Data: 31/10/2018 ore 17:30
Eccesso di pressione fiscale, burocrazia, eccessivo costo del lavoro: sono i principali fattori critici individuati dalla Commissione speciale sulla crisi di artigianato e commercio, che ha concluso oggi i lavori con voto unanime nominando il presidente Roberto Deriu relatore per l’aula.
Il documento è stato approvato dopo sei mesi di audizioni, che hanno consentito alla commissione speciale di ascoltare le parti sociali coinvolte e di raccogliere i dati economici relativi alla grave crisi che affligge il commercio e l'artigianato sardo.
Nel testo finale, che precede una specifica proposte di legge, anche due emendamenti aggiuntivi dell’onorevole Congiu, uno dell’onorevole Eugenio Lai, e uno dell’onorevole Luigi Crisponi.
Di seguito, il testo della relazione finale. (c.c.)
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RELAZIONE FINALE DI CONCLUSIONE DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE SPECIALE SULLA GRAVE SITUAZIONE DELLE IMPRESE ATTIVE NELL'ARTIGIANATO, NEL COMMERCIO AL DETTAGLIO E SULLE POLITICHE COMMERCIALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
composta dai Consiglieri
DERIU, Presidente e relatore, LAMPIS, Vice presidente, GAIA, Segretario, RUBIU, Segretario, AGUS – CACCIOTTO – CONGIU – CRISPONI – LAI – LANCIONI – LOTTO – PERU – TEDDE
Il consiglio regionale ha ritenuto, con ordine del giorno n. 93 dell’8 maggio 2018, di accogliere, ai sensi dell’art. 53 del Regolamento, la richiesta di procedere all’istituzione di codesta Commissione speciale conferendogli l’incarico di esaminare la grave situazione delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio, di verificare le politiche commerciali della grande distribuzione e, sulla base delle risultanze emerse, procedere all’elaborazione, entro il 31 luglio 2018, di una proposta di legge finalizzata ad affrontare le problematiche più urgenti relative a tali settori.
La Commissione si è immediatamente attivata per svolgere in maniera organica il mandato ricevuto procedendo, in prima istanza, all'audizione della gran parte dei soggetti coinvolti, fra cui, in particolare, gli Assessori regionali competenti, le associazioni di categoria, Unioncamere e le Camere di commercio, il Banco di Sardegna, la SFIRS, i soggetti rappresentativi del mondo del credito e non solo..
Inoltre, nel mese di luglio, i componenti della Commissione hanno partecipato a degli specifici incontri presso le sedi territoriali delle Camere di commercio della Sardegna al fine di illustrare l’attività e le finalità della Commissione e recepire le istanze del comparto dell’artigianato e del commercio, da trasfondere nel testo della proposta di legge in elaborazione.
Durante tali audizioni è emerso che la morsa che attanaglia le imprese regionali che operano nei settori dell’artigianato e del commercio è dovuta in buona misura a due problemi fondamentali, il primo dei quali è costituito dall’eccessiva pressione fiscale, posto che oggi pesa sulle imprese regionali una pressione fiscale disallineata rispetto ai fattori di produzione e alla loro capacità di produrre reddito, e il secondo è rappresentato dall’eccessivo costo del lavoro.
Si tratta di due temi di politica nazionale rispetto ai quali, soprattutto al primo, è urgente intervenire immediatamente nelle sedi istituzionali preposte avviando un processo di revisione della normativa fiscale applicabile nelle zone insulari.
E’ emerso, inoltre, che la situazione è particolarmente grave in relazione alle imprese artigiane e commerciali allocate nelle zone interne e marginali dell’isola, rispetto alle quali è necessario attivare delle misure di carattere fiscale, economico e di politiche attive del lavoro capaci di riequilibrare l’ulteriore gap a cui sono soggette.
Sulla scorta delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni, la Commissione, nella seduta del 12 luglio 2018, ha proceduto alla costituzione di due apposite sottocommissioni incaricate, rispettivamente, di elaborare i punti della proposta di legge destinati specificatamente al commercio e all'artigianato, così composte: Sottocommissione commercio: On.li Agus, Comandini, Gaia e Peru; Sottocommissione artigianato: On.li Cacciotto, Lai e Lancioni. L'Ufficio di Presidenza ha mantenuto in capo il compito di predisporre le disposizioni generali.
Il Consiglio regionale, nella seduta del 1 agosto 2018, su istanza motivata di questa Commissione, ha ritenuto di prorogarne di tre mesi i lavori, così da dargli modo di portare a compimento nella maniera più adeguata l’incarico affidatogli.
Nel proseguo dei lavori la Commissione, grazie anche al costante lavoro di ascolto di tutti i soggetti coinvolti, ha approfondito l’analisi dei settori di interesse pervenendo all’individuazione di una serie di importantissimi dati conoscitivi che meritano di essere, di seguito, riportati.
Artigianato. Alla fine del 2017, secondo i dati di Confartigianato, le imprese artigiane sarde registrate nei vari albi delle camere di commercio sono 35.562. Queste costituiscono un terzo del totale delle imprese sarde. Dati lontani dal record raggiunto negli anni 2000, quando si toccarono le 38.000 iscrizioni. A oggi non si può parlare di crescita delle iscrizioni, come si vedrà, tanto più che, come è stato segnalato durante le audizioni, la vita delle aziende neonate – a prescindere dal settore – è piuttosto ridotta: nel giro di tre anni, il 40% circa delle nuove imprese artigiane che nasce, scompare.
Ciononostante, in Sardegna “fare impresa” significa in larghissima parte fare impresa artigiana: sono artigiani i tre quarti delle imprese manifatturiere (74%), i due terzi delle imprese di costruzioni (66%); molto elevata è la presenza di imprese artigiane impegnate nel comparto industriale (71%) e nei trasporti (65%).
Questi dati, però, vanno rapportati alla profonda crisi che per un decennio ha sconvolto l’intero sistema economico, sardo e non solo. La Sardegna infatti è, secondo le stime della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA), la regione con la più alta percentuale di cancellazioni dagli albi delle imprese artigiane per il periodo 2009-2016: a fronte di una media nazionale del -9,2%, la Sardegna perde il 15,2 %. Questo dato riguarda significativamente il settore delle costruzioni (-3.211 imprese), il settore manifatturiero (-1.555) e i trasporti (-732). Il dato della cancellazione di impresa è distribuito fra le quattro macro aree in maniera piuttosto uniforme, con Nuoro che subisce la perdita maggiore (-16,6%, pari a 1.301 imprese); la perdita più bassa si registra a Oristano (-13,9%, pari a 506 imprese artigiane). Sassari e Cagliari perdono rispettivamente 2.278 e 2.430 imprese artigiane, pari in entrambi i casi al 15%.
Un dato ineludibile, nonostante le stime di crescita, peraltro timide: la Sardegna cresce dello 0,6% nel 2017 secondo le stime CNA, ma si tratta di una crescita inferiore rispetto alla media nazionale dell’1,5%. Ciò non stupisce, se si considera che in Sardegna, sempre nel 2017, si è registrata la perdita di altre 784 unità imprenditoriali. È la risultante tra le nuove iscrizioni (1.626) e le cessazioni (2.410). Una risultante pari al 2% del totale, che porta a 7.456 le imprese chiuse dal 2008, anno di inizio della crisi. Il dato del 2017 è maggiore rispetto a quello del 2016, quando hanno abbassato la serranda 541 attività. Nel primo semestre del 2018 questo dato si è ridotto: con 1.107 nuove iscrizioni e 1.397 cancellazioni, al giugno del 2018 si sono perse 290 imprese. Si tratta però di un dato parziale, destinato a crescere durante l’anno. In questo primo semestre a soffrire maggiormente la perdita di imprese artigiane è stato il territorio di Cagliari, con -114 imprese. È Nuoro il secondo territorio più colpito, con -35 imprese. Segue la zona di Sassari e della Gallura con un saldo di -17 e, da ultimo, Oristano, territorio con un albo Artigiani non operativo, ma che ha perso 124 realtà imprenditoriali. Secondo CasArtigiani, le cause vanno rintracciate nella mancanza di infrastrutture adeguate, nell’elevato costo dell’energia e nella poca mobilità interna. I settori che soffrono maggiormente gli effetti della crisi sono in particolare, oltre a trasporti e costruzioni, quello della carpenteria metallica e dell’industria del legno. Si tratta di settori fortemente connessi con il comparto trainante dell’edilizia. Come ha lamentato la relazione di CasArtigiani, senza una ripresa dell’edilizia, non può ripartire l’economia dell’intera regione.
Edilizia. L’alleanza tra edilizia e artigianato è storicamente riconosciuta: l’edilizia costituisce un moltiplicatore degli introiti, in quanto li triplica, secondo i dati in possesso dell’ANCE. Sempre l’ANCE chiarisce che con un miliardo di euro si produce lavoro “a cascata” per altri 15.000 collaboratori, 5.000 dei quali provenienti dalle imprese artigiane. Questa proficua alleanza tra i due mondi imprenditoriali – inscindibili, secondo Confidi Sardegna – aveva, fino a qualche anno fa, la certezza di proseguire. Da quando, però, si è smantellato l’impianto legislativo del piano casa, questi interventi si sono fortemente ridotti, causando una riduzione delle possibilità di lavoro. Da questa situazione critica, ovviamente, il comparto artigianale risulta maggiormente colpito, sia perché dipendente dalle commissioni delle imprese edilizie, sia perché le strategie di marketing sono ridotte all’osso e dunque un artigiano, con gli ovvi limiti di espansione, non può cercare di riassestarsi sul mercato.
Non è però facile scorgere segni di ripresa: Confartigianato segnala che tra 2016 e 2017 si è perso lo 0,9% delle imprese edili registrate. Tra queste, le imprese artigiane che hanno chiuso hanno toccato il tasso del 2,5%, che equivale a 341 unità. Così nel biennio 2016-2017 gli occupati del settore sono scesi a 36.967 contro i 44.734 del 2012. Le buste paga, cioè, sono diminuite di 7.767 unità (-17,4%). Confartigianato segnala che le attività diminuiscono anche perché non si mettono in cantiere grandi opere: quanto si riesce a fare è merito dei vari piani casa, quindi legato all’edilizia privata. E i risultati si vedono: in Sardegna, grazie all’attività edile, molti contribuenti (31.456) hanno ridotto i loro consumi energetici, ricevendo detrazioni fiscali pari a 15 milioni di euro totali. Se si predisponesse un piano per l’edilizia pubblica di questo stesso tenore, il risultato sarebbe altrettanto positivo: con 103 milioni di investimenti pubblici, si riuscirebbe a ridurre del 12,6% i consumi della scuola sarda (è la proposta di CNASardegna). Le grandi opere risultano uno snodo cruciale, stando alle relazioni, in quanto la spesa pubblica della Regione Sardegna rappresenta il 28,71% del PIL sardo (stando sempre alle stime di CNA).
Anche il privato, in realtà potrebbe fare di più: la tendenza atavica a non investire, anche per ristrutturazioni del proprio patrimonio, è dura da scalzare. Se si guarda infatti alla possibilità di recuperare gli immobili, negli anni passati si sono fatti investimenti – privati – per due soli miliardi di euro, secondo stime molto attendibili. Una parte molto piccola rispetto ai capitali custoditi nelle banche, che valgono globalmente decine di miliardi di euro in Sardegna. In ogni caso, nonostante i forti vincoli posti dal PPR si è prodotta economia nel tempo.
Considerando però che i consumi crescono e, come è emerso nelle audizioni, una buona parte dei consumi riguardano l’acquisizione di immobili, è possibile che gli investimenti riprendano successivamente.
Va poi segnalato che i dati positivi che provengono dagli investimenti “nel mattone” hanno una contropartita notevole: le tasse. Se infatti gli investimenti sono aumentati, non sono state da meno le impennate sulle imposte. Secondo le rilevazioni de Il Sole 24 Ore, la Sardegna risulta una delle regioni (assieme a Calabria, Puglia e Abruzzo) con gli aumenti maggiori sulle imposte: non solo è cresciuta l’addizionale Irpef, ma anche le tasse sulle abitazioni. Le tasse sono aumentate infatti del 2,1% tra 2016 e 2017. E come si sa, contribuenti con molte imposte temono gli investimenti.
Risulta inoltre chiaro che il settore dell’imprenditoria artigianale sarda segue la tendenza generale dell’economia regionale ad arrancare rispetto ai dati nazionali. Rispetto ad altre regioni italiane infatti la Sardegna cresce meno: il PIL sardo è stato recuperato per il 90, 6% a fronte di una media nazionale del 96% ed è stato rioccupato il 93,4% degli occupati pre-crisi, a fronte di una media nazionale del 98,6%.
Si può incrociare questo dato con le stime di CNA, che ha calcolato che i fondi previsti per i provvedimenti di sviluppo industriale (come Industria 4.0) vengono quasi interamente assorbite dal Centro- Nord (12 miliardi contro un solo miliardo, secondo le stime dell’Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno, SviMez). Di questi fondi poco arriva alle imprese artigiane e pochissimo alla Sardegna: dei fondi stanziati dalla “Nuova Legge Sabatini” per l’acquisto dei macchinari da parte delle piccole e medie imprese, la Sardegna ha ottenuto solo il 2% per gli anni 2014-2016. In buona sostanza, chi è già strutturato continua a crescere, chi non lo è beneficia pochissimo dei fondi previsti.
Un’altra questione che è stata richiamata nelle audizioni, da Casartigiani Sardegna, è quella del passaggio generazionale nelle imprese edili. Gli oneri fiscali in questo settore risultano particolarmente alti se si vuole proseguire l’attività dei propri genitori. È significativo che a essere penalizzate siano soprattutto le donne, che spesso hanno una formazione maggiore ma vengono estromesse dalla dirigenza. Potenziali risorse, potenziali traghettatrici verso un maggiore sviluppo dell’impresa, sono tagliate fuori.
Comparto agroalimentare e della moda. Alcuni dati sono però positivi e riguardano la timida ripresa partita nel 2017. Sono due i settori che secondo Confartigianato presentano dati che lasciano ben sperare: il comparto agroalimentare e la moda.
Il comparto agroalimentare in Sardegna vale 3.623 imprese artigianali che nel primo semestre 2017 hanno esportato 86 milioni di euro di valore, divisi tra prodotti alimentari (73 mln di euro) e bevande (12 mln di euro). Questi dati si inquadrano in un miglioramento dell’export sardo per il 2017, cresciuto del 27,8%: positivo l’export di frutta e ortaggi lavorati (+45,1%), di frutta fresca (+80,9%), di prodotti della pesca (+50,4%) e soprattutto di prodotti di bosco e frutti selvatici (+100,5%). L’industria lattiero casearia esporta il 75% della sua produzione negli Stati Uniti, direzione privilegiata anche dell’export oleario (+21,9%) assieme alla Svizzera. Questo risultato è frutto di una grande cooperazione delle imprese artigiane con la Regione, che ha spinto per maggiore formazione e conoscenza di nuove tecniche di vendita, secondo Confartigianato. Sono dati incoraggianti, anche se i livelli pre-crisi sono stati recuperati nel 2017 per il 94,8%, a fronte di una ripresa nazionale ampiamente affermata (103,4%), secondo i dati di CNA.
Il settore della moda è forte di 1.688 imprese artigiane registrate nel primo trimestre 2017, 1.212 delle quali, ossia il 71,8%, sono artigiane. Il comparto di maggiore sviluppo è quello delle cosiddette TAC (imprese del Tessile, Abbigliamento e Calzature), che con le sue 725 unità costituisce il 43,0% del totale. In particolare, questo settore è, secondo le stime di Confartigianato, uno tra i più dinamici, con il 17% delle imprese posseduto da giovani under 35. Si tratta di un dato in linea con quello generale: sono 2.918 gli artigiani under 35, il 17, 2% delle imprese giovanili. Il 20,5% di queste (1.110 imprese) opera nel Nord Sardegna; il 16, 4% nel Cagliaritano, il 15,4% a Nuoro e il 15,3% a Oristano.
Il dato è destinato a crescere: le imprese famigliari che vedranno una successione al vertice nei prossimi anni sono 3.454. Il 19,4% di queste sono attive nei servizi e il 14,3% nelle costruzioni. Da qui passa la strada non solo per lo “svecchiamento” di cui parla Confartigianato, ma anche per l’innovazione.
Il commercio. Nel commercio sardo operano – i dati valgono per il 2017 e vengono dalla Confcommercio – 77.216 imprese. Il 45,6% di queste risulta attivo, stando sempre alle stime di Confcommercio. Nel 2017 2.615 aziende hanno effettuato cancellazione dal registro delle imprese, a fronte di 1.236 nuove iscrizioni. Le nuove iscrizioni sono diminuite rispetto al 2016, quando si erano iscritte 1.439 imprese: un calo del 3,6%. Non è l’unico calo nel settore del commercio: sono calati dell’1,6% gli operatori attivi, secondo l’osservatorio dei Confidi. È inoltre calato il numero dei prestiti. Si tratta comunque di un settore economico che ha prodotto il 24,7% del PIL sardo nel 2017: 7, 438 miliardi di euro.
Le vendite al dettaglio registrano per il 2018 un calo complessivo del 4,6% in valore: solo la vendita degli elettrodomestici rimane invariata rispetto all’anno precedente. Cala anche il commercio, tanto della grande distribuzione (-6,1%) quanto su aree ridotte (-3,9%), a fronte di un’ovvia impennata dell’e-commerce (+16,2%).
Le piccole e medie imprese del commercio sono peraltro agevolate da uno strumento importantissimo, gestito dalla SFIRS, la Società Finanziaria della Regione Sardegna. Si tratta del fondo per le PMI, che ha finanziato 700 iniziative, con un investimento di 70 milioni di euro, di cui 24 milioni di garanzia. Oltre ad aziende già esistenti hanno beneficiato dei finanziamenti molte nuove attività attive nel bricolage, nel giardinaggio, negli alimentari, nelle drogherie, soprattutto è stato possibile inserire nell’attività del fondo di garanzia esercizi commerciali quali: tabaccai, edicole, talune forme di ristorazione che avevano difficoltà sempre crescenti di accesso al credito a far tempo dal 2008.
Gli interventi di sostegno creditizio per il commercio sono diversi: di concerto con la Banca Europea degli Investimenti (BEI), la Regione stanzierà un totale di 200 milioni, con una partecipazione equamente ripartita tra i due enti. Non solo: la Regione ha agito anche sul microcredito, con un grande fondo grazie al quale si sono finanziati, in cinque anni, 1.105 progetti nel settore commerciale. Un impegno per 26 milioni di euro.
La difficoltà nel commercio è però un danno anche per l’artigianato, come ha ricordato Confesercenti: laddove esiste una rete produttiva, talvolta non esiste una rete distributiva, o non esiste più perché i punti di distribuzione sono sempre meno, soprattutto per l’agroalimentare.
concorrenza sleale: secondo Confartigianato, in Sardegna due imprese regolari su tre, ossia il 65,3% del totale, subisce la concorrenza di quelle irregolari. Le imprese artigiane sarde regolari (iscritte all’albo, in regola con le tasse) sono 23.222 e danno lavoro a 56.000 occupati regolari. Ma i numeri delle imprese irregolari sono altrettanto rilevanti: sono infatti 9.000 gli occupati in imprese irregolari, pari al 15,4% della forza lavoro dell’artigianato. È stato inoltre calcolato che un occupato regolare nelle imprese artigiane subisce la concorrenza di 1,4 occupati abusivi dello stesso settore. Ossia: lo stesso lavoro di due occupati regolari viene svolto da tre occupati irregolari.
Oltre alla ben nota questione fiscale che spinge molti a lavorare irregolarmente, Confartigianato afferma che l’abusivismo nel comparto artigiano esiste anche perché manca una direttiva di riferimento. Un esempio banale: mentre per il settore agricolo le amministrazioni locali sanno che in qualsiasi vendita pubblica deve essere garantita una percentuale di stand del 30% (secondo la Legge Regionale 5 del 2006), per le imprese artigiane il dato non è chiaro. Ed ecco che fioriscono stand abusivi: dove non esiste assegnazione, non esiste nemmeno limite.
Confesercenti, oltre a rimarcare questo dato, afferma che è molto forte anche l’abusivismo tra gli agriturismi e fra i circoli privati. Un altro settore particolarmente esposto è quello dell’impiantistica: secondo la relazione dell’Osservatorio dei Confidi sardi, gli abusivi sfruttano la grande disponibilità di componenti per gli impianti, installando e riparando irregolarmente, senza seguire nemmeno le basilari norme di sicurezza e soprattutto sottraendo lavoro alle imprese artigiane regolari, che nel I trimestre del 2018 risultano costituire il 70,2 % delle imprese che lavorano nel settore: sono artigiane 2.993 imprese di impiantistica su 4.261.
Un settore dove l’abusivismo è particolarmente sviluppato è quello del benessere: qui le imprese irregolari si aggirano attorno alle 4.000 unità, con una ricaduta positiva per migliaia di famiglie. Si tratta, però, di attività irregolari che, in quanto tali, spesso possono causare danni alla salute dei clienti. La soluzione prospettata dalle associazioni di categoria è una sola: aumentare i controlli e inasprire le sanzioni.
Ma non solo: l’abusivismo è favorito, secondo quanto emerso nelle audizioni, dalla mancata revisione dei limiti di fatturato. Andrebbero infatti riviste le soglie, spesso troppo strette e con un paradossale effetto negativo: si vorrebbe che l’impresa lavorasse, ma se eccede di poco il limite del fatturato viene subissata di tasse come un concorrente più strutturato, di categoria superiore. Una mannaia involontaria, ma pur sempre una mannaia.
I Consorzi dei fidi. Oltre alla già citata Legge Regionale 5 del 2006, la legge più importante per il settore è la Legge n. 949 del 1952. La legge prevedeva un piano di sostegno alle imprese artigiane sotto forma di contributi in conto interessi, cioè riduzione degli interessi sui finanziamenti concessi alle imprese artigiane dalle banche col credito ordinario. Le ultime modifiche alla legge, introdotte con la legge regionale di stabilità del 2018 hanno previsto un’agevolazione del 10% sul conto capitale per il leasing e una riduzione dei costi di garanzia per le imprese che usufruiscono del consorzio dei fidi. Nell’ultimo triennio, la legge è stata finanziata per 2, 5 milioni di euro.
Questo sistema è stato definito efficace dall’Osservatorio sardo dei Confidi. Confartigianato, segnala che il credito per le imprese artigiane si è ridotto in cinque anni e mezzo (2011- giugno 2017) di 252 milioni: da un miliardo e 78 milioni si è arrivati a 826 milioni di credito per le aziende. Per di più, la burocrazia risulta particolarmente invalidante per ottenere cifre comprese tra i 5.000 e i 20.000 euro, che è il range entro il quale si muovono le imprese artigiane. Spesso quindi non si può subito fare fronte, pur volendo, alle richieste dell’imprenditore che richiede il prestito.
Le associazioni di categoria (Confesercenti e CNA in particolare), hanno segnalato che il sistema di erogazione di contributi dovrebbe prevedere un criterio di distribuzione più “personalizzato”: le piccolissime imprese infatti faticano a ottenere quei contributi, tarati per imprese di maggiore ampiezza, che beneficiano dei contributi T1 (le imprese artigiane hanno beneficiato da sole di un terzo di questi contributi) e T2.
Più personalizzato e più rapido a ottenersi: come è emerso nelle audizioni, anche per cifre di questo tipo (5-20.000 euro, ammontare dei prestiti per microcredito), i tempi sono lunghi. Costituisce un problema per l’accesso al credito delle imprese, come sottolineato da Intesa San Paolo, anche la piccola dimensione delle imprese, che abbassa di molto il loro livello di rating.
Queste imprese, però, sono tante, come segnala la SFIRS. Se in un primo momento non si era pensato a loro, con una forte penalizzazione nella possibilità di accedere al credito, successivamente la SFIRS ha agevolato il loro accesso al credito, tanto che oggi le piccole imprese artigiane costituiscono lo zoccolo duro dei beneficiari dei fondi. Nel fondo di garanzia per le piccole e medie imprese si sono stanziati 28 milioni di euro per il comparto artigiano, di questi, 13 milioni servono per le garanzie: sono 1.170 i progetti artigiani finanziati dal fondo di garanzia.
Grazie, poi, all’introduzione del consorzio dei fidi, i crediti alle imprese artigiane sono aumentati di una percentuale compresa tra il 18 e il 20%. La Regione Sardegna ha stanziato 5 milioni di euro per i consorzi di fidi, che nell’isola sono 17. Dal 2014 al 2016 il numero dei soci è aumentato del 20,61%, arrivando a quota 24.070 soci dai 19.951 di due anni prima. I consorzi dei fidi in Sardegna reggono, in controtendenza rispetto a quanto accade in Italia: il rapporto garanzie/finanziamenti è rimasto stabile al 40% dal 2014 al 2016, sebbene si ricorra maggiormente alla garanzia diretta regionale e nazionale (70-80%). Le garanzie erogate dai confidi sardi costituiscono il 7% del totale nazionale.
È stato adottato un sistema di rating che utilizza un criterio non algoritmico ma basato sulla virtuosità. I Consorzi vengono ripartiti in tre classi, A, B e C. I Confidi di livello A hanno aumentato del 14% i finanziamenti dal 2015 al 2016, mentre i confidi di livello B, rappresentati per il 70% da un singolo consorzio, hanno concesso finanziamenti per quasi 839 milioni di euro nel 2016: quasi due milioni e mezzo in più rispetto al 2015 (sebbene siano meno degli 842 milioni di finanziamenti concessi nel 2014). È invece diminuito l’ammontare delle garanzie: dai 316 milioni del 2015, nel 2016 si è arrivati a 312 del 2016. I consorzi di classe di rating C hanno invece diminuito i finanziamenti (erano quasi 254 milioni nel 2015, sono scesi a 225 milioni nel 2016) e le garanzie (113 milioni nel 2015, poco più di 100.600.000 euro nel 2016).
Tra il 2014 e il 2016 è anche aumentato del 2% il rapporto tra sofferenze (i soldi concessi a un soggetto insolvente, senza certezza di recupero) e i finanziamenti. Questo dato fotografa una situazione nella quale le imprese artigiane sono in difficoltà e dimostra ancora di più che i consorzi servono.
Le sofferenze, che a fine 2017 ammontavano in Sardegna a 3,8 miliardi lordi, sono un parametro fondamentale, perché è dal loro rapporto con l’attività delle imprese che si misura lo stato di salute del sistema imprenditoriale. I 3,8 miliardi di euro crescono a 5,4 miliardi se si considerano le sofferenze pregresse. Si tratta di dati bassi in valore assoluto, ma come evidenziato nelle audizioni, particolarmente elevato rispetto ai fondi stanziati per rimettere in sesto le imprese.
Inoltre, il rapporto tra sofferenze e attività delle imprese in Sardegna è molto più alto – come è emerso dalle audizioni – rispetto alla media nazionale: a fronte del 20% italiano, la Sardegna registra un rapporto del 27%. Significa che un quarto delle imprese ha difficoltà, come rilevato dal Banco di Sardegna.
Significa che le aziende sono in difficoltà e i consorzi di fidi si rendono ulteriormente necessari.
Le precedenti leggi del settore. Esistono poi, oltre alla già citata 949/52 e alla 12/2001, altre leggi che hanno avuto a loro tempo effetti positivi sulla tenuta dell’artigianato sardo: tra queste vanno menzionate la 51/93, legge regionale che prevede lo stanziamento di fondi da parte della RAS in modo da pagare una parte consistente del tasso di interesse in ogni rata che gli imprenditori beneficiari dovevano restituire all’istituto di credito. Nell’ultimo triennio la legge è stata però finanziata per un totale di oltre sei milioni di euro. La legge 51/93, assieme alla 949/52, è la legge di settore che ha dato a suo tempo più frutti per quanto riguarda l’artigianato, come ha ribadito Confartigianato, durante le audizioni. In particolare, la 949 è stata perfezionata nel tempo e sembra funzionare in maniera agevole, come ha sottolineato Artigiancassa: collateralmente ai bandi che la legge prevede, nel tempo si è introdotta la possibilità di avere un sostegno non per progetti strutturali, ma per necessità che riguardano la produzione quotidiana delle imprese.
Questo strumento, che pure funziona (54 operazioni su 70 sono state approvate; le restanti 16 non hanno visto la luce perché i richiedenti non hanno perfezionato la domanda entro tempi congrui, sottolinea Atingiancassa), è però poco utilizzato.
Un’altra legge guardata positivamente dalle imprese artigiane è la Legge Regionale 12 del 2001, finalizzata invece all’assunzione di nuovi apprendisti, al fine di sostenere la trasmissione del sapere artigiano. Questa misura però non è stata più finanziata dal 2013 in poi e anche recentemente Confartigianato ha lamentato la mancanza di questo provvedimento strutturale: nell’impresa artigiana si è creato quasi il 4% dei posti di lavoro per il biennio 2015-2017 e molti ancora potrebbe crearne se, con i giusti incentivi, altri giovani si proponessero come nuovi apprendisti. Per questa legge sono stati stanziati nell’ultimo triennio due milioni e mezzo, secondo quanto emerso in audizione.
Anche per l’incentivo alla fruizione dei Confidi la legislazione non è rimasta ferma: il 27 marzo del 2018 è stata prodotta una delibera, la 15/21, che prevede uno sgravio sui costi della garanzia per le imprese che sono garantiti per le loro operazioni almeno al 50% da un consorzio. Sono soldi che arrivano immediatamente, perché si basano sull’avvio della prestazione e non tengono conto della valutazione in merito al finanziamento richiesto. Questo elemento non deve preoccupare, considerando, come è emerso dalle audizioni, che le attività di impresa artigianale finanziate in Sardegna sono in larghissima parte a basso rating di rischio (sono, cioè, attività che dovrebbero riuscire a decollare con facilità). Più che preoccupante, la rapidità di conferimento dei fondi è positiva, in quanto molto spesso le aziende hanno necessità immediata del denaro, mentre, come è emerso dalle audizioni e come abbiamo già detto, fino ad ora occorreva attendere lunghi iter burocratici per ottenere anche fondi minimi.
Per quanto riguarda il commercio, esistono delle leggi, come la numero 9 del 2002, che prevedeva contributi (inizialmente 70 milioni di euro) per l’ammodernamento degli esercizi commerciali. Le graduatorie che ne sono conseguite stanno scorrendo ancora ora. Ma un elemento lamentato da Confesercenti è che prima dei lavori della commissione speciale, le associazioni dei commercianti non erano state chiamate a un confronto con il legislatore per una legge sul commercio.
La Regione Sardegna sta cercando di favorire tutti gli investimenti possibili: il progetto Lavoras è l’ultimo di tutti questi provvedimenti. Si tratta di un provvedimento generale, che riguarda tutti i comparti lavorativi e vuole favorire le nuove assunzioni con una deduzione di 12.000 euro per tre anni per ogni assunto. L’iniziativa è stata lodata anche durante le audizioni: l’impegno della Regione come ente pubblico è forte e serio.
La grande distribuzione. In un mondo globalizzato, l’Italia e ancor di più la Sardegna sono in controtendenza: come è emerso dalle audizioni, infatti, la grande distribuzione è un settore in forte crisi. Sebbene il settore dia lavoro a circa 14.000 dipendenti, il margine di guadagno netto delle aziende si aggira attorno al 2/3% degli introiti. Questo è dovuto principalmente al costo del lavoro e all’aspetto non marginale della contribuzione. Ciononostante, la Sardegna ha la più alta concentrazione di centri commerciali suddivisa per numero di abitanti, come rileva Confesercenti, forse anche a seguito di politiche che in passato hanno avvantaggiato la grande distribuzione, come ha sottolineato da Confcommercio.
Esistono certo dei settori in forte crescita, soprattutto perché non esiste concorrenza, come il wellness e la vendita delle attrezzature sportive, ma in generale molti settori sono in grave perdita: basti pensare al settore dell’elettronica che, come detto, subisce la fortissima concorrenza dell’e-commerce. Si stima infatti che le perdite della grande distribuzione nel comparto dell’elettronica siano state, negli ultimi cinque anni, del 25%.
Quello del commercio online, o meglio, della vendita multicanale (vendere in negozio e contemporaneamente su un sito), che si sta rivelando una dolorosa spina nel fianco per la grande distribuzione, è il futuro del commercio. È una strada che è stata intrapresa dai commercianti, seppur con fatica, come ha sottolineato Confcommercio, ma che fa parte di una seria politica di espansione in questa direzione.
Non sono però solo la globalizzazione e la concorrenza delle nuove strategie di vendita a creare difficoltà: anche da un punto di vista politico i provvedimenti che si affacciano all’orizzonte possono rappresentare una difficoltà.
Primo fra tutti, come è emerso dalle audizioni, il cosiddetto “Decreto Dignità”, che prevede una forte riduzione dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato (per intenderci, le prestazioni pagate coi voucher). Questi, però, rappresentano l’1,6% dei tipi di contratto nella grande distribuzione e, per contestati che siano, i voucher costituiscono, secondo quanto detto nelle audizioni uno strumento che permette di affrontare il periodo di forte congiuntura con maggiore flessibilità.
Se da una parte vanno deprecati gli abusi, come è stato rilevato nelle audizioni, dall’altra questo sistema, quando gestito nei dovuti modi, poteva risultare una risposta positiva alle grandi difficoltà incontrate dalla grande distribuzione. Questo avviene dopo un periodo che, come è stato rimarcato nelle audizioni, ha favorito le assunzioni a tempo indeterminato, grazie alla decontribuzione.
Un’altra questione che si affaccia riguarda la possibilità della chiusura domenicale per la grande distribuzione. La domenica costituisce il 12% del fatturato settimanale che, in caso di chiusura domenicale, verrebbe riassorbito solo in parte dagli altri giorni di apertura, come sottolineato nelle audizioni. Inoltre, questa chiusura porterebbe al licenziamento di un numero di lavoratori oscillante fra gli 8 e i 12.000. Con annessa possibilità da parte dell’e-commerce di ingrossare le proprie fila di occupati, come è stato paventato durante le audizioni.
In conclusione, sulla base delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni e degli approfondimenti svolti durante i lavori della Commissione e tenuto conto dell’esito dell’elaborazione delle due sottocommissioni incaricate, rispettivamente, di approfondire le tematiche relative specificatamente al commercio e all'artigianato, la Commissione speciale, a conclusione dei suoi lavori e in ottemperanza al mandato conferitogli dal Consiglio regionale con l’ordine del giorno n. 93, ha provveduto all’elaborazione di una specifica bozza di proposta di legge, allegata al presente documento, con cui, pur nella piena consapevolezza della complessità delle problematiche che affliggono le imprese regionali che operano nel settore dell’artigianato e commercio, con particolare riferimento alle imprese che operano nelle zone interne, e dell’impossibilità di giungere nel breve periodo ad una loro completa e soddisfacente risoluzione, questa Commissione ha inteso fornire alcuni strumenti che, nella ristrettezza delle risorse disponibili, permettano di avviare un percorso virtuoso finalizzato a dare sollievo a questi settori produttivi e, nel contingente, concorrano a risolvere le problematiche evidenziate dagli operatori del settore.