Buongiorno a tutte e a tutti,
saluto il sindaco di Ollolai Efisio Arbau, l’assessore regionale agli Enti locali, Cristiano Erriu e tutti i relatori che oggi animeranno il confronto sul tema dello spopolamento delle zone interne della Sardegna. Consentitemi di ringraziare in particolar modo l’onorevole Giorgio Carta, coordinatore della sezione sarda degli Ex Parlamentari che ha curato l’organizzazione di questo convegno.
Credo che possiamo iniziare questa giornata di studio e riflessione con una nota molto positiva, l’approvazione da parte del Parlamento della legge contro lo spopolamento dei piccoli centri. Certo i 100 milioni stanziati sono una goccia nel mare, se consideriamo che solo in Sardegna i comuni con meno di 5.000 abitanti sono 314 su 377, ma è un passo fondamentale perché è il segnale che qualcosa sta cambiando, che il tema è finalmente al centro delle riflessioni sul futuro del Paese.
Questo tema è stato per troppo tempo ai margini del dibattito pubblico e solo di recente la politica ha colto l’importanza economica e sociale dello spopolamento e ha iniziato a porsi il problema del destino della Sardegna ma direi dell’Italia interna, quella formata da migliaia di centri minori da cui i giovani scappano, ma che costituisce un pezzo fondamentale dell’identità nazionale.
Lo spopolamento è certo anche un dato storico e fisiologico ma è soprattutto la conseguenza di scelte politiche precise. Negli ultimi 20 anni l’approccio allo sviluppo è stato urbano-centrico e lo sviluppo locale si è caratterizzato sempre più come una politica residuale che in molti casi ha favorito anche la devastazione dei territori, portando all’abbandono perfino di aree produttive e di territori sani.
Quella che, quindi, dobbiamo affrontare è una sfida in controtendenza rispetto alla cultura dell’urbanesimo, propensa ad indirizzare gli sforzi verso una crescita metropolitana intorno alle grandi aree urbane con l’idea di europizzare le città italiane. Cultura che ha ispirato – ahimè- la stessa legge Del Rio e la corsa alle città metropolitane. Per dire che parliamo dell’oggi.
In questo rinnovato quadro nazionale bene si inseriscono e meglio possono essere lette: le recenti misure approvate dall’assessorato all’urbanistica per il recupero delle aree rurali, il progetto per l’alta Marmilla che ha preso le mosse dalle azioni lungimiranti del ministro Barca e vede oggi finalmente la luce, il piano banda ultra larga, così come il virtuoso accordo tra regione e Unioni dell’alta Gallura e della Gallura che mette insieme 15 comuni e stanzia 32 milioni dopo un attenta analisi delle criticità e scelte condivise su come indirizzare i fondi.
Fino ad oggi queste potevano apparire come misure isolate e poco incisive in un quadro come quello della Sardegna dove si stima che nei prossimi 60 anni scompariranno 31 comuni con meno di mille abitanti, dove in un solo anno abbiamo perso 5 mila abitanti, dove il 60% dei giovani che va fuori per studiare non torna perché il tessuto produttivo non è in grado di accogliere personale qualificato, ma sono in realtà tasselli di un progetto che definirei strategico e anticipatore di quello nazionale.
Ora dobbiamo avere la capacità di fare un salto di qualità nella nostra elaborazione politica e di fare della lotta allo spopolamento il filo rosso che collega ogni singola azione a partire da adesso. In quest’ottica vanno anche rilette le misure del Patto per la Sardegna in termini di trasporti, viabilità, metanizzazione. Non abbiamo garanzia che si vinca, ma di certo possiamo attenuare il fenomeno.
E allora dobbiamo sviluppare politiche capaci di tenere conto dei contesti territoriali, meno cieche ai luoghi perché ogni regola generale può produrre effetti diversi in contesti diversi.
Il bando per il trasporto pubblico locale pensato per una città come Sassari, non può funzionare in aree dove la popolazione è sparsa in ampi territori e lo stesso vale per la scuola – è tempo con serietà e determinazione di scrivere una legge sarda sull’istruzione – o le strutture della salute che – attenzione – non vuol dire ospedali in ogni paese, ma presidi territoriali di qualità che garantiscano innanzitutto la pronta risposta all’emergenza – urgenza.
Come Regione dobbiamo avere la capacità di aprirci maggiormente al confronto e programmare la spesa diversamente, e come comunità dobbiamo avere la capacità di essere maggiormente propositivi ed esporci al confronto.
Perché – guardate – io credo che questa sia una sfida che riguarda tutte le parti in gioco, regione, comuni e anche i cittadini, e passa necessariamente dalla capacità di ricostruire quella fiducia nei luoghi che è venuta meno, restituendo ai cittadini la sovranità di cui si sentono espropriati. È necessario attribuire fiducia alle comunità locali prefiggendoci l’obbiettivo di garantire a queste aree condizioni di partenza adeguate per lo sviluppo e la crescita della cittadinanza e superando la logica dei finanziamenti a pioggia che sicuramente hanno impedito il tracollo di molti nostri paesi, ma non il loro declino.
È ormai chiaro che per invertire il processo di impoverimento umano e materiale, bisogna rafforzare e non cancellare i servizi pubblici, bisogna mettere al centro interventi sulle cosiddette “condizionalità”, ossia scuole, sanità, infrastrutture, messa in sicurezza del territorio.
E allora dobbiamo pensare a nuovi e originali modelli di organizzazione dei servizi, promuovendone la gestione associata fra i comuni e riorganizzando in questa direzione la spesa regionale.
Tentare di promuovere il solo sviluppo non è, purtroppo, bastato per arrestare il trend e per raggiungere un riequilibrio demografico.
Ciò che dobbiamo costruire è la visione di un futuro possibile, dobbiamo mettere in piedi strategie vincenti di sopravvivenza non solo difensive ma anche di attacco.
Sono tanti i casi di esperienza di cosiddette “aree interne in movimento”, che dobbiamo avere la capacità di studiare e mettere a sistema: progetti creativi di trasporto scolastico, privati che si legano per gestire meglio beni pubblici, maestri che fanno delle pluriclassi esperimenti per una nuova scuola di territorio. Oggi siamo in uno dei comuni “in movimento”, Ollolai, pioniere in Sardegna insieme a Nulvi, di una misura – la messa a disposizione di immobili vecchi e abbandonati ad 1 euro – che potrebbe contribuire a fronteggiare l’impoverimento del territorio.
Certo, in un tessuto economico come il nostro bisogna mettere in piedi, di pari passo, politiche di rilancio economico che siano attrattive dei nuovi abitanti, quindi ponendo al centro i giovani e anche i migranti (e sul punto tornerò) immaginando politiche giovanili e di formazione mirate, favorendo l’accesso al credito, mettendo in piedi politiche che ricuciano le relazioni con la città.
I temi sono tanti e sono sicuro che gli spunti oggi non mancheranno.
Di una cosa sono convinto, dobbiamo riuscire a costruire un “metodo” che non può essere quello di forzare scelte che non corrispondono a un effettivo capitale locale, solo così, restituendo ai cittadini quella sovranità di cui si sentono espropriati, potremmo ricostruire quella fiducia nei luoghi che è venuta meno e provare ad invertire questo processo.