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Assemblea degli eletti e delle elette: le ragioni della specialità regionale

Signor Presidente, cari colleghi,
voglio testimoniare – in questa sessione di lavoro – una forte tradizione storica ed un’esigenza attuale: quella dell’autonomia delle Regioni speciali, ed in particolare di quella sarda, che direttamente rappresento.
Tale esigenza, che ha radici nel modo stesso in cui si è formato lo stato unitario, è diventata patrimonio popolare nelle nostre Regioni, fondata soprattutto su ragioni di arretratezza economica, inizialmente di Sicilia e Sardegna, si è arricchita delle istanze multilingui e multiculturali delle Regioni speciali del Nord, antesignane di una nuova continuità fra gli antichi Stati.
Le cinque Regioni Speciali hanno vissuto con difficoltà la loro condizione, nei primi decenni delle Repubblica, il confronto con classi dirigenti nazionali che frenavano l’affermarsi del regionalismo prima che si affermasse una attenzione e una sensibilità maggiore, non senza conflitti.
Purtroppo questi ultimi anni hanno visto un calo di tensione delle autonomie speciali, come un attenuarsi della loro energia positiva, quasi corrispondente alla positiva crescita delle competenze delle altre Regioni.
Nonostante ciò ritengo che non siano venute meno le ragioni fondanti e ci sentiamo oggi in grado di affrontare l’impegno dei nuovi Statuti, di creare un nuovo nostro diritto costituzionale, in grado di interpretare con criteri aggiornati la situazione contemporanea, i nuovi bisogni materiali e culturali espressi dalle nostre società.
Il Friuli e la Sicilia hanno già formulato importanti e compiute proposte in proposito. Il Consiglio sardo va delineando l’itinerario che dovrà produrre, anche nella nostra Regione, una proposta di nuova Carta fondamentale, recependo un importante dibattito che le nostre istituzioni civili e culturali hanno sviluppato. Ed anche la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige – che hanno saputo individuare negli ultimi decenni alcuni degli istituti di garanzia autonomistica più originali – hanno l’esigenza obiettiva di ricollocare la loro  autonomia speciale nel nuovo quadro costituzionale.
Il Parlamento nazionale ha proposto, nelle ultime legislature, forti riforme che hanno dato nuovo impulso alle autonomie locali e in particolare alle Regioni, anche se spesso contraddittorie.
Ma il problema delle Regioni speciali è rimasto al margine, in questo processo; le varie riforme e ipotesi di riforma di livello costituzionale le citano con mere norme di salvaguardia.
Eppure il problema delle autonomie differenziate – più volute soggettivamente e oggettivamente più necessarie – è un problema internazionale ed europeo, sentito e accolto in modo attento in molti ordinamenti.
Ma è proprio nella Costituzione italiana che il principio di un diritto autonomistico rafforzato trova più evidente e deciso riconoscimento.
E’ principio fondante nel nostro sistema costituzionale – a cominciare dall’articolo 3 della Carta – che, ove esistano specifiche carenze, debolezze, debbano essere garantiti poteri, strumenti, particolarmente forti; che le cause che minano l’eguaglianza sostanziale nei diritti vadano “rimosse”
E, per altro verso, è diritto collettivo fondamentale, in positivo, il diritto alla diversità, all’autonomia delle politiche, alle specifiche identità ove si manifestino particolarmente consistenti.
La Sardegna, che rappresento in modo specifico, per esempio, non vede vicine soluzioni alle questioni poste dalla sua condizione insulare, al sistema di trasporti, di reti comunicative e infrastrutturali, di energia,  di servizi d’istruzione adeguati per superare le differenze del lungo isolamento, di garanzie ambientali e di sottrazione all’uso bellico internazionale di parti importanti del nostro territorio.
L’autonomia speciale intende essere poi – è questo un aspetto nuovo e fondamentale – rafforzamento dell’identità strutturale e culturale: processo per il quale mancano oggi le competenze regionali e locali sulla lingua, i beni culturali e archeologici, il sistema d’istruzione e di ricerca scientifica.
Ma alla base dell’esigenza di una diversità speciale nella nostra autonomia, vi sono non solo le tradizionali ragioni storiche: vi è anche la necessità di nuovi strumenti formali per poter impedire ogni forma di subordinazione, dipendenza, strumentalità,  che ci consenta ad esempio di manifestare la nostra contrarietà al troppo esteso uso strumentale del nostro territorio: dalle rilevanti servitù militari, agli ostacoli alla nostra politica di tutela urbanistica, alla pretesa di imporci gravi alterazioni del paesaggio con numerosi impianti eolici in percentuali inesistenti in qualunque altra Regione e ben al di sopra delle percentuali previste dal protocollo di Kyoto o il conflitto con lo Stato sulle nostre prerogative statutarie, per esempio sul Consiglio delle Autonomie locali.
Le esigenze che ho sin qui delineato devono perciò trovare una specifica soddisfazione nei documenti formali che ci accingiamo a definire. I nuovi Statuti speciali dovranno, perciò, contenere un preciso sistema di deroghe positive alle riserve di competenza sin qui assicurate allo Stato.
Questa più forte presenza delle nostre Regioni nel sistema degli Organi costituzionali sarà una premessa perché le esigenze delle autonomie trovino migliori garanzie anche nelle norme che regolano la formazione di istituzioni centrali fondamentali: il Senato federale, la Corte Costituzionale, il Governo con le sue Conferenze, il Presidente della Repubblica.
Intendiamo contribuire, anche consapevoli della nostra dimensione,ad inserire il sistema istituzionale italiano, in Europa e nel mondo, nel nuovo quadro di valori che vanno affermandosi: il diritto alla pace e alla sopravvivenza, alla giustizia ed alla ospitalità facendole diventare nuove pietre miliari nei nuovi Statuti costituzionali regionali.
Grazie signore Presidente e signori consiglieri.

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