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Convegno “La nuova questione sarda”

Sassari, lì 19 Giugno 2015

Buongiorno a tutte e tutti,

con piacere porto il mio saluto e quello dell’Istituzione che rappresento a questa importante iniziativa, che vuole, attraverso il ricordo di Paolo Dettori, essere un momento di riflessione sullo stato e sul futuro della nostra autonomia.

Paolo Dettori è stato un Presidente della Regione e un Presidente del Consiglio regionale capace di svolgere un ruolo di primissimo piano per la spinta autonomistica della Regione Sardegna e dai suoi studi e dalle sue riflessioni non si può prescindere se realmente si vuole comprendere la portata della specialità.

La proposta di riforma della costituzione di cui si discute ha riscritto nell’agenda politica, anche nazionale, la questione dell’autonomia. È di pochi giorni fa la mia audizione in commissione bicamerale sulle autonomie regionali per discutere di norme di attuazione, della necessità di una loro regolamentazione omogenea, della loro efficacia, e dello stato di salute dei nostri statuti.

In un clima apparentemente disteso e di piena collaborazione, non ho potuto non notare i sussulti al mio ribadire con determinazione il permanere inalterato delle ragioni della nostra specialità, il valore costituzionale dell’autonomia, il nostro sentirci popolo.

Sono convinto che al di là delle dichiarazioni di facciata oggi la nostra autonomia sia messa in forte discussione perché la proposta di  riforma del titolo V della Costituzione modifica sostanzialmente il quadro politico e organizzativo del nostro Stato, con un inversione di rotta pericolosamente centralista.

E la cosiddetta clausola di salvaguardia, che ne impedirebbe l’applicazione alle regioni e province autonome sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, previa intesa, è frutto più della fretta di approvare la riforma, superando la resistenza delle Istituzioni che rappresentiamo, che di un reale riconoscimento del valore delle Autonomie.

Non dobbiamo stancarci di ribadire in ogni sede che le ragioni del riconoscimento della Sardegna come regione a statuto speciale sono ad oggi tutt’altro che superate.

Immagino che tutti voi conosciate “L’ultimo pugno di terra” di Fiorenzo Serra, l’opera commissionata dalla Regione Sardegna per dare visibilità ai presunti progressi del piano di rinascita degli anni sessanta, ebbene il quadro socio economico dipinto da Serra, con le dovute differenze, è rimasto pressoché immutato.

Le difficoltà strutturali e infrastrutturali dovute alla condizione geografica non potranno mai essere superate senza il riconoscimento e la presa incarico dell’insularità da parte dello Stato prima, e dell’Unione Europea dopo. Continueremo ad essere esclusi dai sistemi di reti nazionali ed europei: penso all’energia a basso costo, alle difficoltà e ai costi aggiuntivi per l’arrivo e la distribuzione del metano a famiglie e imprese, al fatto che siamo l’unica regione  d’Italia senza rete autostradale.

Gli ostacoli allo sviluppo nella nostra isola sono tali che secondo un recente studio la Sardegna è la regione italiana in cui è più difficile avviare un’attività produttiva e dove è più difficile mantenerla in piedi. Basti pensare che la mancanza di una continuità territoriale aerea e marittima reale comporta un extra orario per lo spostamento tra il continente e la Sardegna calcolato in diciassette ore per le merci, e in circa sei ore per le persone.

E allora è evidente che il tema del rapporto tra autonomia e Stato, non è solo un problema di rapporto tra istituzioni, tra governo e regione, ma è un problema di parità di diritti, di possibilità di fruire degli stessi servizi, di uguaglianza e pari opportunità tra cittadini che risiedono in continente e cittadini che vivono nella nostra regione.

Ma attenzione, la difesa della specialità da sola non è sufficiente. Dobbiamo ragionare su quale modello di sviluppo vogliamo per la Sardegna.

Si è detto Rovelli ha perso, ed è vero, ma ha perso perché quel modello, il modello industriale, ha assorbito praticamente tutto; l’agricoltura, la pastorizia e il turismo sono stati relegati ai margini.

Oggi paghiamo la crisi della monocultura dei grossi poli industriali e ci troviamo in un uno stato di arretratezza e di difficoltà economica e sociale allarmante.

Ho sempre sostenuto che non esista un unico modello di sviluppo ma che modelli di sviluppo diversi debbano essere integrati tra loro, e quindi dobbiamo pensare ad interventi nell’agricoltura, nella pastorizia, nel turismo e anche nell’industria.

Sia chiaro, però, che se non risolviamo il problemi strutturali e infrastrutturali di cui ho accennato, non avremo nessuna possibilità di  creare reali condizioni di sviluppo in nessun settore e di essere competitivi in un mondo ormai globalizzato dove senza parità di condizioni di partenza è impossibile competere.

Oggi la politica è debole, priva di un idea chiara, di un sogno di Sardegna, priva di quella spinta ideale capace di aggregare e mobilitare la società sarda, quella spinta che ci renderebbe capaci  anche di un rapporto diverso con lo Stato.

Emblematica la vicenda della cosiddetta vertenza entrate, se andate a leggere l’articolo 8 dello Statuto sardo è chiarissimo quali siano le quote di ciascuna fonte di entrata che debbono andare alla regione, si trattava solo di stabilire in che periodo dell’anno trasferirle, ebbene, ci abbiamo messo 10 anni.

Ma come ho detto non è un problema di risorse, o meglio non solo, negli ultimi anni stiamo lavorando per tamponare situazioni d’emergenza senza riuscire a dare una prospettiva credibile di medio e lungo periodo.

Oggi si parlava di riforma dello statuto, personalmente io sarei cauto in un momento in cui la revisione dello statuto ci vuole essere imposta; è di ieri, nell’incontro tra i governatori delle regioni e il sottosegretario Bressa, la pressante richiesta del governo di accelerare la riforma degli statuti per omogeneizzare la normativa a quella delle regioni ordinarie.

Non credo che questa sia la strada giusta, indubbiamente vanno riviste alcune cose, ma possiamo farlo con una legge statutaria forte che rivede anche la legge elettorale. Perché sia chiaro, una legge elettorale che esclude le donne e che impedisce a parte della società sarda di essere rappresentata, è intollerabile. E perché è evidente che se la politica non riesce a risolvere prima di tutto le incongruenze che la riguardano direttamente, non riuscirà mai a farsi carico seriamente delle altre problematiche.

“E’ stato intransigente nel difendere le ragioni dell’autonomia” così scrive di Paolo Dettori su La Nuova Sardegna Guido Melis. Ecco io credo che si debba tornare a questo, con molta decisione e con molta forza.         

Gianfranco Ganau

Presidente del Consiglio regionale della Sardegna

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