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Devolution, il 10 febbraio quindici Consigli regionali, con la Sardegna capofila, depositeranno la richiesta di indizione del referendum in Corte di Cassazione

Data: 07/02/2006 – Cagliari

 


Cagliari, li 7 febbraio 2006 – La Sardegna è la capofila delle Regioni che venerdì 10 febbraio depositeranno, presso la cancelleria della Corte di Cassazione a Roma, gli atti di richiesta di indizione, ex articolo 138 della Costituzione, del referendum popolare confermativo sulla legge di riforma della parte II della Costituzione, nota come devolution. Venerdì, alle ore 11, presso la sede della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali nella via Pietro Cossa 41 a Roma, il Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, on. Giacomo Spissu, accompagnato dall’onorevole Pierpaolo Vargiu, unitamente ai delegati delle assemblee legislative delle altre regioni d’Italia che hanno aderito all’iniziativa, illustreranno i contenuti della richiesta nel corso di una conferenza stampa.

Il testo di modifica della parte II della Costituzione è stato approvato in seconda lettura dalla Camera dei Deputati il 20 ottobre 2005 e dal Senato il 16 novembre dello stesso anno, per essere infine pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005.
L’assemblea legislativa della Sardegna, come è noto, è stata la prima in Italia ad approvare tale richiesta: nella seduta del 24 novembre del 2005, ha infatti approvato, con il voto della maggioranza dei consiglieri della regione, la delibera di indizione del referendum costituzionale. Nella stessa seduta ha designato tra i suoi membri il Presidente del Consiglio regionale, on. Giacomo Spissu, delegato effettivo e il Consigliere on. Pierpaolo Vargiu, delegato supplente. Tali deliberazioni sono state immediatamente comunicate ai Consigli regionali di tutte le altre regioni.
Alla richiesta di indire il referendum avanzata dal Consiglio regionale della Sardegna si sono aggiunte con analoga deliberazione le assemblee legislative di Campania, Lazio, Lombardia, Valle d’Aosta, Toscana, Calabria, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Liguria e Abruzzo.
L’articolo 138 della Costituzione prevede che se una legge di modifica costituzionale non è approvata da entrambi i rami del Parlamento con la maggioranza dei due terzi, questa può essere sottoposta a referendum popolare confermativo, entro tre mesi dall’ultima approvazione. La richiesta può essere fatta da un quinto dei membri della Camera, da cinquecentomila elettori e da cinque consigli regionali.


È la prima volta nella storia repubblicana che le regioni esercitano la possibilità di richiesta di referendum prevista dalla Costituzione.
 “Il fatto che la Sardegna sia stata la prima ad attivare questo procedimento – sottolinea il Presidente del Consiglio regionale – non è affatto casuale e ha un enorme valore politico: il testo di riforma della seconda parte della Costituzione, infatti,  introduce profonde modifiche anche al nostro Statuto regionale. L’applicazione della devolution, senza le dovute garanzie procedurali, costituisce una violazione della nostra autonomia speciale. Con la riforma – continua il Presidente Spissu – si introduce una nuova forma di supremazia da parte dello Stato che, custode esclusivo del cosiddetto interesse nazionale, potrebbe esercitare un controllo di merito sulle leggi regionali: un vero controllo politico, in contraddizione con l’impianto pluralista della Costituzione. Inoltre la Riforma costituzionale è stata adottata – conclude Spissu – senza la preventiva consultazione delle Regioni autonome, come invece prevedono i vigenti Statuti, che hanno forza costituzionale”.
 Il Presidente Spissu ricorda come la gran parte delle Regioni, ordinarie e speciali, attraverso i rispettivi Consigli regionali, si siano mobilitate per contrastare l’impianto complessivo della riforma adottata dal Parlamento, cui possono muoversi alcune critiche:


–  il nuovo testo, infatti, può rompere l’unità e l’universalità dei diritti sociali, differenziando fortemente, rispetto alla situazione attuale, il livello delle prestazioni fondamentali come sanità, istruzione, sicurezza, riducendo le risorse disponibili e le competenze soprattutto per le aree meno sviluppate del Paese, soprattutto al sud;


– la riforma accresce esageratamente i poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri senza adeguati contrappesi. 



 


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