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Perché è necessaria e urgente la riforma della sanità sarda

Per la prima volta in Italia, le aspettative di vita anziché aumentare diminuiscono, nonostante il miglioramento delle tecniche di diagnosi e l’efficacia nelle cure. 
Il tema della salute è primario, la possibilità di accesso ai servizi per tutti e la sua qualità determinano il grado di civiltà di un paese. La scelta di una sanità pubblica, di qualità ed ubiquitaria non è rinunciabile, neanche nei momenti di crisi nei quali è necessario intervenire, ma non con tagli non accompagnati da una razionalizzazione complessiva del sistema.
Sin dall’avvio della legislatura è parsa evidente la necessità di intervenire sulla sanità regionale.
Gli attuali livelli qualitativi e quantitativi di erogazione delle prestazioni, oltre ad avere dei costi non sostenibili (la metà del bilancio regionale e 400 milioni di euro più del dovuto) non corrispondono agli standard ottimali, né ad una equa distribuzione territoriale.
Il tentativo di contenere i costi, evitando gli sprechi e mantenendo l’attuale organizzazione delle Aziende sanitarie non è servito, generando in alcuni casi un’ accentuazione delle differenze tra territori e in altri una contrazione dei servizi.
In questo quadro, come misura emergenziale, il Consiglio ha indicato la soluzione nel concentramento delle funzioni gestionali in un’ unica ASL, articolata in sotto strutture territoriali.
Il vero tema resta quello della riorganizzazione del sistema oggi basato principalmente sulle strutture ospedaliere. L’ inadeguatezza di risposte nel territorio comporta un uso improprio dei servizi di pronto soccorso e dei ricoveri che sono causa di malfunzionamento e di un insostenibile aumento dei costi.
Il primo intervento deve essere  la riorganizzazione del sistema territoriale. Ad iniziare da quello di Emergenza (118) che deve garantire risposte paritarie, in caso di pericolo di vita, su tutto il territorio. La Sardegna è l’unica regione a non avere ancora un servizio di elisoccorso dedicato, il sistema è fermo alla fase sperimentale (’98) e ad oggi non è stato attivato alcun punto di primo soccorso pur previsto dal piano sanitario.
Contemporaneamente  vanno potenziati i servizi sanitari sul territorio, con le case della salute, il rafforzamento dei servizi di specialistica, unici strumenti in grado di ridurre le liste d’attesa e i ricoveri.
Da qui bisogna partire per arrivare ad un riordino della rete ospedaliera che risponda alle esigenze di salute nei territori, agli standard quali – quantitativi delle prestazioni e a quelli numerici per i posti letto, senza che questo sia vissuto come una sottrazione piuttosto che un miglioramento dei servizi.
Il modello hub e spoke è un buon modello, a condizione che i due hub previsti (Cagliari e Sassari) abbiano un equilibrio che tenga conto della realtà della regione e che rispondano in maniera ottimale alle esigenze delle diverse aree dell’isola.
Nessuno vuole difendere o farsi curare in reparti dove non è garantita la qualità, l’appropriatezza e la sicurezza delle prestazioni, ma questo deve essere spiegato e condiviso.
Prendiamo ad esempio i punti nascita: il grado di sicurezza per la madre e il nascituro è garantito secondo degli standard per servizi che garantiscono almeno 400 nati/anno. In Sardegna utilizziamo il limite di 200 nati/anno. Se spieghiamo che sotto quella soglia il rischio diventa troppo alto e contestualmente assicuriamo un adeguato sistema di monitoraggio della gravidanza con un servizio dedicato di trasporto assistito, credo che nessuno vorrebbe correre rischi e non ci sarebbero richieste di difesa a priori di queste strutture.
Il riordino della rete ospedaliera è una priorità, ma in un quadro di riorganizzazione complessiva della sanità che sia associato al riordino della rete territoriale e che trovi i giusti equilibri.
Questa è la strada per una sanità sostenibile, di qualità e all’altezza delle aspettative dei sardi.

Gianfranco Ganau
Presidente  Consiglio regionale della Sardegna

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