Sassari, 5 giugno 2017
Buonasera a tutti,
consentitemi, in apertura del mio intervento, di ringraziare la Fondazione “Enrico Berlinguer”, il Centro Studi autonomistici “Paolo Dettori” e la Fondazione Sardegna per l’opportunità di confronto che è stata offerta su temi di stretta attualità che riguardano la Sardegna, la condizione attuale in cui si trova e le possibili soluzioni per superarla.
Sono assolutamente d’accordo con la proposta avanzata oggi di costituire un gruppo di lavoro che veda impegnati intellettuali, politici e società civile nel progettare il futuro della nostra isola, trovando le soluzioni migliori perché possa concretizzarsi un progetto complessivo in cui si riconosce tutto il popolo sardo, aldilà delle appartenenze politiche del momento.
La gran parte delle difficoltà attuali che noi sardi viviamo sono legate a scelte del passato, ad alcune scelte errate del passato, e ad altre che non siamo riusciti a completare, come l’intervento sul deficit infrastrutturale che è secondario all’insularità, come la scelta della monocultura industriale di cui si è già parlato, che ha portato allora per la Sardegna oggettivi vantaggi economici, riuscendo a far fare alla nostra isola un importante salto in avanti, ma che purtroppo ha lasciato poi, nel momento della crisi, un deserto con complicanze di tipo ambientale, occupazionale e sociale, oggi difficilmente gestibili.
La crisi economica ha pesato molto di più nella nostra isola, rispetto alle altre regioni italiane a causa del deficit di infrastrutture, dell’ incapacità di dare risposte ad un malessere così profondo e così marcato, in assenza di canali di economia e produzione paralleli. I dati ci dicono, riporto quelli relativi al PIL del 2014, che siamo ritornati alla soglia al di sotto del 75% che ci riporterebbe all’Obiettivo I in campo europeo; se consideriamo l’indice di competitività che valuta la capacità di creare le condizioni perché si installino imprese che durino nel tempo e le condizioni generali di vivibilità per i cittadini, siamo addirittura al 228esimo posto su 263 regioni europee, senza voler citare i tassi di disoccupazione generale e quelli, in particolare, sulla disoccupazione giovanile, ampiamente noti.
Noi dobbiamo rivendicare un riconoscimento della condizione di insularità che a oggi non è ancora definito ufficialmente, né a livello nazionale, né a livello europeo.
L’ insularità è condizione di specialità di per sé, per una maggiore esposizione a fenomeni migratori, di spopolamento, di difficoltà di trasporti e di approvvigionamento energetico, di fragilità della produzione agricola e di marcate differenziazioni dell’economia, tutte condizioni che giustificano un regime differenziato e politiche mirate per le isole. Il riconoscimento del regime di insularità esiste già nel Trattato di Amsterdam, siglato nel 1997 dalla Comunità europea che prevede misure specifiche che se applicate nella nostra isola, avrebbero consentito di affrontare in maniera diversa ad esempio il tema della continuità aerea e dei voli low cost, evitando interventi che vengono invece considerati oggi aiuti di Stato per quelle regioni che invece, a differenza nostra, isole non sono. La battaglia per il riconoscimento della condizione di insularità della nostra Regione credo sia una delle priorità da mettere al centro del dibattito sul futuro della Sardegna; la specialità è un valore da rivendicare sempre, caratterizzato da ragioni legate come detto all’insularità, ma anche a forti valori identitari, come la lingua, l’ambiente, la cultura e il paesaggio, che non sono abbastanza valorizzati nel testo del nostro Statuto.
Credo, a riguardo, che occorra chiarire quale rapporto debba esserci tra Regione e Stato, in base allo Statuto e alla sua applicazione. È evidente che il rapporto debba essere dialettico, continuo e in grado di adattarsi alle differenti condizioni politiche ed economiche. Le norme di attuazione sono lo strumento per rendere efficaci i contenuti dello Statuto, ebbene anche qua noi dimostriamo una grande incapacità nel gestire questo strumento, rispetto alle altre regioni a Statuto speciale. Basti pensare che abbiamo ottenuto dodici decreti attuativi, a fronte dei settanta del Trentino Alto Adige, dei trentadue della Val d’Aosta, dei venticinque del Friuli Venezia Giulia.
L’assunzione di responsabilità è l’atto insito nella forma di autonomia, l’autonomia è legata all’assunzione prima di responsabilità, la capacità di dare servizi direttamente adattati a quelli che sono le esigenze del proprio territorio e dei propri cittadini.
È vero che è un rischio, come dimostra il Patto del 2006 siglato dall’allora presidente Soru che con la modifica dell’articolo 8 dello Statuto ha concordato l’assunzione piena della responsabilità nella gestione della sanità e dei trasporti. Ebbene questo veniva fatto in un momento in cui c’era un PIL che cresceva del 3%, ma negli anni successivi il prodotto interno lordo ha iniziato a decrescere sino a diventare negativo, meno 1, meno 2, meno 3%, comportando minori entrate per la nostra Regione, quindi senza un rientro adeguato rispetto ai costi della funzione esercitata; a questo si aggiunge la mancata riforma strutturale del sistema sanitario che doveva essere adattato alle regioni della Sardegna, una modifica essenziale senza la quale sono rimasti invariati i costi e le inefficienze in maniera omogenea per tutti questi anni. Senza dimenticare il mancato riconoscimento dei contributi per i farmaci sperimentali che rappresentano oggi per la Regione un costo pari a circa 60milioni di euro all’anno, o l’individuazione delle risorse per il funzionamento delle province che in tutte le altre regioni a Statuto ordinario possono contare su un capitolo di bilancio statale specifico e infine il sistema di accontonamenti che lo Stato gestisce al di fuori dei patti, andando a comportare per la nostra Regione un balzello di 300 milioni in più sul 2017 e sul 2018 che giustamente la nostra Regione ha deciso di impugnare.
Alla fine se si vanno a verificare questi dati si capisce perché non sia più sostenibile la sanità in Sardegna e non sia più sostenibile anche tutto il resto, considerato che proprio i costi della sanità vanno ad incidere su più della metà del bilancio regionale.
Per questo serve un’interlocuzione forte con il Governo che riparta dall’articolo 3 dello Statuto, purtroppo ancora attualissimo che recita come sapete “Lo Stato con il concorso della Regione dispone di un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola”.
È l’articolo su cui si sono basati i due piani di rinascita di cui abbiamo tanto parlato oggi pomeriggio, ancora così necessario proprio perché allo stato attuale esistono ancora delle distanze siderali tra il nostro sistema economico, la competizione del nostro sistema economico, e quello del resto d’Italia.
In questo contesto si inserisce il Patto per la Sardegna, siglato con il Governo Renzi, che ha il limite di essere nato dall’interlocuzione tra esecutivi, senza una compartecipazione ampie alle scelte con la società civile che invece è quella che serve alle politiche che noi dobbiamo mettere in campo.
La mia convinzione è che se noi non colmiamo questi svantaggi strutturali non ci sarà mai la possibilità di opporsi a fenomeni come quello dello spopolamento che è stato ben descritto oggi dal presidente dell’ Anci Sardegna, Emiliano Deiana, primo grande problema della Sardegna che non riguarda più soltanto le zone interne, ma complessivamente tutto il territorio regionale, fatte salve alcune eccezioni dei grandi centri. Allora rispetto ad un fenomeno come questo, o si creano le condizioni perché ci sia un’attività imprenditoriale, una condizione di vita nei singoli centri, oppure non c’è soluzione, ecco perché io insisto molto sul fatto che il deficit infrastrutturale e tutti i meccanismi che possono facilitare la riduzione di questo gap vanno messi in campo rapidamente; quarant’anni non sono niente e una popolazione di un milione di abitanti non può certamente reggere lo stato sociale perché gli ultra sessantacinquenni superano abbondantemente la quota di abitanti in età lavorativa.
Gianfranco Ganau
Presidente Consiglio regionale della Sardegna