Data: 28/04/2017
Buongiorno a tutte e tutti,
un saluto particolare al Presidente Pigliaru, ai presidenti dei Consigli regionali, agli illustri relatori e a tutti i graditi ospiti.
Svolgiamo questo incontro in una data di particolare significato per la nostra isola, oggi si celebra in tutta la Sardegna Sa Die de Sa Sardigna', giornata della festa nazionale dei sardi, che proprio questo Consiglio regionale ha istituito nel 1993.
Giornata che, come noto, ricorda quella lontana data del 28 aprile 1794, passata alla storia per l'insurrezione dei sardi e la cacciata dei dominatori piemontesi.
Si tratta di un episodio storico che trae origini complesse da uno stato di malessere profondo del popolo sardo cui concorsero molteplici cause.
Il peso progressivo dell'imposizione fiscale, l'aumento dei costi delle materie prime e al consumo, uno stato diffuso di corruzione, unitamente al malcontento per le mancate risposte alle richieste di compartecipazione alle scelte e al governo dell'isola, rappresentate dalle famose cinque domande degli Stamenti, costituirono la base di quel clamoroso moto antidispotista ed antipiemontese.
Quella data del 28 aprile 1794 e l'episodio storico ricordato, che ha rappresentato un vero e proprio atto rivoluzionario, sono oggi simbolo dell'orgoglio sardo e il riferimento per un percorso non ancora compiuto che trova le ragioni più profonde nella ricerca di autonomia, nella sua difesa e nel suo ampliamento verso il pieno riconoscimento della sovranità e della piena autodeterminazione del popolo sardo.
Il convegno odierno si inserisce in un quadro di incertezza che dopo l'esito negativo del referendum costituzionale riapre spazi di ragionamento per una piena attuazione del titolo V della Costituzione e verso una nuova forma del rapporto tra Stato e Regioni che veda invertita la direzione sin qui dettata da una legislazione della crisi e della centralizzazione verso un quadro nuovo di integrazione e cooperazione tra Stato e Regioni che sia più rispettosa dell'attuale quadro costituzionale.
In questo orizzonte più ampio merita di essere collocata una riflessione sulla specialità e sulla contrapposizione, non sempre giustificata, verso altre forme, pure ammissibili ed anzi auspicabili, di differenziazione dell'autonomia regionale.
L'esperienza della nostra specialità appare ancora radicata nel sentire comune, pur con i limiti e le distanze che separano oggi le istituzioni dalla popolazione. Essa ha fondamenti e motivazioni forti e difficilmente controvertibili: l'insularità e con essa l'esigenza di politiche particolarmente dedicate (si pensi alle politiche di infrastrutturazione statali dalle quali la regione è esclusa, collegamenti, trasporti, energia), identità culturale e linguistica, specificità ambientali, il non colmato problema della distanza economica dal resto del Paese, che da un lato dovrebbe essere destinata ad essere superata, dall'altra è ancora attuale e presenta particolarità per molti indicatori, per lo più connesse alle peculiari condizioni geografiche del mercato interno.
Vi è un dato storico-politico per cui la Regione rappresenta pur sempre il volto prossimo delle istituzioni e ancor più dei comuni, per molti versi, l'interlocutore necessario e mediatore del rapporto cittadino/autonomie locali con lo Stato. A queste fa riscontro nel comune sentire un’ampia ed articolata area autonomistica che ispira correnti anche indipendentiste con crescente seguito.
Ma analogie e intendimenti comuni vi sono anche nell’ esperienze delle altre regioni ad autonomia speciale.
Allo stesso tempo è oggi sempre più difficile rappresentare la specialità come mera separatezza di strumenti e procedure, se questi non sono collegati ad esigenze reali e obiettive dell'isola e della sua comunità. Di qui la necessità di aggiornamento degli Statuti speciali per mettere direttamente in relazione l'autonomia con queste esigenze ed aspettative che sono in primo luogo esigenze dei cittadini.
Il rilancio della specialità non contrasta con l'altro indirizzo, che nella recente proposta di riforma costituzionale si è tentato di contrapporre: quello delle asimmetrie delle autonomie regionali.
Queste due direttrici meritano di essere messe a confronto, potendo rappresentare le esperienze virtuose delle regioni ad autonomia speciale un modello da perseguire per le altre regioni, potendosi ricondurre entrambi i modelli ad un principio di differenziazione che è proprio di ogni ordinamento autonomistico evoluto.
Nell’esperienza delle regioni ordinarie vi sono margini per sperimentare modelli di ampia differenziazione di funzioni e di compiti in relazione alle esigenze e particolarità della popolazione e dei territori.
Un regionalismo efficiente e cooperativo dovrebbe tener conto, sia pure in un'ottica di equità e solidarietà, delle diversità e particolarità di ciascuna esperienza regionale. Il pur reclamato principio di differenziazione non ha sinora trovato sviluppo nello spiraglio dell'articolo 116 comma 3, se non per iniziative a forte connotazione politica. I referendum promossi dal Veneto e dalla Lombardia volti a rivendicare maggiori autonomie possono essere uno strumento utile alla ripresa del confronto sulle forme di un regionalismo realmente differenziato.
Su questi temi prima dell’avvio dei lavori del convegno il coordinamento delle Assemblee delle Regioni speciali e province autonome ha approvato un documento e son sicuro che questo convegno potrà costituire un buon punto di partenza per la discussione, pertanto non mi resta che augurare a tutti un buon lavoro.