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Asinara: lettera della Presidente Lombardo al ministro della Giustizia

Data: 21/03/2012 – Cagliari

Signor Ministro,


         durante la recente visita del Presidente della Repubblica in Sardegna, lo stesso Capo dello Stato è rimasto profondamente impressionato dalle dimensioni del dramma economico, con forti sconvolgimenti sociali, che sta vivendo il Popolo sardo.
Un misto di rabbia, frustrazione per le tante aspettative e impegni mancati da parte del Governo centrale, che, come ho avuto modo di esporre nel mio intervento di saluto, rendono l’Isola una vera e propria polveriera pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
Per questo motivo, anziché unirmi emotivamente al coro di vibrate proteste che hanno suscitato le sue dichiarazioni in merito alla ventilata ipotesi di riportare l’Asinara sotto il regime di carcere di massima sicurezza, ho preferito prendere una pausa per pesare attentamente ogni parola per rappresentarLe come Presidente dell’Assemblea Legislativa della Sardegna la nostra posizione.
Signor Ministro, la condizione in cui versa l’Isola è vissuta dai sardi con ansiosa irrequietezza per il modo in cui lo Stato nel tempo ha interpretato strumentalmente i numerosi argomenti per i quali la Sardegna compare, a buon titolo, nell’ordinamento della Repubblica con un regime di specialità.
Un riconoscimento costituzionalmente garantito in virtù di una peculiarità storica, politica e culturale rappresentata dal Popolo sardo nel tessuto unitario della Repubblica.
Invertendo l’ordine delle cose per lo Stato siamo, invece, speciali per gli oneri derivanti dalle servitù militari, le più gravose d’Italia; come sito di rifiuti provenienti dalla Campania e per scorie speciali, chiaramente le più pericolose; infine, siamo ancora speciali come sede di carceri di massima sicurezza per l’appunto.
Purtroppo, però, per lo Stato non siamo considerati altrettanto speciali in sede di rispetto dei nostri diritti e soddisfazione dei nostri innumerevoli bisogni.


A noi, infatti, è negata la continuità territoriale, effettiva e illimitata; sono negate le risorse derivanti dal ritorno delle entrate fiscali; è negato il riconoscimento del bilinguismo, riconosciuto ad altre realtà regionali con allegato pacchetto di misure di compensazione; è negato il riconoscimento degli scompensi derivanti dalla nostra condizione di insularità; è negata la zona franca, strumento indispensabile per guidare lo sviluppo di zone insulari, sancita dallo Statuto sardo; è negata perfino la metanizzazione, in discontinuità col resto di tutto il territorio della Repubblica.
In effetti in materia di fonti energetiche ci sentiamo davvero speciali in quanto unici nello Stato ad usare l’energia a più alto costo, quella elettrica, per i nostri bisogni privati, pubblici e produttivi.
Una situazione per la quale l’aggiunta delle Sue considerazioni ci ha fatto sprofondare nell’incubo di un passato coloniale, dove gli antichi regimi per punizione mandavano i reietti nell’Isola, considerata evidentemente lontana dal mondo e dalla civiltà e non degna di altre benevoli attenzioni.
Ebbene se mai lo è stato nel passato, oggi non è più così. Non lo è in quanto nei sardi è maturato un sentimento di se stessi, alla cui base si è formata una presa di coscienza dei propri diritti e del proprio ruolo all’interno dell’ordinamento della Repubblica.
Un ruolo non più marginale e subalterno, ma di attore e protagonista del proprio destino con la difesa dei propri sacrosanti e imprescrittibili diritti. Questi ultimi maturati anche col sangue e col sacrifico dei suoi figli migliori per partecipare al travagliato percorso politico e bellico che ha caratterizzato il processo unitario dell’Italia.
Unione spontanea con l’Italia, e non annessione, in quanto maturata dai sardi dell’epoca in piena libertà di coscienza con la precisa volontà di renderci, nell’unità, uguali a tutti i cittadini dello Stato nei campi del progresso, dello sviluppo e della crescita civile sociale. Tutto ciò sempre nel pieno rispetto della nostra entità etnostorica ed etnolinguistica.
L’Italia si è fatta Stato grazie alla gemmazione dell’antico Regno di Sardegna, da cui ha assunto titolo e status giuridico. Tuttavia per i sardi oltre ad una unità giuridica e amministrativa da allora non si è andati.
E’ clamorosamente mancato quel processo di unificazione economica, più volte autorevolmente ricordato dal Presidente della Repubblica proprio nel corso della celebrazioni per il centocinquantenario, che ancora ci vede disuguali nei confronti degli altri cittadini del Continente e periferici politicamente.
E così ancora una volta marchiamo in negativo la nostra specialità, per l’insufficienza delle infrastrutture, per l’assenza di fonti energetiche alternative e per un sistema di trasporti che ci rende ancora più isolati nella nostra condizione geografica di insularità.
L’Asinara, una gemma che compendia le diffuse bellezze paesaggistiche e costiere dell’Isola, evidenzia i caratteri di una biodiversità che rende la Sardegna quasi un continente rispetto al resto d’Italia, oggi nei sentimenti dei sardi non è più luogo di detenzione. Essa è assurta a simbolo del riscatto del nostro Popolo, grazie al presidio degli operai in lotta a difesa del proprio lavoro.
Lavoro che per il Popolo sardo non è solo un diritto costituzionale, ma una effettiva conquista di libertà e crescita civile in piena autonomia. Lavoro che noi sardi vogliamo costruire con i nostri mezzi, utilizzando la potenzialità e le risorse che l’ Isola generosamente ci offre.
 Allo Stato non pietiamo assistenzialismo o denari, ma il riconoscimento del diritto di essere padroni del nostro futuro e di gestire in piena e compiuta autonomia le nostre risorse materiali e immateriali.
Pretendiamo, semplicemente e significativamente, quello che ci spetta, in un auspicato rapporto di reciproca e leale collaborazione pattizia con lo Stato.
Un rapporto che, al contrario, sino ad oggi ha visto i sardi soccombenti a causa di uno Stato che si è mostrato nei nostri confronti patrigno, centralista e accentratore, più che sodale, alleato e amico.
Sono dunque qui a rappresentarLe lo sdegno del Parlamento regionale per le intenzioni avanzate dal suo Dicastero di riportarci indietro nella storia.
Questa Signor Ministro non è più terra di conquista. E’ la terra di un Popolo orgoglioso che non vuole arrendersi ad un destino di mancanza di lavoro e di prospettive di sviluppo.
Un popolo unito da un comune sentire spirituale e morale che vuole che i propri figli crescano e vivano in Sardegna prosperi e felici, e non miseri, disperati ed emigrati perché ci è stato rubato il futuro.
Per questo motivo denuncio come una lesione dei nostri diritti l’intenzione, ancora una volta calata dall’alto, di sottrarci un lembo splendido della nostra Isola, senza che, per un minimo di rispetto residuale, fossero almeno prima informate le sue istituzioni regionali.
Lei ha offeso i sentimenti di un popolo orgoglioso della propria eredità storica, trasformando in negativo, con le sue dichiarazioni, quello che è divenuto, in periodi di grande travaglio sociale come quelli che stiamo vivendo, un simbolo di speranza e di riscatto per relegarlo ad avvilente luogo di pena e detenzione.
Un’Isola che tutto il mondo ci invidia per le sue incomparabili bellezze costiere e paesaggistiche, che anziché essere trasformata in un paradiso turistico, viene svilita nelle sue aspettative, divenendo di volta in volta pattumiera della penisola, sito carcerario, o scenario di esercitazioni belliche con l’utilizzo di materiali che tanto grave nocumento provocano per la salute.
In estrema sintesi, questo suo inopportuno intervento raffigura il quadro dello stato dell’arte dei rapporti attuali con i governi della Repubblica: laddove i sardi si aspettano con speranza sviluppo e rispetto dei patti certi con lo Stato, arriva invece la negazione dei loro diritti da parte del Governo centrale di turno, anch’esso come i precedenti sempre troppo sollecito nel ricordarsi per esempio che la specialità dell’Isola oggi equivarrebbe ad un carcere di massima sicurezza che non disturbi troppo i centri di potere politico, economico e culturale del bel Paese.
Eppure in questi giorni, dopo la fiammata di speranza che ha acceso l’attenzione e la sensibilità dimostrataci dal Presidente Napolitano, cui guardiamo con rispetto e ammirazione, ben altre erano le nostre aspettative.
Fra queste la piena soddisfazione del mancato trasferimento delle ingenti somme derivanti dal prelievo fiscale nell’Isola, in virtù del novellato articolo 8 del nostro Statuto, per cui lo Stato è nostro debitore insoluto a seguito dell’accordo che ha visto l’Isola accollarsi per intero le spese del sistema sanitario, per il trasporto pubblico locale e per la continuità territoriale.
Una delle condizioni, imprescindibile e pregiudiziale, che abbiamo posto per la partecipazione a qualsiasi tavolo di confronto si voglia e possa aprire col governo centrale sulla “Questione Sarda”!
In questo quadro non possiamo accettare neppure la lontana ipotesi di un nuovo gravame, quando  lo Stato non soddisfa le nostre legittime aspettative sulle tante materie nelle quali è distratto interlocutore con le nostre Istituzioni.
L’Asinara non è solo terra di Sardegna, è il simbolo di un popolo e delle sue Istituzioni rappresentative che non vogliono più sottrarsi all’obbligo morale di difendere la propria terra perché da essa traggono il sostentamento e su queste salde radici vogliono costruire il proprio futuro di speranza e benessere, e questo non può essere rappresentato dall’angusta e fredda cella di un carcere di massima sicurezza.
Cordiali saluti.
 Claudia Lombardo


 


 


 


 



 

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