Versione per la stampa http://www.consregsardegna.it/wp-content/plugins/print-o-matic/css/print-icon-small-black.png

Nota stampa della seduta n. 408 del 28 aprile 2008

CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA XIII LEGISLATURA

Ufficio Stampa

Nota stampa della seduta della seduta n. 408

del 28 aprile 2008

Celebrata in seduta solenne “Sa die de sa Sardigna”. Per il presidente del Consiglio, Spissu, l’occasione per rafforzare la nostra identità e l’autonomia, nel momento in cui la questione Settentrionale indebolisce le storiche rivendicazioni del Meridione.

Cagliari, 28 aprile 2008 – Se una comunità ha bisogno di riti e liturgie per riconoscersi, Sa die de sa Sardigna, che ricorda la cacciata dei piemontesi e del loro pesante gioco colonialista dall’isola, non è una forzatura, ma un’occasione di ulteriore riflessione sui valori dell’identità e dell’autonomia. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Giacomo Spissu, aprendo i lavori della cerimonia solenne del 28 aprile, che riprende una tradizione celebrativa in disuso da alcuni anni e vuole essere “un momento significativo” del significato più autentico e profondo del regionalismo.
Ricordare la ribellione del popolo sardo (uno degli aspetti storicamente più interessanti è la partecipazione, alla rivolta, dell’intera società sarda, dalla borghesia alla gente comune, dagli intellettuali alla povera gente, dagli adulti ai giovani e alle donne) significa – ha detto Spissu – non guardare alla storia ma pensare al futuro e rinnovare un legame sociale e culturale con i “segni forti” di una epopea che, ancora oggi, vive nell’ambito dei ricordi tramandati da generazioni.
C’è il rischio che alcune ricorrenze assumano una simbologia quasi estetica, al di fuori di una stretta connotazione con gli eventi che ricordano; ma, nel caso de Sa die e dei valori che la sottendono, c’è un forte legame di popolo a Sa die è un’operazione corretta, sul piano etico ed identitario, soprattutto in tempi di globalizzazione, che inevitabilmente annacqua le ideologie nazionalistiche e il riconoscimenti di aree limitate. C’è, in questo filone di pensiero, chi ritiene che la riscoperta delle radici sia un’operazione di retroguardia; ma c’è anche chi, veicolando il processo identitario attraverso una affermazione di valori consolidata (tra i quali, in primo luogo, la lingua parlata) conferma la tendenza (del resto espressa dall’Unione europea) che le identità locali e le lingue minoritarie rappresentano un forte arricchimento.
Di recente – ha ricordato il presidente del Consiglio – è stata celebrata una ricorrenza significativa, i 60 dello Statuto speciale. Ricorrenza importante, perché, da un lato, ripropone lo Statuto come “coscienza di popolo”, dall’altro risponde alla minore tensione morale (e politica) dello Stato nei confronti delle autonomie (tutt’al più si parla di federalismo); mentre avanza l’attenzione verso il Settentrione (argomento del recente dibattito politico ed elettorale), si assottiglia sempre di più la questione meridionale, che ha animato il dibattito politico del dopoguerra e delle “due Italie” da ricucire.
In questa situazione, riannodare i fili dell’autonomia anche attraverso un comune sentire diventa occasione utile per affermare meglio il senso dell’autonomia, prendendo peraltro coscienza che ci deve essere un impegno diffuso a superare la fase dei discorsi sterili, perché la politica regionale tenga il passo dell’evoluzione della società e del mercato, il cui dinamismo è più accentuato.
Ha parlato invece in sardo logudorese il professor Federico Francioni tenendo una dotta relazione storica, partendo dalla rebellìa che fece scendere in piazza, a Cagliari, il 28 aprile del 1794, forse duemila e cinquecento, forse quattromila persone. In prima file le donne (arrivavano a Cagliari le idee illuministe), i giovani, i mastros de traballu, professionisti, che si opponevano al carovita e al caro alloggi che la pessima gestione piemontese aveva portato al collasso.
Dentro il cosiddetto “triennio rivoluzionario” si colloca questa epopea popolare, un triennio senza il quale non si potrebbe comprendere la lotta antifuedale di Angioy e dei numerosi e aristocratici compagni di lotta a sostegno delle classi più deboli. L’obiettivo era opporsi “al longobardico sistema” introdotto dal regime sabaudo. Si verifica, in quegli anni, il tentativo di dare più voce agli Stamenti verso un’assemblea costituente nazionale sarda, secondo la definizione dello storico Girone Sotgiu. Una ribellione che aveva preoccupato Vittorio Amedeo III, costretto a chiedere aiuto a Lord Grenville, ministro del re inglese. Temeva, il sovrano sabaudo, di perdere la sua “colonia”.
Anche per questo motivo si può correttamente parlare di “sarda rivoluzione”.
I “rivoluzionari” erano consapevoli che il popolo sardo avrebbe potuto migliorare le proprie condizioni di vita, forte di un’identità (che si esprimeva soprattutto attraverso la lingua) che esprimeva una consapevolezza di sviluppo.
La lingua diventava uno strumento per compiere un salto di qualità e per togliere dal collo le catene “materiali, economiche, sociali e intellettuali” senza provare alcuna vergogna di fronte allo Stato italiano.
Il rito di Sa die comprende anche questo percorso. (adel)

La celebrazione de “Sa Die de sa Sardinia” nell’aula consiliare = Il Presidente della Regione chiude gli interventi e tutta l’aula intona “S’innu de su patriottu sardu a sos feudatarios”

Cagliari, 28 aprile 2008 – “Speriamo di poter fare la pacifica rivoluzione della trasformazione economica della Sardegna rilanciandone lo sviluppo”, così il presidente della Regione, on. Renato Soru a conclusione del suo intervento svolto interamente in sardo (versione Campidanese) che ha sottolineato con forza che lo stesso spirito che diede avvio ai moti culminati nel 28 aprile devono animare oggi la nuova “rivoluzione” sociale ed economica della nostra isola. Ogni anno, ha ricordato il presidente della Regione, celebriamo questo momento di ribellione. Una data simbolica opportunamente scelta da una legge di questo Consiglio regionale che in ogni suo ripetersi deve essere occasione per tutti i sardi per una fase di riflessione ma nella quale si dovrebbe poter trovare un nuovo motivo di ribellione. Negli anni scorsi la ribellione ci ha consentito di confrontarci per le maggiori entrate. Oggi il nostro spirito di ribellione deve portare a batterci per la lingua sarda. “Dimenticare le lingue minoritarie rappresenta un impoverimento culturale di un intero popolo. “A causa delle dominazioni ci è stata sottratta la nostra lingua”, ha detto Renato Soru, “dobbiamo impadronircene di nuovo”. E’ importante per la cultura, ma è soprattutto importante per noi stessi. “Cosa sarebbe della nostra regione se dovesse spegnersi defintivamente la fiammella della nostra lingua?”: certamente riappropriarsi della lingua darebbe una occasione di arricchimento ulteriore; un arricchimento non solo culturale ma anche economico soprattutto sul versante del turismo. “Dobbiamo ribellarci -ha detto ancora Soru- all’estraniamento che deriva dalla mancanza della nostra lingua: non bastano le leggi e i programmi per difenderla, quando possiamo parliamo il sardo, è il modo più concreto per riappropriarcene”.
Dopo i tre interventi previsti dall’ordine del giorno è cominciato il concerto, con la partecipazione del gruppo di “Cuncordia a launeddas”, del cantante Piero Marras (già consigliere regionale), della cantante Franca Ligas e del Coro di Neoneli. Sono stati interpretati dapprima un brano interamente musicale dal titolo “La processione” dal gruppo Cuncordia a launeddas”, quindi, per la voce di Piero Marras, “L’Ave Maria”, infine “Procurad’ ‘e moderare Barones sa tirannia” o “S’innu de su patriottu sardu”, nel testo di Raffa Garzia nel 1899, nel quale si sono cimentati tutti gli artisti presenti compreso il coro di Neoneli.
Dopo i saluti finali, il presidente del Consiglio, on Giacomo Spissu ha dichiarato conclusa la seduta straordinaria del 28 aprile.
(LP)

Condividi: