, diverse, e le sensibilità che sono scese in campo, e si sono manifestate nel sociale anche in questa Regione, era miglioramento di una situazione, non sconfessione. Era giusto ed equilibrato aver agito così allora, e di questo - io credo - debba essere dato atto; perché vedete a compiere gli strappi cosa succede. Quando si rompono gli equilibri, quando non c'è il confronto, quando non c'è la trasparenza totale cosa succede? Subentra l'incomprensione, lo strappo sul piano sociale e istituzionale; e quel che accadde a suo tempo tra il comune di Arzachena e la Regione, oggi accade nei confronti di molti comuni.
Non c'è stata coerenza e lucidità di impostazione, e neppure capacità di afferrare la complessità delle questioni e di ricondurle a un equilibrio; nessuno ha ragione da solo, né persone né istituzioni, però insieme, ragionando, confrontandosi anche aspramente, si possono raggiungere obiettivi. Io sono convinto che si vogliono raggiungere obiettivi comuni. Può essere ripreso questo filo di ragionamento? Può essere sviluppato? Certo non oggi, in questa seduta del Consiglio, ma le proposte che oggi si avanzano, migliorate, anche modificate, possono considerarsi premessa per riprendere e non per interrompere questo filo di ragionamento? Riteniamole un primo approdo, una prima tappa verso avvicinamenti successivi alla pianificazione, Gabriele, alla quale non dovremmo rinunciare, a quell'intervento progettuale sul territorio che deve esser di più di questo, non di meno. La Regione, se ha un Governo, deve avere la capacità di dare risposte di insieme, deve tentare, non dico di accontentare tutti, ma di trovare soluzioni che siano di utilità generale, questo sì, perché io credo che tutti poi, fondamentalmente, a questo tendiamo.
E per non sfuggire proprio alle questioni più attuali del ragionamento e del confronto politico, perché non dire anche più puntualmente dell'altra contestazione che è in campo, quella relativa ai cosiddetti accordi di programma, per confermare che l'accordo di programma, per chi lo condivide (io sono fra quelli) è uno strumento utile per programmare interventi sul territorio, a condizione che sia un accordo che vede intervenire tutti i soggetti, ognuno per la sua responsabilità e competenza, quindi non uno alla volta ma insieme, la Regione, i comuni interessati, la provincia, che ha competenza di legge. Non si può far finta che le istituzioni vadano a pezzi, perché hanno comunque competenza di legge ed è anche giusto che si consocino nella ricerca della comune utilità che è utilità dei cittadini che appartengono al comune, alla provincia e alla Regione contemporaneamente; io non conosco un cittadino che si divide in tre, un giorno è del comune, un giorno è della provincia e un giorno è della Regione. Questa comune utilità deve vedere i soggetti privati e i soggetti sociali intervenire nella ricerca dei reciproci vantaggi e delle reciproche utilità, non perché uno fa beneficenza e l'altro la accetta, ma reciproche utilità, in modo equilibrato e giusto.
E' così che si sono sperimentati gli accordi di programma in Sardegna? No! Ecco perché quelli non sono gli accordi che fanno testo, si è avuta fretta, si sono intesi questi accordi di programma come sostitutivi della pianificazione, come fonte di pianificazione e non invece come modalità esecutiva, la migliore modalità nel reciproco vantaggio della regola data prima; perché prima si dà la regola, la si adatta se è necessario e poi la si adotta comunque nei modi migliori. Ma avere avuto la pretesa che l'accordo di programma potesse essere sostitutivo della pianificazione, questo non può essere. C'è stato un errore di valutazione. E' inutile dire che è meglio partire prima così è tutto già preconfezionato; in questo modo si accreditano, per fatte, cose che ancora non lo sono e per ottenute utilità che sono ancora da ottenere.
Ciò detto dell'errore di valutazione, del quale non fa male a nessuno di riconoscerne la sua parte, può benissimo essere confermata l'utilità e la produttività sociale ed economica dell'accordo di programma, che segue la pianificazione paesistica, che possa applicarla nel modo migliore, che raccolga le migliori disponibilità dei diversi soggetti a fare meglio e prima quello che deve essere fatto nell'interesse comune; tutto questo può essere ancora pensato in una linea di ragionamento e di intervento positivo della Regione. Qualora servisse un successivo intervento normativo per migliorare questo strumento e renderlo più utilizzabile perché escludere che possa esservi?
Per cui, se questo è il filo di riflessione che sorregge questa riunione del Consiglio regionale, io credo che questo Consiglio possa tranquillamente (mi avvio a concludere in sede di discussione generale, riservandomi di tornare puntualmente su alcuni degli istituti normativi che si propongono) compiere un passo avanti comunque, senza misconoscere meriti e senza nascondere responsabilità e colpe, nell'interesse generale; e dentro questa linea di ragionamento e di riflessione pensare sin d'ora a come completare l'opera della pianificazione paesistica, a come migliorare la normativa, a come recuperare tutti gli strumenti che possono essere utili per la salvaguardia dell'ambiente, che è una delle funzioni della civiltà e dello sviluppo, e quindi ricondurre tutti gli interventi regionali al progresso generale, allo sviluppo, alla crescita civile, nel suo insieme, della nostra Regione.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Antonio Satta. Ne ha facoltà.
SATTA ANTONIO (D.C.). Signor Presidente, colleghi consiglieri, il ragionamento politico che si sta elaborando questa sera in quest'Aula, credo che sia una prova, seppure ve n'è bisogno, della coscienza che ciascuno di noi prende e ha preso su questo delicato problema ormai all'attenzione dell'Assemblea regionale da lungo tempo. C'è anche la coscienza che questo ragionamento possa svilupparsi concordemente in termini distesi, come sta avvenendo in questo dibattito, e che porti sicuramente a una conclusione operativa che ponga fine a un balletto di proposte e controproposte spesso fatte non per chiudere ma per lasciare aperti i varchi e quindi non consentire una risposta definitiva che dia certezze alla collettività sarda.
Credo che tutti siamo consapevoli delle responsabilità che ciascuno di noi ha su questo argomento, per la parte che lo riguarda ovviamente, dal 1985 in poi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERRENTI
(Segue SATTA ANTONIO.) Credo ancora che siamo consapevoli tutti che comunque questo processo è stato complesso, difficile, più difficile di quanto si pensasse, perché evidentemente una pianificazione paesistica che è partita da origini diverse da quelle che sono le linee della legge numero 45, (quindi con questo continuo movimento di metodi, di sistemi, di studi) ovviamente ha portato ad un rallentamento, forse per un maggior approfondimento, così bisogna credere, verso la conclusione dell'iter.
Io non ho difficoltà ovviamente, avendone fatto parte, a riconoscere alla Commissione urbanistica e ai suoi Presidenti, Ferrari prima e Gabriele Satta poi, il lavoro serio, corretto, incisivo, onesto che su un tema così delicato si è riusciti a portare avanti nell'intento di dare appunto una risposta ancora più puntuale. Per questo è maturata l'esigenza in questi anni di modificare ancora una volta l'iter procedurale di approvazione, ponendo finalmente fine ad un equivoco di fondo contenuto nella legge 45 circa i ruoli del Consiglio regionale e della Giunta regionale per l'approvazione, o meglio l'adozione prima, l'esame e l'approvazione poi dei piani territoriali paesistici. Io sono soddisfatto di questa presa di coscienza, di questa grande novità che solo tre anni fa, proposta dal sottoscritto, fece gridare allo scandalo, sembrando quasi che volesse sovvertire i ruoli istituzionali così come la 45 prevedeva.
Finalmente ci si è resi conto tutti insieme che questa Assemblea è un'Assemblea legislativa non deliberante, e che quindi il piano territoriale paesistico, pur importante, essendo comunque un atto amministrativo doveva rimanere come tale alla competenza e alla responsabilità dell'Esecutivo. Con questa legge si pone fine a questa dialettica, a questa commistione di poteri e si fa chiarezza legislativa in proposito.
Io non posso non soffermarmi qualche minuto sui piani territoriali paesistici. Sono abituato da sempre, quando partecipo ad organi collegiali, nel momento in cui una proposta di un Assessore, chiunque esso sia, su un argomento viene approvata anche dal sottoscritto, ritenere che da quel momento quell'atto, quella deliberazione diventano anche miei, non più solo del collega, diventano dell'organo collegiale, della Giunta se della Giunta, della Commissione se della Commissione. Sembra che di questi piani, signor Presidente, ci siano coloro i quali sono i padri da crocifiggere - fra questi dovrei esserci io, pur non avendone competenza per legge perché questa è la scelta del Consiglio regionale - e ci sono coloro i quali invece sono stati all'avanguardia nel non proporre nulla ma per esaltare studi, signor Presidente, di eminenti studiosi, di grandi esperti anche a livello nazionale, studi di dettaglio esperiti su cartografie IGM del '58, scala 1:25.000, qualcuno scala 1:50.000 e uno addirittura scala 1:100.000.
Signor Presidente, studi che, per esempio, per rimanere nel concreto, svolgono un'analisi dettagliata della costa nord-orientale della Sardegna, della Costa Smeralda, di Porto Rotondo, delle zone che hanno avuto insediamenti turistici di rilievo senza che questi ancora esistessero. Francamente quando si dice che bisogna mandare in onda questi studi viene da chiedersi se è una battuta, una provocazione oppure se effettivamente qualcuno fa sul serio perché non li ha mai letti e non ha mai verificato questi studi con la realtà dei territori. C'è stato uno sforzo solo successivamente; con gli enti locali, su questi studi, non solo non c'è mai stato un confronto, ma neppure un'intesa minima di ricerca, attraverso quella che era fino a quel momento la strumentazione urbanistica vigente, per far si che almeno su una base comune ci fosse un'intesa per un lavoro che portasse a un miglioramento della situazione. Debbo dire soltanto nella fase finale questo confronto, seppure previsto per legge, è avvenuto, anche se carente.
(Brusio in aula)
Presidente, anch'io ho delle difficoltà, parlando a braccio, non chiedo che siano tutti presenti, ma chiederei anch'io un po' di attenzione come fanno solitamente i colleghi quando parlano. Sono infatti concetti non sempre semplici e quindi scusate se chiedo un po' di attenzione, a chi la vuol dare.
Dicevo quindi, signor Presidente, questo ragionamento politico, cui faceva cenno poc'anzi il collega Cogodi, che passa attraverso una rivisitazione di tutto il lavoro fatto (lavoro che, occorre riconoscerlo, ha comunque una validità scientifica) ma non è un vangelo intoccabile, lo ha sempre dichiarato la Giunta questo con un confronto leale, corretto, serio del Consiglio regionale, può portare a delle conclusioni anche diverse nella sua enunciazione e nella sua elaborazione conclusiva. Ma, signor Presidente, nel momento in cui il Consiglio si ritrova d'accordo per distinguere i ruoli del Consiglio e della Giunta, nel momento in cui la proposta di legge pone in capo alla Giunta l'approvazione definitiva dei piani e al Consiglio invece l'emanazione di una regolamento come base fondamentale delle norme generali (anche se pare che bisogna modificare il testo per evitare qualche complicazione in itinere, sono comunque delle norme fondanti sulle quali poi i piani stessi dovranno poggiare la loro stessa successiva elaborazione attraverso un ulteriore approfondimento con gli enti locali) allora davvero tutto il lavoro di questo Consiglio deve proiettarsi verso la pianificazione paesistica.
Se è vero che i 300 metri possono sembrare, come diceva Gabriele Satta, una crescita, il frutto di una nuova coscienza più sensibile ai problemi dell'ambiente, credo che abbia ragione Cogodi quando afferma che non ha senso in un processo di pianificazione paesistica parlare di distanza di 300, 500 o 150 metri generalizzata; per questo significa veramente porre i presupposti perché la fantomatica città lineare, di cui si parla da un decennio, possa decollare; cosa che non può invece avvenire se le scelte di salvaguardia non sono ancorate a una valutazione attenta dell'intero territorio costiero, che in Sardegna è diversificato e non omogeneo.
Questo può avvenire, signori colleghi del Consiglio, soltanto se vi è uno studio particolareggiato del territorio che non può fare certamente una pianificazione regionale ma che non può non essere demandato all'autonomia dei comuni, ai quali noi diciamo sempre di voler dare molta autonomia a parole, ma in ogni occasione concreta riteniamo che i comuni non abbiano la capacità, la forza, l'intelligenza, di saper scegliere nell'interesse generale. Soltanto il piano urbanistico comunale può essere in grado di decidere, una volta definita la fase generale della pianificazione paesistica cioè dell'indicazione generale, quale distanza, nell'ambito di quel territorio è limitativa; può essere limitativo anche il limite di 1000 metri in presenza di situazioni davvero delicate, ma 300 metri così secchi vuol dire davvero creare i presupposti per una corsa a chi arriva pinna per mettere i paletti e per far si che veramente possa svilupparsi la così detta città lineare, cioè quello che nessuno ha mai voluto, che nessuno vuole e che nessuno vorrà mai.
Se questo limite serve come punto di partenza per poterlo poi approfondire con studi particolareggiati, che i comuni dovranno fare con i loro PUC, credo che si possa trovare il consenso, ma ripeto, senza che questo snaturi davvero quello che è il contenuto del piano stesso perché altrimenti, colleghi del Consiglio, noi non abbiamo fatto un passo avanti, noi stiamo tornando indietro, ci stiamo qualificando soltanto con le scelte vincolistiche e non con quelle scelte chieste dalla 45, da sempre capaci di coniugare lo sviluppo con la difesa e la salvaguardia dell'ambiente.
Su questo dobbiamo misurarci, non sui numeri, si parla di 65 milioni di metri cubi, la Lega ambiente - che io rispetto perché esprime sensibilità importanti e notevoli della società delle quali bisogna tenere conto - la classe politica, una Giunta regionale, un Consiglio regionale non possono certamente presentare un loro vangelo perché ogni proposta è certamente modificabile e può essere sempre migliorata, certamente non ci può essere un vangelo secondo Tiana, secondo Lega ambiente e così via. Davvero non c'è motivazione profonda se non un elenco di cose da fare nelle richieste che arrivano puntualmente con elaborati, con fotocopie o con ciclostili. Noi ci si misura, credo, così per dare risposte serie.
Quando il collega Satta (al quale io riconosco grande capacità e soprattutto grande onestà intellettuale, molta serietà ed intelligenza, forse sarà stata la vicinanza e colleganza all'Azuni che mi fa dire queste cose e che mi ha fatto apprezzare da sempre l'amico Gabriele, e il cognome forse) afferma - con tutto il rispetto che devo alla sua affermazione - che non c'è nessuna possibilità per quanto riguarda gli alberghi in discussione, io posso anche concordare, ma francamente mi domando se un Consiglio regionale può dare una risposta affermando che, per quanto riguarda i nulla osta alberghieri, chi ha diritto lo farà valere, se può, chi non ha diritto peggio per lui, pace! Credo che nemmeno il presidente Satta volesse dire questo, perché diversamente noi dobbiamo ammettere che viviamo non in una Regione che si fonda sul diritto e sul rispetto dei diritti, ma in una giungla, in uno stato diverso dove le leggi si emanano, ma si fa finta che non esistano, e si contestano anche senza avere il coraggio di modificarle.
Per quanto riguarda, colleghi del Consiglio, gli alberghi, ma vogliamo dire la verità fino in fondo, signor Presidente? Vogliamo fare un dibattito serio, una volta per tutte, su questo argomento, fino in fondo? La 45 ha operato una scelta o no quando ha stabilito due anni di sospensiva (poi diventati tre anni e quattro mesi ad oggi, a fine mese) dicendo stop alle seconde case, quindi alle residenze, e scegliendo l'alberghiero, dicendo che questa era una linea da seguire in Sardegna? La legge ribadiva che ci dovevano essere i requisiti previsti dalla legge numero 22 dell'84 cioè la legge sugli alberghi. Mai nessuno in Consiglio ha proposto la modifica della legge numero 22, se era inadeguata, mai nessuno ha proposto ulteriori novità sui nulla osta, se non, signor Presidente, avere aggiunto che prima del rilascio del nulla osta da parte della Giunta regionale, ci fosse il parere dell'Assessorato del turismo. Questa è stata la modifica del Consiglio regionale.
Allora, colleghi del Consiglio, come ci si dovrà comportare nei confronti di quell'imprenditore il quale, oltre che alla Regione magari ha fatto ricorso agli istituti finanziari ordinari, e il cui albergo nulla ostato si trova in sintonia con le previsioni dello strumento urbanistico vigente nel comune, e con il piano territoriale paesistico che prevedeva i progetti nella fascia dai 150 metri in su?
Oggi, con l'introduzione dei 300 metri generalizzati, si lascia la norma dove si dice che sono fatti salvi gli interventi autorizzati dalla Giunta regionale, purché conformi alla previsione del P.T.P. e degli strumenti urbanistici vigenti. Ma a questi signori che hanno avuto tutte le autorizzazioni in regola con la legge e con gli strumenti urbanistici e con i P.T.P., che hanno addirittura avuto anche le risorse finanziarie da restituire, l'Assemblea regionale cosa dice? "Scusate, abbiamo sbagliato, fino ad ieri abbiamo scherzato, se avete diritto fatevi avanti, diversamente pazienza". Credo che questo non sia un modo di essere nella società, un modo di dare risposte al cittadino.
Signor Presidente, mi riallaccio a ciò che diceva il collega Cogodi, mi pare lo stesso atteggiamento che da dieci anni la Regione ha nei riguardi di un intervento di grande rilievo in Sardegna, il master plan, contutti i limiti e le contraddizioni; la Regione andava forse a violare l'autonomia comunale, ma la Regione lo faceva perché si trattava di un intervento i cui effetti andavano oltre il territorio di quel comune, si trattava di un progetto avente il sostegno addirittura di cinque Giunte regionali, ecco perché l'assessore Cogodi nel rispetto della continuità fece la decretazione delle zone A anomale.
Signor Presidente, occorre, almeno qua dentro, dirci la verità fino in fondo, questo non vuol dire appiattirsi su nessuno, né su gruppi, né su potentati economici o su lobbies; noi lo diciamo apertamente, non giochiamo di rimessa, né sottocoperta, questa iniziativa ha creato i presupposti perché davvero, nel settore del turismo internazionale, si muovessero passi significativi in nome della Sardegna compreso il fatto che la compagnia di bandiera ha portato il nome della Sardegna in tutto il mondo, un ritorno sul piano dell'immagine che nemmeno il bilancio regionale impegnato avrebbe forse potuto portare, non avendo le capacità di creare strutture del genere.
Ebbene, su questa iniziativa l'assessore Cogodi decretò le zone A, zone anomale, zone turistiche a mare, o semituristiche che creavano dei borghi e che furono recepite dagli strumenti urbanistici dei Comuni di Arzachena e di Olbia. Furono fatte salve nella prima stesura della legge 45 e anche nella stesura definitiva, sulla quale nessuno mai ha obiettato alcunché; debbo dire che occorre dare atto della serietà delle Amministrazioni comunali di Olbia e di Arzachena, le quali non hanno approfittato della situazione e dunque non hanno (mentre avrebbero potuto, in quanto le norme nuove non erano ancora approvate) avviato autonomamente un rapporto con gli imprenditori per lottizzazioni convenzionate che avrebbero comunque creato un insediamento in quelle zone. Non è stato fatto perché i due comuni, insieme con la Regione, hanno ritenuto di dover far parte di un accordo più compiuto, più grande, avente respiro più ampio, fuori anche del territorio; cioè un accordo di programma, alcuni filosofia viene descritta molto bene nell'articolo 28 della legge 45, ma che magari andrà riscritto, se vogliamo, reso più pregnante, più forte, più motivato, più garantista.
Signori del Consiglio, colleghi del Consiglio, quale credibilità può avere un istituto regionale che non ha la capacità, in seno all'ente locale, di portare avanti una proposta di sviluppo? Non è pensabile che la Regione non si riappropri di questo strumento, che lo fortifichi, che lo migliori. Signori del Consiglio, lo possiamo fare in questa occasione; allora davvero senza nasconderci dietro un dito, daremo risposte alla gente. Il discorso non riguarda soltanto Olbia e Arzachena ma tutta la Sardegna ed è auspicabile che siano considerati gli interventi di imprenditori affermati e seri, che ci sono o che dovranno arrivare, sardi o non sardi. Siamo in un contesto europeo, caro consigliere Planetta, vogliamo ancora chiuderci?
Inoltre dobbiamo deciderci anche a recitare il mea culpa:noi abbiamo realizzato lungo le coste sarde le più grandi brutture. In Sardegna è arrivata invece, grazie ad imprenditori seri, anche la più bella architettura del mondo, riconosciuta a tutti i livelli; e noi auspichiamo che imprenditori seri arrivino anche in altre parti della Sardegna, se veramente il turismo vuole essere fonte seria di sviluppo, coordinata con altri interventi. Si è sempre detto - anche il presidente Cabras l'ha sempre detto - che non erano importanti i danni personali se la Regione poteva dare risposte intorno a un progetto complessivo di sviluppo, proveniente da un gruppo con capacità finanziarie ed economiche, non solo sotto l'aspetto dell'economia e dell'occupazione, ma anche sotto l'aspetto della sicurezza e della salvaguardia dell'ambiente.
PLANETTA (P.S.d'Az.). Con qualche debito.
SATTA ANTONIO (D.C.). I debiti si hanno anche perché per dodici anni non sono state date risposte. Lei che è imprenditore, consigliere Planetta, sa bene che se la sua impresa non dovesse avere risposte in dodici anni, fallirebbe dopo sei mesi, come impresa, non come persona, chiaramente.
Ma il problema è che questa Regione non può essere considerata affidabile visti i mutamenti di risposta intorno a problemi sui quali c'è stata una tale capacità di elaborazione che i comuni hanno potuto affrontarli, vedi i temi dello sviluppo e dell'occupazione; questo non è un fatto secondario.
Questo Consiglio viene occupato regolarmente ogni qualvolta una impresa o una azienda chiude e molte persone vengono licenziate. Siamo impegnati tutti quanti per salvaguardare il lavoro, per dare risposte contro i licenziamenti, per garantire lo sviluppo, per garantire i posti di lavoro attuali e possibilmente per incrementarli con tutte le difficoltà che esistono in questo momento e che stiamo verificando giorno dopo giorno, nel Sulcis, nel Nuorese, dove abbiamo inventato l'industria di Stato, la petrolchimica; non abbiamo guardato l'ambiente quando abbiamo creato le grandi fabbriche sul mare.
Amici del Consiglio mi sia consentito anche dire che Olbia, nel 1961, ha operato una grande scelta di fondo per il suo sviluppo e la sua economia, ha detto no alla petrolchimica ed ha scelto il turismo pur sapendo che era un processo molto lento, un processo difficile, un processo nel quale la capacità dell'amministrazione pubblica doveva contemperare l'esigenza di confrontarsi con il privato che di volta in volta portava le sue proposte. Una scelta che va oggi premiata e credo che nessuno la debba disconoscere. Olbia è una città di quasi 50 mila abitanti, molti di essi provengono dai paesi dell'interno, e anche dal Campidano, e vi hanno trovato un posto di lavoro, eppure oggi a Olbia esistono 10 mila disoccupati.
Questo Consiglio ha il dovere di dare prospettive diverse sulle quali possiamo confrontarci, cari colleghi, non può soltanto dire che quel tipo di sviluppo non va bene. Questa è la verità! Poi si dice che l'industria turistica è stata fatta da camerieri e da lavapiatti. Caro Planetta, se tu andassi a verificare le maestranze che esistono in quel territorio, troveresti non solo camerieri, che esistono in tutte le parti del mondo, ma troveresti dei sardi ai vertici delle grandi iniziative turistiche con grandi responsabilità, capacità e competenze.
MURGIA (P.S.d'Az.). Sono mosche bianche, eccezioni!
SATTA ANTONIO (D.C.). Caro Giorgio Murgia, non raccolgo questa provocazione: mosche bianche! A voi va bene evidentemente che ci sia uno sfascio. Noi siamo contro lo sfascio, vogliamo che il Consiglio dia una risposta (qui ritorno al ragionamento, introdotto da Gabriele Satta e riprese da Cogodi, che ci porti davvero a trovare insieme una soluzione) complessiva che davvero non fermi lo sviluppo serio, ordinato e corretto del territorio insieme alla sua salvaguardia che tutti quanti, prima di tutto i cittadini residenti, vogliamo. Se su questa linea il Consiglio si muoverà, io credo che tutti, animati da questa volontà di dare risposte nella certezza del diritto, nella salvaguardia dell'ambiente, troveremo tra oggi, domani o dopodomani, se sarà necessario, i presupposti perché questo avvenga.
Signor Presidente, dopo questa analisi che ho ritenuto necessaria per chiarire gli aspetti di una vicenda che molte volte, a chi non segue le cose, può apparire di difficile comprensione, ribadisco che è bene invece che su questi argomenti ci sia chiarezza di posizioni e di espressioni, di motivazioni e, perché no, una intelligente lettura delle norme che ci accingiamo ad approvare in questi giorni.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Manchinu. Ne ha facoltà.
MANCHINU (P.S.I.). Onorevole Presidente, onorevoli consiglieri, prima di entrare in argomento, vorrei brevemente fare un accenno a un articolo, firmato dal vicedirettore di un giornale sardo, nel quale si dice che i consiglieri, o alcuni consiglieri, sono sottoposti a pressioni, ad accordi sottobanco o cose di questo genere, che si ripercuotono poi nei confronti di tutto il Consiglio regionale. Mesi or sono abbiamo approvato una legge con la quale abbiamo distinto il ruolo esecutivo dal ruolo legislativo, evitando così che l'esecutivo avesse nel suo seno consiglieri regionali. Io ero uno di quegli Assessori che votarono quella legge giusta ed opportuna pur sapendo che come consigliere non si sarebbe più ricoperta la carica di Assessore. Quindi, il minacciare al pubblico ludibrio il Consiglio regionale o i Gruppi politici che dovessero chiedere il voto segreto per l'approvazione di questo provvedimento, dicendo che il Consiglio si sottopone a una buffonata, credo che sia un fatto altamente lesivo del Consiglio regionale, che qualifica chi l'ha scritto, e che certamente è una indebita pressione nei confronti del Consiglio regionale.
Ciascuno di noi può fare scelte in un senso o in un altro e penso col massimo di onestà intellettuale. Io credo di non dipendere né dall'Aga Khan né da Rovelli, né da Berlusconi, né da Caracciolo o da altri, ma di esprimere la mia opinione pensando esclusivamente agli interessi della Sardegna e non agli interessi di gruppi che possono operare legittimamente in Sardegna e non agli interessi di gruppi che possono operaie legittimamente in Sardegna. Questo lo voglio dire perché si parla di un ritorno alla moralità; siamo tutti quanti in discussione e quando dico tutti, dico i politici, la classe dirigente e anche chi fa giornalismo in questo modo. Ho detto altre volte che chi ha la penna la deve utilizzare in modo serio e corretto; sia ben chiaro, io non sono per mettere il bavaglio ai giornalisti, dico che i giornalisti devono fare giornalismo in modo serio e corretto. Questo non significa mettere il bavaglio ad alcuno. Ci deve essere libertà di stampa, ma deve essere una stampa corretta; dobbiamo dire queste cose! So benissimo che la stampa in questo caso può uccidere ignorando la gente, però preferisco essere ignorato piuttosto che rinunciare al mio essere consigliere regionale che vuole dire le cose che pensa, ripeto, senza essere per questo accusato di subire pressioni da Tizio, Caio o Sempronio.
Detto questo voglio fare una breve considerazione sulla modifica della legge regionale numero 45, legge che segue quello che noi abbiamo fatto come Consiglio regionale, lo ha detto mi pare anche il Presidente della Commissione, Satta. Abbiamo ritenuto che fosse necessario rendere più netta la separazione dei ruoli e delle competenze fra l'attività di governo e l'attività legislativa. I piani territoriali paesistici, pertanto, essendo certamente atti amministrativi ad alto contenuto tecnico, dovevano essere sottratti all'Assemblea legislativa dal momento in cui è nata la legge numero 45, per essere ricondotti all'approvazione definitiva della Giunta regionale. Sulla procedura di approvazione dei piani, e quindi sulla modifica dell'articolo 11 della legge numero 45, vi è stato accordo unanime delle forze politiche presenti in Commissione urbanistica. La firma del sottoscritto, che viene riportata nel testo di legge, mirava essenzialmente ad ottenere che la fase di approvazione della legge dei piani paesistici venisse affidata definitivamente alla Giunta regionale.
Io voglio fare un breve passo indietro per quanto riguarda i piani paesistici, e in particolare faccio riferimento alla Giunta regionale presieduta dall'onorevole Floris, la quale in data 25 luglio 1991 (d'intesa con l'assessore Satta, anche allora Assessore dell'urbanistica ed enti locali, l'assessore Cabras, allora Assessore della programmazione, l'assessore Casula, Assessore dell'ambiente) approvava i progetti di piani territoriali paesistici, o meglio gli studi dei piani territoriali paesistici, e li pubblicava avviando così il procedimento di approvazione. L'Assessore della pubblica istruzione in tale circostanza (qualcuno dice che si sia trattato più che di una riunione di Giunta, di una riunione spiritica, dove qualcuno era in trance e aveva la funzione di medium quindi ciò che diceva non era di sua appartenenza ma era il veicolo attraverso il quale veniva esternato un certo progetto) di intesa con gli Assessori che ho citato, rappresentò alla Giunta l'opportunità che alla deliberazione di approvazione dei progetti di piani venisse allegato un documento, le cosiddette note di accompagnamento; e io voglio citare alla lettera alcuni brani di questo documento.
Per quanto riguarda la costa, dove il confronto più diretto riguarda le aspettative di sviluppo turistico, la Giunta ribadisce alcuni obiettivi prioritari che anche attraverso l'adozione dei piani dovrebbero essere perseguiti, e cioè l'assoluto privilegio da accordare all'impresa turistica che realizzi proposte di offerte di qualità a rotazione d'uso alle rivalutazioni dei centri abitati come sedi della ricettività; tutto questo per un recupero della direzionalità all'assoluto divieto di proseguire nel disegno sinora realizzato di una città lineare costiera. Ciò comporta l'adozione di una linea politico-economica e territoriale la quale, per i progetti realmente incidenti sulla crescita economica e sociale, passa anche attraverso lo strumento dell'accordo di programma che, per sua stessa natura e per i soggetti coinvolti, realizza il massimo di integrazione fra le diverse possibili valutazioni paesistico-territoriali, economico-sociali, eccetera Si continua a leggere nella nota che nel quadro di reciprocità di intenzioni, gli strumenti urbanistici comunali non dovranno essere stravolti nel senso delle legittime aspettative e priorità di sviluppo indicate dalle collettività locali. Questa parte saliente delle note di accompagnamento l'Assessore della pubblica istruzione aveva enunciato in quella riunione di Giunta e la Giunta poi l'aveva fatta propria.
La modifica della legge numero 45 proposta dalla Commissione urbanistica del Consiglio regionale e incentrata essenzialmente sulla creazione di un vincolo di inedificabilità generalizzato nella fascia dei 300 metri dal mare, nonché sulla previsione di nuove zone di espansione residenziale esclusivamente in contiguità con gli attuali centri abitati, può avere - certamente ha - un facile consenso sui mass media per l'apparenza di imparzialità e di rigore di cui è stata accreditata, piuttosto che conseguire una articolata e meditata pianificazione delle risorse paesistiche ed ambientali al cui corretto utilizzo, anche ai fini di valorizzazione turistica, è legata in gran parte la speranza di sviluppo della nostra economia. Tale impostazione, a mio parere, appare scarsamente condivisibile per svariati ordini di motivi; sotto il profilo della legittimità amministrativa, l'introduzione - alla conclusione dell'iter di formazione del piano territoriale paesistico - di una normativa perentoria, generalizzata, e fortemente modificativa del loro contenuto, incide fortemente sulle pregresse situazioni quesite col prevedibile risultato di avvivare pesanti contestazioni di carattere giuridico sui P.T.P., vanificandone e forse ritardandone ulteriormente l'ormai improcrastinabile operatività.
Io vedo che l'assessore Azzena, Assessore del paesaggio, all'indomani della notizia data dell'approvazione del vincolo generalizzato, dichiara di essere favorevole ma allo stesso tempo solleva l'unica obiezione tecnica possibile, io leggo la dichiarazione e cioè che un vincolo generalizzato non significa pianificazione urbanistica. Da ciò deduco che la Giunta è contraria a questa norma introdotta dalla Commissione urbanistica; però continuo a leggere e vedo che dice ancora che poiché si tratta di vincolo generalizzato, proprio per questo motivo, finisce per essere connaturato alla fruibilità del bene. Questa è una contraddizione! Professor Zucca, mi fa pensare alla Sibilla Cumana alla quale si rivolgevano i soldati che andavano alla guerra chiedendo quale sarebbe stata la propria sorte, la Sibilla diceva: "ibis redibis non morieris in bello". Quando i parenti del povero soldato morto ritornavano dalla Sibilla a protestare, lei replicava dicendo di aver detto "ibis redibis non" cioè: "andrai, non ritornerai, morirai in guerra". Quindi quella parcella che avevano pagato rimaneva in mano alla Sibilla.
Voglio dire: o si è favorevoli o si è contrari. Sotto il profilo della capacità programmatoria, questo fatto comporta la rinuncia alla pianificazione urbanistica ed ambientale di parti delicate del territorio e configura un giudizio di incapacità degli enti locali, e in primis dell'amministrazione regionale, alla gestione attiva del proprio patrimonio ambientale, cioè la incapacità di esaminare ciascuna proposta privilegiandone la qualità, lo spessore culturale, la specificità, la compatibilità, la redditività globale, e limitandosi al rispetto burocratico e formale di una norma.
Faccio inoltre rilevare che la fascia dei 500 metri deve essere assoggettata all'accordo di programma, con l'intervento di una pluralità di soggetti istituzionali e privati nella definizione dell'intervento, che realizzi il massimo dell'integrazione tra le diverse possibili valutazioni paesistico-territoriali, economiche e sociali. Non è neppure chiaro come potranno essere realizzati quegli interventi (porti, approdi turistici e connesse attrezzature di contorno) per loro natura ubicati in contiguità della costa. Sotto il profilo delle tipologie di insediamento possibili, vi è il fondato pericolo che risulti fortemente incentivata la realizzazione di una città lineare e costiera, attestata al limite di 300 e 500 metri, il cui assoluto divieto sembrava essere, così come ho letto nelle note di accompagnamento, parte non irrilevante della politica regionale di pianificazione paesistica. Analogamente l'obbligo di nuove zone C contigue all'abitato esistente, prefigura una crescita radiocentrica e a macchia d'olio dei centri abitati, del tutto in contrasto con le più aggiornate tendenze di pianificazione urbana.
A mio parere non è stata accolta appieno, o è stata sottovalutata, la portata innovatrice dello studio di compatibilità paesistico-ambientale, posto a base della riscrittura dei piani territoriali paesistici, effettuata dalla Giunta regionale sulla base della normativa di omogeneizzazione. A questo strumento, che recupera il fondamentale apporto dell'ente locale nella pianificazione territoriale, stimolando la collaborazione e la sensibilità tra questo e la Regione, è demandata l'individuazione dettagliata delle destinazioni d'uso dei territori paesisticamente a rischio, nonché dei carichi volumetrici eventualmente compatibili, e la descrizione analitica dei luoghi oggetto dell'intervento. Lo studio di compatibilità paesistico-ambientale, eventualmente affinato nei contorni e nelle procedure e con le previsioni di identificabilità nella fascia dei 300 metri e delle zone C come norme di indirizzo, può rappresentare lo strumento di garanzia della corretta pianificazione territoriale paesistica, anche in considerazione del fatto che dovrà essere sottoposto alle valutazioni della Giunta regionale, e che l'esito negativo dell'accertamento di compatibilità comporta l'inattuabilità giuridica dell'iniziativa.
In conclusione ritengo auspicabile che, abbandonata l'impotente illusione di conseguire la salvaguardia delle aree costiere paesisticamente a rischio, con norme generalizzate ed assolute, la corretta gestione delle risorse paesistico-ambientali possa essere perseguita con una disciplina dell'uso turistico nella fascia dei 500 metri dal mare, visto come uso edificatorio-turistico, di norma limitato al solo ricettivo alberghiero, ed eventualmente integrato da strutture complementari e di servizio. Tale uso edificatorio alberghiero, integrato o no, dovrà evitare rilevanti compromissioni lineari della fascia costiera, tenersi di norma arretrato di almeno 300 metri dal mare e riguardare non rilevanti segmenti di costa; dico di norma, cioè quella dei 300 metri deve essere una norma di indirizzo ma non può essere tassativa. Detto uso edificatorio, obbligatoriamente subordinato allo studio di compatibilità paesistico-ambientale, nonché all'adozione dell'accordo di programma, di cui all'articolo 28, deve essere ben definito oggi per un qualsiasi intervento nella fascia dei 300, 500 metri; è necessario fare l'accordo di programma.
Noi dobbiamo prevedere accordi di programma che abbiano una ricaduta socioeconomica-occupazionale che interessino rilevanti fasce di territorio e che abbiano una valenza regionale, per i quali può essere derogata la possibilità di incidere oltre la fascia dei 300 metri. Questo strumento (a me dispiace che alcuni colleghi incentrino il problema sulla fascia costiera della Gallura, vedi Olbia e Arzachena) io credo debba essere usato in modo generalizzato, per questo tipo di interventi in tutta la Sardegna laddove sia possibile valutare che le procedure siano il più possibile garantiste; questo per evitare che l'accordo di programma diventi un grimaldello per aggirare la norma.
Io credo quindi, per concludere, che nessuno di noi è contrario a norme che indichino delle fasce di rispetto che potrebbero essere non di 300 metri o di 500 metri, ma di 600 o 700 metri; ciascuno di noi può essere più ambientalista dell'altro anche se aumenta di 100 o di 200 metri la fascia di rispetto. Io credo che non sia questo il discorso, noi sappiamo che la Sardegna ha coste completamente diverse.
Lo studio dei piani paesistici si è incentrato su alcune considerazioni dalle quali è emerso un certo disegno; certamente ritengo che non sia il miglior disegno del mondo, può essere rivisto, però credo che non si possa diventare programmatori o pianificatori del territorio per il solo fatto di emanare una norma come quella che prevede un vincolo di inedificabilità a 300 metri dal mare perché in questo caso io voglio essere più ambientalista dell'ingegner Tiana e portare il vincolo a 1000 metri.
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio proseguiranno domani mattina alle ore 10.
La seduta è tolta alle ore 19 e 55.
Allegati seduta
Testo delle interrogazioni annunziate in apertura di seduta
Interrogazione Onida, con richiesta di risposta scritta, sulle gravissime conseguenze dell'apertura di una nuova strada nel perimetro dell'istituendo parco del Sinis-Montiferru.
Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente della Giunta regionale e l'Assessore regionale della difesa dell'ambiente, per accertare se siano esattamente a conoscenza delle gravissime conseguenze, sul piano del danno ambientale e della perdita del patrimonio storico culturale, derivanti dalla realizzazione, nella pregevole zona sita ad ovest dell'abitato di Milis, di una variante alla s.p. Tramatza-Milis-Seneghe (circonvallazione di Milis), e per sapere se ritengano che sia stata correttamente effettuata l'istruttoria da parte dei competenti uffici regionali, come sarebbe stato necessario prima di concedere, ai sensi dell'articolo 26 della legge regionale n. 31 del 1989, l'autorizzazione per l'apertura di una nuova strada carrabile nel perimetro dell'istituendo parco naturale del "Sinis-Montiferru".
Il sottoscritto, premesso che gli organi di informazione regionali hanno dato ampio risalto, negli scorsi mesi di gennaio e febbraio, alla notizia di una complessa battaglia legale ingaggiata da un nutrito gruppo di cittadini di Milis contro l'amministrazione provinciale di Oristano per ottenere la sospensione dei lavori di realizzazione di una nuova strada di circonvallazione destinata a sconvolgere le caratteristiche paesaggistiche ed ambientali della zona degli agrumeti e delle sorgenti nota come "Vega di Milis"; E' noto che le censure sollevate in relazione all'operato dell'amministrazione provinciale erano incentrate sull'omessa valutazione di una pur validissima soluzione alternativa (costituita dall'allargamento - con sicura economia di spesa e minore impatto ambientale - delle esistenti strade provinciali e comunali polverose site nella zona ad est dell'abitato, dove non sarebbe stato alterato il sistema idrogeologico né sconvolta la tradizione della coltura degli agrumeti) e sulla mancata richiesta dell'autorizzazione dell'Assessore della difesa dell'ambiente, necessaria ai fini del rispetto delle norme di salvaguardia dei parchi regionali.
Sennonché, per quanto risulta, dopo aver ricevuto la notifica del citato ricorso (e dunque quando i lavori erano già stati perfino appaltati), l'amministrazione provinciale di Oristano ha precipitosamente richiesto l'autorizzazione mancante, che è stata tempestivamente rilasciata dall'Assessore della difesa dell'ambiente con la nota protocollo n. 39157, in data 9 febbraio 1993 (cioè nello stesso giorno in cui il TAR era riunito per esaminare l'istanza di sospensione degli atti relativi al progetto, all'appalto ed alle espropriazioni), sulla scorta del solo parere del coordinatore f.f. del Servizio idrografico regionale, che è stato a sua volta richiesto e concesso nell'arco dell'unica giornata dell'8 febbraio 1993.
L'episodio che si è testé riassunto indurrebbe a svolgere una serie di considerazioni sul contrasto fra la scrupolosa attenzione posta dal legislatore regionale alla delicata materia della tutela dei valori naturali, scientifici, storico-culturali e paesaggistici ed il ben differente atteggiamento di superficialità spesso dimostrato dall'amministrazione regionale nella concessione dei nulla osta e delle autorizzazioni relative.
Tuttavia, in questa sede, ci si limiterà a sottolineare alcuni aspetti della vicenda che appaiono paradossali:
1) anzitutto, si chiede di conoscere perché l'autorizzazione dell'Assessore dell'ambiente sia stata rilasciata sulla base del solo parere del coordinatore del servizio idrografico "sull'incidenza che la realizzazione dell'opera potrebbe avere sul regime delle acque sorgive e freatiche che interessano la zona", e dunque senza affatto considerare le altre straordinarie caratteristiche ambientali nonché il pregio storico-culturale e paesaggistico della zona interessata dalla circonvallazione (che infatti hanno indotto la Sovrintendenza ai beni ambientali ad apporre il proprio vincolo);
2) inoltre, si domanda perché l'Assessore competente non abbia sottoposto il problema all'esame del comitato tecnico consultivo per l'ambiente naturale (nel quale sono rappresentanti anche gli enti locali e le associazioni ambientalistiche e sono presenti esperti in botanica, geologia, idrobiologia, agraria, inquinamento), come prescritto dagli articoli 8 e 9 della legge regionale n. 31/89,trattandosi di una questione attinente ai programmi di difesa delle aree protette;
3) peraltro, non si può far a meno di sottolineare che l'autorizzazione è stata rilasciata anche se (verosimilmente a causa dell'urgenza), il parere del coordinatore del servizio idrografico è espressamente definito una "prima analisi" fondata su dati presuntivi, "non è fatto esaustivo" e si esprime in termini alquanto generici ("pare comunque presumibile", "parrebbe comunque assai improbabile"), tanto che lo stesso Assessore si è limitato ad affermare che "la realizzazione della circonvallazione non dovrebbe, con opportuni accertamenti tecnici e modifiche di tracciato apportare variazioni sostanziali all'attuale regime delle acque", seppure ciò lo abbia illogicamente indotto ad assentire comunque l'autorizzazione, pur in presenza di tali motivi di perplessità, anziché esperire l'ulteriore istruttoria;
4) senza contare che, per quanto è dato di sapere, la scelta del sito della circonvallazione non è condivisa neppure dai tecnici dell'Ispettorato forestale di Oristano, che hanno effettuato numerosi sopralluoghi insieme ai Carabinieri del nucleo operativo ecologico.
La presente ha il carattere dell'urgenza, stante la fase di avanzata realizzazione dei lavori. (536)
Interrogazione Serrenti - Meloni - Planetta - Ortu - Puligheddu - Ladu Giorgio - Demontis, con richiesta di risposta scritta, sullo stato della spiaggia della "Pelosa"a Stintino.
I sottoscritti,
PREMESSO che la spiaggia della "Pelosa" a Stintino (SS) mostra indelebili i segni e i danni che l'erosione delle correnti dei mari ha provocato,
chiedono di interrogare l'Assessore regionale dell'ambiente per sapere:
1) se non ritenga opportuno considerata anche l'importanza che sotto il profilo economico la spiaggia della "Pelosa" riveste, chiedere al Ministero competente l'istituzione di un'apposita Commissione di studio, volta a valutare con perizia ed altri studi specifici, le cause di un così evidente danneggiamento;
2) se non ritenga necessario approntare, nel contingente, misure urgenti per limitare il fenomeno, in considerazione del fatto che gli interventi atti a limitare l'impatto e la forza delle correnti marine, dovranno essere conseguenti a studi e ricerche, per poter essere considerati unanimemente validi ed efficaci. (537)
Interrogazione Pau, con richiesta di risposta scritta, sulla chiusura dell'impianto di macellazione di Nuoro e sulla crisi del comparto zootecnico isolano.
Il sottoscritto,
PREMESSO:
- che in data 16 febbraio 1993 il mattatoio di Nuoro è stato posto sotto sequestro dall'autorità giudiziaria;
- che in data 2 marzo 1993 l'amministrazione comunale di Nuoro ha inoltrato all'Assessorato regionale dell'agricoltura richiesta di finanziamento finalizzato all'adeguamento del mattatoio alle norme comunitarie;
- che in data 30 marzo l'Assessorato ha risposto che lo stesso non dispone di norme legislative né finanziarie che consentano finanziamenti a favore dei Comuni;
- che il Comune di Nuoro ha ottenuto la deroga alle norme comunitarie da parte del Ministero della sanità sulla base di un programma di ristrutturazione per una spesa globale di circa 2 miliardi difficilmente sopportabili dalle casse comunali, che dovrebbe concludersi il 31 dicembre 1995;
- che di recente sono stati chiusi in zona 10 macelli privati ed altri pubblici stanno per essere chiusi;
CONSIDERATO:
- che il settore dell'allevamento zootecnico attraversa una crisi senza precedenti;
- che gli allevatori della zona sono costretti a sobbarcarsi ingenti spese di trasporto per la macellazione delle carni;
RILEVATO che lo stato di grave malessere non investe la sola provincia di Nuoro, ma riguarda l'intero comparto zootecnico dell'isola,
chiede di interrogare il Presidente della Giunta regionale, l'Assessore regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale e l'Assessore della sanità per sapere, vista la situazione d'emergenza verificatasi, se non ritengano necessario varare un piano organico per l'adeguamento degli impianti di macellazione alle direttive CEE n. 497/91 e 498/91 che ne dettano i requisisti igienico-sanitari e nel contempo attuare una urgente azione di intervento che consenta la riapertura immediata almeno dei mattatoi zonali. (538)