Sassari, 12 ottobre 2018
Sono un convinto europeista e sono particolarmente preoccupato per il ritorno del nazionalismo e per la deriva di un’Europa sempre più egemonizzata dalle forze che mirano a distruggere il senso dello stare insieme.
Il disincanto populista accomuna elettori di destra e di sinistra in un dibattito che riguarda non solo l’Unione europea, ma il mondo intero.
Abbiamo visto aumentare le diseguaglianze e le povertà e in un mondo sempre più incerto i cittadini sono spinti a chiedere sicurezza, sicurezza alimentare, della salute, sicurezza contro la violenza cieca del terrorismo e in nome della sicurezza sembrano disponibili a sacrificare qualsiasi diritto fondamentale, come quello all’asilo in una deriva pericolosissima che ci rende in realtà tutti meno liberi e sicuri.
Tanto più sono preoccupato perché consapevole che i movimenti nazionalisti sfruttano a loro vantaggio le promesse mancate dell’Europa, che oggi appare, purtroppo, solo tecnocrazia e budget senza alcun ideale.
La domanda di sicurezza esiste ma non è prioritaria, prima vengono altri bisogni come il lavoro, la salute ed è l’incapacità degli stati di rispondere a questi bisogni il vero problema. In periodi di crisi come quello che attraversiamo è più facile prendersela con qualcuno che riflettere sulle cause ed in un sistema in cui gli stati regolano le proprie azioni esclusivamente in base al mercato, è normale che il disoccupato guardi il migrante come un concorrente e non come una persona con cui condivide qualcosa.
In un mondo interdipendente, nel quale nessun governo nazionale può pretendere un controllo sovrano sulla società, sulla tecnologia e sull’economia, accettare come limite dell’azione politica le frontiere nazionali significa favorire le forze della conservazione. Il processo di integrazione europea dimostra con chiarezza questa contraddizione. I paesi dell’Unione europea, nonostante abbiano realizzato passi significativi nella costruzione di uno Stato sovranazionale, non hanno ancora avuto il coraggio di compiere quello decisivo: l’istituzione di un governo federale europeo, responsabile della politica estera e della politica economica. Essi sono pertanto continuamente costretti a combattere la rinascita, in forme nuove, degli antichi demoni nazionalisti e non hanno più la forza di contrapporre alle rivendicazioni corporative il perseguimento del bene comune.
La democrazia nazionale langue, perché manca la democrazia europea. Eppure, uno sguardo al di fuori dell’Europa, mentre irrompono sulla scena internazionale nuovi giganti continentali come la Cina, l’India e il Brasile, dovrebbe convincerci che, restando divisi, perderemo presto la nostra dignità, identità e indipendenza.
L’obiettivo che a mio avviso dobbiamo porci, che la sinistra deve porsi, è quello di rinvigorire l’Unione europea sulla base di principi democratici, perché i grandi problemi che dobbiamo affrontare non si possono risolvere fino a che non saremo uniti come europei.
L’Europa, e l’Italia per prima, sono state la culla della democrazia, ma oggi ne affrontiamo la crisi: quello che rimane è una democrazia a bassa intensità nell’assicurare i diritti umani per chi attraversa i luoghi e non luoghi nella più piena solitudine.
Una democrazia che si vendica sgambettando un padre che corre per dare un futuro di speranza ai propri figli, una democrazia che non chiude gli ombrelloni davanti ad un angelo riverso su una spiaggia, una democrazia che chiude i porti ai bisognosi. Che riflette il proprio egoismo punendo le differenze, che sta perdendo umanità, che volta le spalle al futuro e che getta in mare corpi e speranze.
Una democrazia a bassa intensità che tiene il manganello in una mano e l’altra nel portafoglio dei migranti.
La politica ha il dovere di essere chiara e mai ambigua, perché lo smarrimento e la mancanza di un’azione compiuta, alimentano le paure.
Spetta a noi essere capaci di ricostruire una democrazia che cammini a testa alta, a noi il coraggio di teorizzare i diritti e i doveri dei migranti, e parlare del ruolo che questi possono svolgere per lo sviluppo del nostro Paese.
Se vogliamo evitare che l’Europa si disgreghi sotto la spinta dei nazionalismi, abbiamo bisogno di diffondere speranza per l’Europa, con una narrazione in senso federalista e con un piano per un’Europa unita, dai confini aperti, che accetti la sfida della crisi dei rifugiati.
Gianfranco Ganau
Presidente Consiglio regionale della Sardegna