Celebrazioni Sa Die de sa Sardigna

Cagliari, 28 aprile 2018

Presidente Pigliaru, onorevoli colleghe e colleghi, assessore e assessori, ospiti tutti, permettetemi prima di tutto di dare il benvenuto ai nostri conterranei sparsi per l’Italia che oggi hanno voluto essere qua insieme a noi per celebrare “Sa Die de Sa Sardigna”, giornata della festa nazionale dei Sardi, che proprio questo Consiglio Regionale ha istituito nel 1993 con la legge n.44.

La classe politica di allora capì che la Sardegna aveva bisogno di una sua festa nazionale per unire idealmente l’isola intorno a valori condivisi e scelse quella lontana data del 1794 per il significato simbolico di quell’evento storico che narra di sardi che dopo secoli di rassegnazione, di acquiescenza, di obbedienza, di inerzia, per troppo tempo usi a chinare il capo, subendo ogni genere di soprusi, di sfruttamento, con un moto di orgoglio, di dignità e di fierezza decidono di dire basta.

 “Fu un momento esaltante – scrive Lilliu – il tentativo di ottenere il passaggio da una Sardegna asservita al feudalesimo a una Sardegna libera, fondando nell’autonomia, nel riscatto della coscienza e dell’identità di popolo una nuova patria sarda, una nazione protagonista”.

La festa nacque con fortissime resistenze, come il nostro Statuto d’altronde, ma oggi possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che è la festa di tutta la comunità sarda.

Sono trascorsi quasi venticinque anni da quell’atto legislativo e forse è anche tempo di valutazioni e rendiconti, come sostiene qualcuno, ma soprattutto è tempo di riflettere sul significato profondo di questa giornata che va al di là dell’affermazione di un’identità sarda, riconosciuta nella lingua e nel valore delle tradizioni e della cultura, ma vuole essere un monito per la Sardegna e per tutta la comunità sarda affinché si faccia artefice del proprio destino e futuro, affinché riaffermi nell’agire quotidiano e soprattutto nell’agire politico la sua autonomia, la sua specialità, oggi più di ieri necessaria in un sistema di poteri modificato dove il nostro interlocutore non è più solo lo Stato centrale ma anche l’Europa, a volte madre e a volte matrigna.

Sa die de sa Sardigna non va vissuta guardando al passato come un evento puramente commemorativo ma come un obbiettivo a cui tendere, indissolubilmente legata al nostro stato giuridico di regione autonoma, al nostro Statuto di autonomia dei quali quest’anno celebriamo il Settantesimo.

Come abbiamo affermato la nostra è un’autonomia giovane se paragonata ai millenni della nostra storia, un’autonomia di cui possiamo essere orgogliosi perché, nonostante le difficoltà e quelle che oggi definiamo forse con un po’ troppa faciloneria, scelte sbagliate, sono stati settant’anni di straordinario avanzamento economico e sociale per la nostra terra che si affacciava povera e sfruttata all’alba della Repubblica italiana democratica e antifascista.

Ma soprattutto quello dell’autonomia è un percorso che va ancora perseguito e costruito con un’assunzione di responsabilità collettiva che veda lavorare insieme istituzioni, associazioni, scuole, università e finanche singoli cittadini, che parte dalle potenzialità di ciascuno di noi e che si deve specchiare e confrontare con il valore simbolico di Sa die de Sardigna, che ci invita a compiere ogni giorno una rivoluzione.

E così, sotto la mia presidenza abbiamo scelto di compiere ogni 28 aprile atti dal forte valore non solo simbolico che vanno a segnare un passo importante nella vita della nostra comunità.

Voglio ricordarli:

nel 2015 il Consiglio affermò nella sua interezza il no della Sardegna ad ospitare il deposito delle scorie nucleari, un no che rimane fermo oggi come e più di ieri perché l’unità di una comunità è data dalla propria cultura, dalla propria lingua ma anche dalla propria terra e soprattutto dalla sovranità e dalla libera scelta sul modello di sviluppo che a questa vogliamo dare.

Nel 2016 si riunivano in quest’aula per la prima volta nella storia, le assemblee di Corsica e Sardegna convinte che di fronte a politiche sempre più centralistiche, solo un percorso comune possa portare al rispetto e al riconoscimento di diritti paritari nei confronti dei propri Stati e dell’Europa tutta e possa portare ad un futuro di prosperità per le nostre isole.

Sardegna e Corsica hanno vissuto situazioni storiche e politiche simili, caratterizzate da dominazioni straniere, da imposizioni, angherie e soprusi, ma hanno mostrato la forza di essere un popolo che sa unirsi e ribellarsi quando le dominazioni hanno generato ingiustizie non più tollerabili.

Situazioni storiche che, ancora oggi, rappresentano riferimenti utili ed indicano la strada di una moderna sovranità, compatibile con i principi fondanti l’Europa dei popoli e con quelli caratterizzanti un moderno federalismo democratico.

Nel 2017 in questa giornata solenne tutte le regioni d’Italia si sono interrogate qua in Sardegna sul futuro del regionalismo nel quadro incerto venutosi a creare dopo l’esito negativo del referendum costituzionale. E da quest’aula ancora una volta la Sardegna come settant’anni fa, insieme alle altre regioni a statuto speciale, si è messa alla testa del movimento regionalista riaffermando senza timore il valore della propria specialità e la necessità di un reale e convinto decentramento politico e amministrativo proprio di ogni ordinamento autonomistico evoluto.

 E oggi nel 2018 il Consiglio ha deciso di proseguire questo percorso, approvando il riconoscimento come inno della Sardegna il componimento musicale noto come “Procurare ‘e moderare” di Franciscu Ignazio Mannu, inserendolo all’interno della legge n.10 del 1999 con la quale venne adottata la bandiera della Regione Sardegna.

 Il riconoscimento ufficiale dell’inno, accanto a quello della bandiera contribuisce per il suo significato storico e simbolico, per il valore del testo letterale, a sottolineare i caratteri dell’autonomia speciale della Sardegna e ad accentuare il senso di appartenenza dei sardi a un comune territorio che deve essere sinergicamente governato  al difuori di ogni logica di sfruttamento e di diseguaglianza e avendo come obbiettivo il rispetto , la cura e la valorizzazione delle peculiarità che lo contraddistinguono e lo sviluppo delle potenzialità che possiede.

Settant’anni fa in seno alla Repubblica democratica alla Sardegna veniva riconosciuta la dignità di Regione a statuto speciale, veniva data autonomia nel governo della propria vita comunitaria. Oggi questa regione riafferma la sua autonomia istituzionalizzando quello che già tutti i sardi hanno cantato e riconosciuto come proprio inno.

E stasera la prima esecuzione ufficiale dell’inno la dedichiamo ai nostri conterranei che numerosi sono presenti in questa aula e attraverso loro a tutti quelli che popolano l’Italia e il mondo senza mai dimenticarsi la loro terra. Quella dell’emigrazione sarda è la storia di un popolo che ha dovuto lasciare la sua terra in cerca di un futuro migliore ma è soprattutto la storia di vite incredibili, difficili e combattute ma spesso di grande riscatto.

 Dall’insularità discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, ambientali da valorizzare e declinare in positivo ma, è evidente, che tale condizione comporta, rispetto al territorio della penisola, l’impiego di maggiori risorse per assicurare alla comunità pari opportunità in termini di sviluppo e oggi come ieri sono tanti, troppi i sardi che emigrano non per scelta ma alla ricerca di un futuro.  E allora dico che sbaglia chi minimizza il significato della battaglia per il riconoscimento in costituzione del principio d’insularità, questa è un battaglia identitaria che deve diventare una battaglia di popolo per coinvolgere e convincere tutti i sardi.

Ci sono ancora troppe remore nei partiti e in alcuni settori della società civile rispetto a questo percorso   e credo sia un errore non cogliere sino in fondo il significato politico di questa battaglia.

Il tema non è se il referendum che hanno sottoscritto oltre 90 mila sardi avrebbe portato poi ad un risultato automatico, ma era semplicemente l’esigenza di tenere alta la tensione per arrivare a far esprimere i sardi su quello che altro non è che il riconoscimento di un diritto.

Oggi proponiamo un nuovo percorso, condiviso dalla FASI, una legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare che non a caso abbiamo scelto di portare avanti anche a livello nazionale, nonostante servano soltanto 50 mila firme che saremo stati in grado di raccogliere tranquillamente solo in Sardegna, perché l’obiettivo è quello di ottenere un diritto egualitario che l’Italia deve riconoscere alla Sardegna e alle isole minori. 

Abbiamo una storia da scrivere e possiamo farlo tutti insieme, gli emigrati e i sardi “rimasti a casa”.

Gianfranco Ganau

Presidente Consiglio regionale della Sardegna

            

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