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Anniversario dell’Autonomia Regionale della Valle d’Aosta

 



Signor Presidente della Regione, Signor Presidente del Consiglio


Signore e Signori,
è per me un onore essere partecipare  alle celebrazioni del 61° anniversario dell’autonomia regionale e del 59° dello Statuto Speciale della Valle d’Aosta alla presenza delle Autorità e di tutti gli Amministratori della Regione.
Sono grato ai presidenti della Regione e del Consiglio regionale per avermi voluto rivolgere l’invito. Ai presenti rivolgo il mio personale saluto e quello dell’assemblea legislativa della Sardegna.
Le regioni ad autonomia differenziata vivono una stagione di grande fermento istituzionale, di prospettive ambiziose tese alla riforma degli assi portanti dell’autonomia speciale e del rapporto con lo Stato e di forti preoccupazioni di possibili arretramenti.
Un percorso faticoso che si colloca in un contesto nazionale di grande difficoltà e di scarsa coesione fra gli attori politici protagonisti di questa lunga transizione politica e istituzionale italiana.
Difficoltà presenti anche fra le forze politiche delle Regioni Speciali, e che sono emerse in questi giorni nella mia Regione nell’esame di una legge rinforzata – la legge statutaria – che dovrà disciplinare la forma di governo della Regione, i rapporti fra Giunta e Assemblea e altri aspetti essenziali al funzionamento degli organi regionali.
Un importante tassello del più generale progetto di riforme istituzionali in atto sin dall’inizio della legislatura, che auspico possa sfociare nel nuovo Statuto autonomistico del popolo sardo.
Questo vostro anniversario, anche per chi come me svolge temporaneamente  il compito di coordinatore del gruppo di lavoro delle assemblee delle Regioni ad autonomia differenziata, è l’occasione ideale per fare il punto della situazione sullo stato e sulle prospettive future delle autonomie speciali in Italia e in Europa.
Si può dire che le ragioni storico-politiche che stanno alla base degli Statuti sono nel tempo diventate un corpo unico con l’Istituzione Regione che si è profondamente radicata nell’identità delle nostre comunità ed è andata assumendo una caratteristica culturale, politica e amministrativa unificante tanto da essere considerata irrinunciabile anche nella percezione molecolare e quotidiana del rapporto cittadino-istituzioni pubbliche.
Non è un caso che alcune delle nostre comunità – come ad esempio la Valle d’Aosta, la cui autonomia regionale oggi celebriamo in forma solenne – siano state riconosciute come autonomie territoriali ben prima della scrittura della Costituzione e della stessa fondazione della Repubblica.
 Sebbene ci siano profonde ragioni storico identitarie, geografiche, linguistico-culturali, ambientali alla base del nostro antico senso di identità e quindi della nostra spinta all’autonomia e all’autogoverno, sebbene restino inalterati i valori fondativi, è profondamente cambiato invece il quadro di riferimento generale, la forma statuale e regionalistica entro cui anche questo contributo si colloca.  
 Il Regionalismo si è infatti rafforzato nel Paese e, grazie anche alla esperienza maturata nelle Regioni speciali, si è conclusivamente arrivati con la scrittura dell’articolo 116 della Costituzione nel 2001 a una formulazione che ha dato vita a un regionalismo differenziato ma con ampie possibilità di intervento attraverso regole patrizie con lo Stato.
Sulla base di quanto previsto nel 116 oltre alle Regioni con Statuti speciali adottato con legge costituzionale, che dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, è consentito che alle altre possano essere attribuite condizioni particolari di autonomia con un procedimento che viene avviato dalle regioni interessate e, sulla base di un’intesa fra Stato e Regione, sottoposta all’approvazione a maggioranza assoluta da parte delle Camere.
 Anche in ragione di queste modifiche costituzionali in vigore e del dibattito che si era sviluppato negli scorsi anni sulla revisione costituzionale che il Parlamento, con la maggioranza di centro destra, aveva approvato nella scorsa legislatura, poi bocciate dal referendum della primavera scorsa, fra le forze politiche nazionali era diffusa l’opinione che le specialità e le esigenze costituzionali della differenziazione fossero venute meno, che fossero venute meno le premesse storico-politico-culturali ed economiche alla base dell’autonomia e quindi ci dovessimo rassegnare a una conservazione pura e semplice dell’esistente, ormai residuale e marginale.
 Così di fatto è avvenuto nel confronto fra Parlamento e Regioni speciali nella scorsa legislatura con la difesa delle cosiddette “condizioni di miglior favore”, per evitare una totale assimilazione alle regioni ordinarie e in una logica prevalentemente  difensiva e conservativa.
 In questa legislatura – e dopo la bocciatura referendaria – il Parlamento – attraverso la Commissione Affari Costituzionali di Camera e Senato  – ha ripreso il confronto sulle modifiche della Costituzione; e pare voglia orientarsi verso modifiche limitate e sta valutando con grande attenzione la configurazione che il nostro Stato avrà anche a seguito di un avanzato processo di regionalizzazione.
Non sfugge a nessuno che mentre le regioni speciali  (e quindi la Sardegna e la Valle d’Aosta) DISPONGONO di forme e condizioni particolari di autonomia, alle altre regioni ulteriori forme di autonomia POSSONO ESSERE ATTRIBUITE con un procedimento piuttosto complesso.
 E’ confermato quindi il VALORE costituzionale degli STATUTI, mentre per le altre regioni si tratterebbe di leggi ordinarie sia pure rinforzate.
 Mi vorrei soffermare più che sugli aspetti ordinamentali, che mi sembrano abbastanza chiari e confermati anche di recente in una audizione fra le Regioni Speciali (GOVERNI e ASSEMBLEA) e le Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato, presiedute dall’onorevole Violante e dal senatore Bianco, sui principi ribaditi nella Dichiarazione che le Regioni a Statuto speciale e le Province Autonome hanno sottoscritto in questa città lo scorso 2 dicembre che ribadisce l’attualità sostanziale della specialità e nella quale si confermano alcune questioni:
1) le Regioni speciali mantengono condizioni singolari, e fra loro diverse, di tipo storico, istituzionale territoriale (insularità, montanità, frontalierità) culturali e linguistiche uniche e irreversibili e non risolvibili in un mero atto di volontà statale di decentramento.
2) Questa precedente considerazione comporta una speciale strutturazione dei rapporti con lo stato che devono essere connotati dalla bilateralità e di conseguenza non possono essere imposte modificazioni degli ordinamenti delle speciali senza il loro consenso, costituzionalizzando il principio dell’intesa e della natura pattizia degli statuti e delle loro modifiche, definendo meccanismi procedurali che diano anche certezze temporali nella conclusione dell’iter di approvazione delle leggi costituzionali di modifica degli Statuti.
Come si può comprendere da quanto fin qui detto, nonostante le opinioni anche nella nostra Regione non siano tutte convergenti, sono fra i sostenitori della esistenza e permanenza delle ragioni di differenziazione statutaria alla base della nostra autonomia regionale, sono convinto che nonostante gli enormi passi in avanti compiuti da anni di esercizio, non sempre virtuoso, della nostra autonomia e dell’autogoverno, rimangano condizioni irreversibili di differenza dalle altre regioni del Paese, comuni ma non uguali a quelle delle altre speciali e perciò necessitate a un rapporto diverso con lo Stato, la cui unità non è per noi in discussione, così come non è in discussione la nostra partecipazione solidale alla vita della comunità nazionale di cui ci sentiamo parte integrante.
Sono inoltre convinto che questo Regionalismo, plurale e differente, se incardinato all’interno di un sistema statale unitario non in discussione, possa costituire una ricchezza e che, così come in passato l’esperienza delle poche Regioni speciali ha posto le premesse per il regionalismo diffuso che a partire dagli anni ’70 conosciamo, allo stesso modo ritengo che la revisione degli Statuti speciali possa spingere più avanti l’organizzazione dello Stato e sperimentare forme più avanzate di funzioni regionali esercitate in autonomia e d’intesa con lo Stato.
 Non si tratta solo di una rivendicazione di maggiori poteri e competenze, quanto di cimentarsi su un terreno di nuovo rapporto con lo Stato più attento alla qualità delle funzioni esercitate anche in forma concorrente che alla loro quantità, sebbene non sottovaluti questo aspetto che richiama il problema delle risorse, delle funzioni pubbliche esercitate. Da questo punto di vista la recente conclusione del confronto con il Governo in materia di entrate costituisce un decisivo passo in avanti nell’attuazione dello statuto di autonomia della Sardegna.
Siamo quindi tutti consapevoli che sia necessario uscire da una logica strettamente conservativa delle specialità. Ciò richiede la predisposizione di nuovi Statuti, che ricontrattino le condizioni di specialità, individuandone le funzioni, i poteri e i modi di partecipazione ai processi di decisione politica.
Come ho detto, in Sardegna è in atto un confronto ampio sulle Riforme. Si tratta di una materia comunemente sentita dal sistema politico e dai gruppi dirigenti sardi come urgente, necessaria, non più rinviabile anche alla luce delle modifiche profonde nel nostro sistema costituzionale. Le nostre istituzioni regionali e locali , la società sarda, sono chiamate a eccezionali responsabilità.
 Non c’è in Sardegna nessuna istanza politica e sociale che non si dica autonomista e che non sia legata al concetto di specialità.
Non c’è nessuna fase politica della nostra storia democratica, non c’è stato nessun programma di governo o delle forze di opposizione che non abbia avuto al centro dell’azione e dell’organizzazione del consenso un senso profondo della specialità, della rivendicazione di parti non attuate dello Statuto, di iniziative per il raggiungimento di intese e norme di attuazione che non ha riguardato solo i gruppi dirigenti ma ha avuto vasta partecipazione popolare, come è testimoniato dalle lunghe e convinte battaglie per i piani di  rinascita.
Così è accaduto anche di recente, quando, alla testa di quindici consigli regionali, ci siamo opposti con forza al testo di modifica della parte II della Costituzione, depositando la richiesta di indizione del referendum sulla devoluzione.
Una battaglia vinta dai cittadini ma anche da quelle regioni che, come la Sardegna e la Valle d’Aosta,  hanno fondato la propria ragion d’essere sui principi autonomistici che quelle modifiche costituzionali puntavano a spazzare via.
La sostanza della nuova autonomia, che le regioni speciali stanno tentando di costruire, si basa dunque sulle differenze piuttosto che sulle uguaglianze. I nuovi Statuti dovranno diventare strumento di propulsione e di garanzia: dovranno essere lo strumento giuridico capace di dare consapevolezza e forza alle comunità, ma anche garantire i cambiamenti e gli  adeguamenti ai mutati scenari italiani ed europei.
Il modello di autonomia da rappresentare nel nuovo panorama Costituzionale, anche in vista delle eventuali future modifiche, deve esaltare il tema identitario, perché la Regione rappresenta l’identità istituzionale del suo popolo.
Questa è la premessa necessaria su cui deve fondarsi l’integrazione a livello nazionale e sopranazionale delle singole autonomie speciali.
In questa solenne occasione sento di ripetere quanto ho già avuto modo di affermare davanti al Consiglio Regionale della Sardegna:
“Possiamo essere i protagonisti di una vicenda che ridefinisce i contorni della nostra istituzione democratica, dei suoi rapporti con la società e della partecipazione dei cittadini. Senza retorica, dobbiamo sentire su di noi il peso di questo non ordinario compito che supera la momentanea collocazione dei gruppi politici, senza confondere i ruoli e le responsabilità”.
Ai Presidenti Caveri e Perron, agli amministratori locali, alle Autorità, agli illustri relatori e alle persone qui convenute  rinnovo i miei personali saluti e quelli dell’intero Consiglio regionale della Sardegna. Ringrazio ancora una volta la Giunta e il Consiglio regionale della Valle d’Aosta per l’invito che hanno voluto rivolgermi, al quale ho positivamente risposto anche in segno di sincera amicizia.


Giacomo Spissu


 

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