Data: 25/02/2008
I sessant’anni dello Statuto sardo – di cui da tempo appare una riscrittura – sono argomento di una seduta solenne del Consiglio regionale sul tema de “La specialità regionale tra presente e futuro”. Argomento rilevante sia sotto il profilo giuridico-istituzionale, sia sotto quello politico, la ricerca di una nuova autonomia e l’accentuazione di una specialità rivelatasi, nel tempo, insufficiente anche nel favorire lo sviluppo sociale ed economico secondo una reinterpretazione moderna della “rinascita”.
Parterre affollato, nell’aula del Consiglio per un evento che non è solo celebrativo, ma tende a far crescere la percezione della nuova Carta dei sardi.
Il presidente Spissu ha introdotto i lavori, ricordando che lo Statuto è sempre stato accompagnato “da esplicito rammarico e da non poche riserve per un grado di autonomia inferiore alle aspettative”, soprattutto se paragonato a quello, assai più ampio, della Sicilia. La storia della Repubblica, attraverso il regionalismo ordinario, ha ristretto ulteriormente i margini delle specialità, concepite – ha ricordato Spissu – nell’immediato dopoguerra; condizioni di miglior favore, rispetto alle altre regioni, per assorbire l’effetto o di una “italianità” più annacquata o per “prospettare un futuro di emancipazione” per le regioni periferiche e isolane.
Non è stata un’esperienza facile, avendo, le regioni speciali, dovuto fronteggiare “le resistenze degli apparati centralistici” dello Stato “inclini a conservare i retaggi degli ordinamenti pre-costituzionali”. In sostanza il bilancio dell’autonomia sarda è stato travagliato, “non privo di delusioni e, ancora oggi, carico di incertezze”. A frenare lo slancio dei padri costituenti “l’arretratezza delle condizioni economiche e sociali”, nonostante grandi ambizioni covassero sul piano delle riforme.
Un quadro economico condizionato dalla fine ingloriosa dell’industrializzazione di base, la dipendenza dei trasferimenti delle risorse pubbliche (il “ciclo” delle partecipazioni statati) ha disegnato un sistema assistito, “fragile e non competitivo” assai lontano dal traguardo che l’autonomia speciale inseguiva, quello del “superamento del divario con le realtà più avanzate del Paese”.
Evidentemente non basta un forte caratterizzazione di popolo a livello culturale e ideale, se non esistono prospettive di crescita sociale ed economica. Ancora oggi è questa la prospettiva dei nuovi rapporti con lo Stato, che il nuovo Statuto dovrà contenere.
La situazione politica nazionale (la crisi di governa; la prospettiva di andare ad ele-zioni col vecchio sistema elettorale, l’interruzione – per la fine anticipata della legislatura – di alcuni processi generali di riforma nell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, della legge delega sul federalismo fiscale e del Senato delle Regioni) rinvia alcune scadenze, ma rafforza la convinzione che bisognerà fare il fretta (“questo scorcio di legislatura regionale, la tredicesima – ha ricordato Spissu – può essere usata dalle forze politiche sarde per elaborare un più avanzato e moderno riferimento costituzionale e istituzionale”) comprendendo che i contenuti dell’autonomia vanno aggiornati all’evoluzione della società, dei mercati, dei rapporti internazionali, ma anche delle questioni “interne” (la definizione delle provviste finanziarie regionali e locali, “anche mediante la leva finanziaria”, la finanza perequativa e di riequilibrio, la riaffermazione dei principi di solidarietà ed eguaglianza nell’ambito del territorio nazionale”.
Parlare di specialità significa – tuttavia – comprendere prima di tutto la nostra responsabilità, ha detto il presidente Spissu, ricordando che il ritardo “è prevalentemente nostro”, Ed è, ha aggiunto, “un ritardo di soggettività, ossia di progettualità, che non può avere come alibi il contesto esterno”.
Sono in ballo temi complessi (come quello della sovranità; aspetto controverso. Con inevitabile citazione alla sentenza, non ancora motivata, della Consulta sulla bocciatura della tassa sulle seconde case a uso turistico), che lo Statuto dovrà mettere a fuoco e risolvere “disarmonie ormai evidenti” nella ripartizione delle competenze (articolo 117 della Costituzione).
“Vi sarebbe – ha concluso l’on. Spissu, l’opportunità di superare la logica del ritaglio delle competenze nella stessa materia e persino di mettere in discussione dal configurazione della potestà legislativa concorrente. Il tutto in un ambito più vasto del puro regionalismo, essendo evidente il nuovo contesto nazionale e europeo, nel quale la Sardegna “si veda garantita una specifica rappresentanza e una partecipazione ai processi decisionali che influiscono sugli interessi della comunità”. (adel).