CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE NAZIONALE N. 13
presentata dai Consiglieri regionali
MORICONI – COZZOLINO – COLLU – COMANDINI – DERIU – SABATINI
il 4 agosto 2016
Modifiche alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), per adottare il sardo come lingua ufficiale della Regione, al pari dell’italiano
RELAZIONE DEL PROPONENTE
Uno degli aspetti che ha sempre suscitato perplessità e polemiche nella lettura dell’attuale statuto di autonomia è il fatto di non trovare neppure una norma che in qualche modo richiami la lingua e la cultura dell’Isola. Eppure si tratta di elementi basilari sui quali si è fondato il riconoscimento della specialità riconosciuta alla Sardegna nell’ambito dell’ordinamento statale.
Ancora più stridente appare il fatto che tali previsioni di principio e di tutela sono contenute nella Costituzione, articoli 3 e 6, e negli statuti della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige, emanati nello stesso periodo.
Una carenza abnorme se si considera che al momento dell’adozione dello statuto di autonomia speciale la stragrande maggioranza dei cittadini sardi si esprimeva abitualmente in lingua sarda.
Un uso che si è mantenuto costante nel tempo, così come confermato successivamente dall’indagine effettuata dal Ministero dell’interno nel 2005 sulla consistenza delle minoranze linguistiche in Italia. Dai dati, infatti, risulta che i sardi, con oltre 1 milione e 269 mila persone capaci di esprimersi nella loro lingua, erano il gruppo linguistico più numeroso in Italia a fronte dei 700 mila friulani, dei 290 altoatesini, dei 200 mila francofoni e dei 60 mila ladini.
Dati confermati dalle Università di Sassari e Cagliari negli anni immediatamente successivi, dove risulta che il numero dei sardi capaci di esprimersi e comprendere le lingue locali supera il 97 per cento della popolazione residente, senza contare i sardi residenti all’estero o emigrati.
Questo vuoto intorno alla lingua di fatto perdura e continua a costituire un problema con risvolti negativi di carattere economico e politico, vedi il mancato riconoscimento del pacchetto autonomistico di cui godono il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta o, per soffermarci alla stretta attualità, la sentenza della Consulta di questi giorni che ha negato alla Sardegna il riconoscimento al diritto agli euroseggi previsti per le minoranze etniche.
Il tutto denuncia un’evidente mancanza di coscienza di sé stessi o perlomeno una sottovalutazione del problema che ha caratterizzato in tutti questi decenni la politica sarda, a differenza di quanto avvenuto in Friuli Venezia Giulia, nel Trentino Alto Adige e nella Valle d’Aosta alle quali tale riconoscimento è stato accolto per i collegi speciali.
La portata del disimpegno verso il riconoscimento della lingua sarda, con tutti i suoi risvolti culturali, politici e giuridici, evidentemente giudicato talmente secondario da non meritare una qualsiasi regolamentazione, è tale se si considera altresì il ruolo vitale che la lingua sarda ha assunto nella storia dell’Isola.
Infatti, il sardo deriva, al pari dell’italiano e delle altre lingue romanze, da un autonomo parallelo e e contemporaneo processo di volgarizzazione del latino che lo ha portato tra il X e l’XI secolo a diventare lingua nazionale della Sardegna.
Tanto è dimostrato dagli atti di donazioni dei giudici turritano Barisone (1064) e cagliaritano Orzocco-Torchitorio (1066-1074) primi di una lunghissima serie e dai Condaghes che attestano appunto come il sardo volgare con l’uso scritto divenne il mezzo di comunicazione ufficiale.
In sardo arborense è stata redatta la Carta de Logu emanata nel 1392-1395 e attribuita ad Eleonora d’Arborea, che conteneva una lunga serie di disposizioni destinate in un primo momento a regolamentare l’amministrazione della giustizia tra i cittadini del Giudicato d’Arborea, ed estese successivamente, su proposta dei tre Stamenti militare, ecclesiastico e reale, a tutto il territorio isolano dal Parlamento sardo apertosi il 27 gennaio 1421 e presieduto da Alfonso il Magnanimo.
Tornando ai nostri giorni, lo stesso concetto di popolo indica un complesso di individui che riconoscono di appartenere ad una comunità della quale condividono lingua, storia, cultura, tradizioni e usi, elementi tipici della nazionalità implicitamente riconosciuta ai sardi dallo statuto speciale.
La conseguenza naturale è che la Sardegna vede clamorosamente disatteso uno dei principi sui quali si fonda la sua specialità in virtù del mancato riconoscimento, al pari dell’italiano, della sua propria lingua.
Un principio legittimo che, se ce ne fosse bisogno ulteriore, trova ulteriore riconoscimento e fondamento nella Costituzione repubblicana, laddove oltre a sancire espressamente un divieto generale di discriminazione in ragione della lingua (articolo 3) tutela espressamente le minoranze linguistiche, impegnando la Repubblica (articolo 6) a garantire detta tutela con apposite norme.
Aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze linguistiche è, non a caso, proprio l’uso della lingua materna nell’ambito delle comunità di appartenenza, la quale si pone, come efficacemente sottolineato dal giudice costituzionale, quale elemento fondamentale di identità culturale e quindi di garanzia dell’esistenza e della continuità del patrimonio di ciascuna minoranza etnica.
Va ricordato, inoltre, che per quanto ci riguarda il legislatore statale ha provveduto a dettare una disciplina generale dell’articolo 6 della Costituzione con la legge 15 dicembre 1999, n. 482, che reca norme in materia di minoranze linguistiche storiche. Una legge organica che impegna la Repubblica a tutelare la lingua e la cultura di quelle minoranze linguistiche, le quali rimaste prive di ogni considerazione normativa, non hanno potuto godere dei benefici concessi alle minoranze linguistiche cosiddette riconosciute.
In questo quadro si inserisce la problematica del riconoscimento delle minoranze linguistiche presenti nell’Isola, Sassarese, Gallurese, Catalano e Tabarchino alle quali, negli ambiti territoriali propri deve essere data analoga tutela al pari del sardo.
TESTO DEL PROPONENTE
Art. 1
Integrazioni alla legge costituzionale n. 3 del 1948
1. Ai sensi e per gli effetti
dell’articolo 54, titolo VII, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per la Sardegna), dopo l’articolo 2 è aggiunto il seguente:
“Art. 2 bis
1. La Regione adotta il bilinguismo e riconosce il sardo al pari dell’italiano
quale lingua ufficiale della Sardegna.
2. Il sardo ufficiale della Regione è la “Limba sarda comuna” di cui alla
deliberazione n. 16/14 del 18 aprile 2006, dando per effettuato positivamente il
periodo di sperimentazione richiamato nella stessa.
3. Al Sassarese, al Gallurese, al Catalano e al Tabarchino viene riconosciuta
analoga coufficialità col sardo e con l’italiano limitatamente ai loro ambiti
territoriali.
4. La Regione, al fine di garantire il regime di bilinguismo, adotta e rafforza
misure e strumenti indispensabili per favorire e assicurare la conoscenza e
l’utilizzo della lingua sarda e delle altre lingue alloglotte, così come
riconosciute dalla legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26 (Promozione e
valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna), e successive
modifiche ed integrazioni.
5. La Regione, in virtù della propria appartenenza all’Unione europea, adotta
altresì misure e strumenti indispensabili per favorire e assicurare la
conoscenza della lingua adottata dall’Unione nelle sue comunicazioni
ufficiali.”.