Cagliari 28 aprile 2024 – Il presidente del Consiglio, Piero Comandini, ha aperto le celebrazioni di Sa Die, ricordandone significato storico e valori e nel ringraziare ospiti e autorità, presenti nell’Aula consiliare, si è rivolto con parole di affetto e stima agli studenti degli istituti di Sant’Antioco e Cabras: «In questa giornata solenne i protagonisti siete voi. Siete voi gli eletti e mi auguro che tutti voi sappiate trarre i preziosi insegnamenti di questa giornata storica che ricorda l’animo e l’orgoglio sardo, insieme con la lotta agli invasori».
Il presidente dell’Assemblea ha sottolineato inoltre l’importanza di una “così importante giornata di confronto e riflessione” che potrà contribuire a “fare innamorare gli studenti degli spazi delle istituzioni”.
«Abbiamo bisogno della vostra collaborazione – ha insistito l’onorevole Comandini – e anche del vostro dissenso, per riportare la partecipazione attiva all’interno delle istituzioni e ricostruire il rapporto di fiducia istituzioni-giovani-popolo».
Nel ricordare “l’orgoglio e la fierezza dei sardi”, insieme con i valori definiti “comuni” dell’identità, dell’autonomia e della specialità, il presidente del Consiglio ha elencato le nuove sfide che attendono l’Isola, tra tutte “la rivisitazione dello Statuto sardo in chiave più moderna e europea” e la “difesa del territorio sardo dagli interessi economici dei signori del vento e del sole”.
Il senatore del Pd, Marco Meloni, ha portato il saluto del presidente di Palazzo Madama e non ha mancato di ricordare i fatti della “Sarda rivoluzione” e le “lezioni” che da quell’episodio si possono trarre. A giudizio di Meloni la cacciata dei Piemontesi del 28 aprile 1794 ha avuto “insegnamenti positivi” come “l’essere stati dentro il flusso della storia dell’epoca e l’unità di intenti” e “negativi” quali possono definirsi l’immediata disunione e “il prevalere degli interessi di ceto e di potere”.
Il parlamentare del Partito democratico ha quindi rivolto una serie di considerazioni sulle difficoltà che penalizzano la Sardegna («incremento del Pil al di sotto della media nazionale, alto tasso di abbandono scolastico») ed ha ricordato alcune norme all’attenzione del parlamento italiano per ribadire la necessità di “difendere le prerogative della nostra Regione”. «Si può fare dell’insularità – ha affermato Meloni – il principio chiave per affermare l’equiparazione dei diritti dei cittadini e delle imprese sarde in materie fondamentali».
Il senatore ha concluso auspicando un efficace “sistema di confronto e relazione con i diversi livelli istituzionali” e ha definito un’autentica minaccia “per la casa Europea” la messa in discussione delle fondamenta, quali sono la pace, la coesione e la competitività. (A.M.)
Ha preso la parola il professor Gianni Loy del Comitato Sa Die con un intervento dal titolo “I segni dell’identità”.
Loy ha augurato “buona festa a chi c’è e a chi è lontano, e soprattutto ai ragazzi e ai tanti che non vogliono capire uno dei segni più importanti del nostro popolo, la lingua che stiamo perdendo e che era stata trasmessa da padre e madre in figlio. Ci hanno privato di uno dei segni più importanti del nostro popolo e lo hanno fatto anche con me ma mi sono ribellato e oggi vi parlo in sardo”. L’intellettuale si è rivolto agli studenti e ha detto: “Sono arrivati a proibire la lingua nella scuola e nella liturgia ma oggi avete la fortuna di partecipare a una delle celebrazioni più importanti per capire quanto sia importante la nostra identità. Abbiamo una lingua noi sardi e una bandiera, abbiamo un inno quello di Procura de moderare. Abbiamo anche la festa che ricorda la cacciata dei piemontesi e ma soprattutto rappresenta il cammino iniziato negli anni ’70 del secolo passato, un processo culturale e politico incentrato sull’autonomismo e sul sentimento di identità. Dovremmo avere tutto, dunque, e invece non siamo ancora a posto fino a quando non avremmo tutti il desiderio di sventolare ovunque la bandiera sarda”. Loy si è chiesto: “Cosa vuol dire oggi essere sardo? Non è la cittadinanza a definire un popolo e nemmeno il territorio perché sono esistiti ed esistono popoli che non hanno il loro territorio. Il segno più importante è il cuore, il sentimento di appartenere alla nazione sarda e al mondo intero. Tutti possono essere parte del popolo sardo, al di là del colore della pelle, al di là della loro provenienza”.
La parola è andata poi al professor Luciano Carta, del Comitato Sa Die con un intervento sul canto della sarda rivoluzione: “L’inno del Manno è sempre stato l’inno contro ogni prepotenza ed è dunque il canto di chi ha manifestato da due secoli a questa parte il desiderio più profondo di una società giusta abitata da uomini e donne liberi. Nella Restaurazione questo inno è stato nascosto, come un bandito, ma il canonico Spano lo ha fatto conoscere a metà dell’Ottocento anche se lo ha definito un canto anarchico. Grazie al poeta nuorese Bustiano Satta, alla fine dell’Ottocento, l’inno è stato tradotto e reso noto a tutti. L’inno è un’opera complessa con 47 ottave non sempre facili da comprendere, con un proemio del poeta che si rivolge ai feudatari. Nella sezione seconda c’è un saggio leggero del poeta sull’universo culturale sardo nell’Illuminismo”. L’intellettuale ha proseguito: “Quest’inno è diventato il canto di tutti quelli che volevano l’abolizione del sistema feudale”.
In Aula hanno poi preso la parola tre studenti sardi. La prima è stata Matilde Trudu, quinta elementare, vicesindaca del consiglio dei ragazzi di Riola Sardo, che ha ringraziato le istituzioni autonomiste e scolastiche: “Vogliamo ricordare l’importanza per tutti noi sardi di questa giornata per comprendere le nostre radici. Tutti i giorni portiamo avanti le nostre tradizioni facendo apprezzare la nostra identità anche a chi non è sardo e si avvicina al nostro territorio”.
Poi Gabriele, della quinta elementare di Cabras: “Siamo onorati di essere qui perché abbiamo studiato a scuola come funziona il governo della Regione. Mentre in Francia c’era la rivoluzione e i sardi respinsero i francesi, i Piemontesi erano sordi alle richieste del popolo sardo. Ed è nata così la rivolta. Grazie per averci insegnato tutto questo”.
Per ultimo ha preso la parola Valentino, rappresentante della Prima dell’istituto globale di Sant’Antioco e Calasetta: “Mi sento di parlare a nome di tutti gli studenti della Sardegna, dallo sguardo limpido. Non è passato tanto tempo da quella rivolta e resta viva ancora oggi la capacità di dissentire e di disapprovare ciò che non è giusto. Auguriamo alla neoeletta Alessandra Todde e a tutto il Consiglio regionale buon lavoro ma non dimentichiamo che al centro delle politiche dovranno comunque esserci la persona e la sua dignità. Dobbiamo lavorare per dare terreno fertile ai migliori talenti, potenziando anche i trasporti per gli studenti pendolari. Grazie e Fortza paris”.
Il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, ha ringraziato i tre studenti: “Avete dato una significativa risposta all’idea che abbiamo avuto di partire da voi per celebrare questa festa”.
A seguire l’intervento l’assessora alla Pubblica istruzione Ilaria Portas: “Anche quest’anno il Comitato Sa Die ha fatto un gran lavoro per questa festa ma prima di tutti ringrazio gli studenti perché sono davvero il futuro della Sardegna. Oggi festeggiamo la lotta e la libertà, l’orgoglio del popolo sardo. E già da domani saremo al lavoro per organizzare la grande festa del prossimo anno. Dobbiamo imparare dai fatti, a volte dagli errori e la Regione cercherà di aiutarvi in questo percorso, per l’avvio di un vero percorso di bilinguismo e a difenderci da un sistema statale che vorrebbe trattarci in modo asettico e omogeneo. Noi sardi e sarde del 2024 siamo chiamati ad essere padroni del nostro destino e non dobbiamo permettere che ci rubino il futuro”. (C.C.)
Le celebrazioni de “Sa Die” in Consiglio si sono chiuse con l’intervento conclusivo della presidente della Regione Alessandra Todde. «Per troppo tempo – ha esordito Todde – ci siamo raccontati che di storia non ne avevamo, dando per buono che il nostro passato fosse solo un susseguirsi di dominazioni, un vuoto di vera storia, quella con la S maiuscola, quella prodotta da soggetti attivi che lottano, creano, sognano. Oggi siamo qui a ricordare a noi stessi, e a chiunque ami questa terra, che abbiamo avuto una storia nostra, imbevuta di mondo, intessuta di grandi aspirazioni, certo complicata da cadute ma anche ricca di momenti alti. Siamo un popolo che ha affrontato contraddizioni ma anche depositario di grandi potenzialità che ancora dobbiamo dispiegare totalmente. Conoscendo questa storia, condividendola, meditandola, traducendola giorno dopo giorno noi costruiamo gli strumenti per alimentare il nostro desiderio di unità, libertà e prosperità».
La presidente della Regione ha poi invitato tutti a non trasformare la ricorrenza in un autoincensamento, in una giornata in cui si pronunciano parole “roboanti”, in una “sbornia di fierezza o di rivalsa” . «Sa Die non è il fine ma è un impegno. L’impegno a conoscerci, a fare i conti con noi stessi. Per migliorarci, per agire in modo differente – ha proseguito Todde – la nostra coscienza nazionale di sardi è un compito, e Sa Die è l’occasione per assumere l’impegno a svolgere questo compito con slancio rinnovato, costante, convinto, chiamando alla partecipazione ogni donna e uomo di Sardegna».
Il Capo dell’esecutivo regionale ha quindi ripercorso gli eventi storici che segnarono il triennio rivoluzionario della Sardegna (1793-1796) e la riscoperta dell’identità nazionale. «Sa Die fu più di una ribellione estemporanea. Per questo il suo culmine non è la cacciata temporanea della classe dirigente sabauda – ha affermato la presidente della Regione – Sa Die ci parla di tempi costituenti. Tempi in cui un parlamento riprende vita, la virtù patriottica accende gli animi, le nostre comunità sperimentano patti federativi per liberarsi dal giogo feudale, una parte importante della classe dirigente sarda pone la felicità e la dignità della Nazione sarda come suo obbiettivo».
Alessandra Todde ha quindi esortato i giovani presenti in aula a riappropriarsi di quel senso di appartenenza che nel corso del tempo si è offuscato: « L’occasione odierna è quella di guardarci nello specchio della storia e capire insieme se, proprio grazie a questa storia, possiamo fare di più e meglio per la nostra gente e la nostra terra. Se possiamo trovare in essa alimento per delle sfide enormi, come quelle di chi deve affrontare le molteplici crisi che sembrano condannare la Sardegna a un destino di spopolamento e spoliazione».
La presidente ha poi ricordato le parole del giurista sassarese Domenico Alberto Azuni sulla centralità della Sardegna nello scenario del Mediterraneo e del leader della Sarda Rivoluzione Giovanni Maria Angioy convinto che la Sardegna avesse tutte le potenzialità per diventare uno degli stati più ricchi d’Europa. « Il punto non è risolvere la distanza fra noi e quel passato in un giorno, tantomeno con un discorso. Il punto è non aver paura a ricordare queste parole e quello spirito, anche queste parole e quello spirito, per cui tanti sacrificarono la loro vita. Se avremo la forza di fare i conti, da domani, nel nostro concreto operare – come Governo, come Parlamento, come classe dirigente, come società sarda nella sua interezza -, con questo lascito, allora apriremo davvero una via, difficile ma necessaria, ad una diversità consapevole, effettiva, produttiva». (Psp)