Data: 24/05/2018 ore 11:00
La commissione Sanità presieduta da Raimondo Perra (Cps-Psi) ha ascoltato le relazioni delle associazioni più rappresentative dei disabili uditivi nell’ambito dell’esame della PL n.453 (Moriconi e più) sottoscritta da gruppi di maggioranza ed opposizione.
A nome dell’Ens (Ente nazionale sordi) il presidente regionale Gianfranco Cappai ha auspicato che la nuova legge aumenti le opportunità di inclusione dei disabili nella vita sociale.
Sempre in rappresentanza dell’Ens Alessandra Farris ha definito la legge “un ottimo punto di partenza”, sottolineando che il mondo della sordità è composto da tanti differenti percorsi sul piano riabilitativo ed educativo, frutto di scelte legittime che vanno rispettate. L’importante, ha sottolineato, “è che tutti si sentano cittadini titolari di diritti avendo a disposizione le stesse opportunità anche se, ovviamente, il mondo è a misura di persone udenti”. La sordità tuttavia, ha proseguito, “non è una malattia ma un deficit da compensare e può essere compensato benissimo con una serie di interventi mirati: dallo screening neo-natale all’utilizzo delle tecnologie, dalla formazione degli operatori di supporto all’affermazione di una cultura nuova che, ad esempio, non confini i sordi in lavori a bassa capacità perché invece possono fare tutto e per questo si sentono più integrati se valutati in base al merito ed alla competenza e non per la loro condizione”.
In rappresentanza della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) il presidente regionale Alfio Desogus ha espresso alcune riserve sulla parte della legge che, in nome della libertà di scelta, prevede il riconoscimento della Lis (linguaggio dei segni) sostenendo che, in realtà, “il riferimento corretto è quello alla Convenzione Onu del 1948 sui diritti umani che equipara la comunicazione ad un diritto umano e individua la parola come verso umano accompagnato da espressioni del viso con caratteri di universalità tali da consentire all’individuo di entrare in relazione con le altre persone”.
Questo diritto umano, ha aggiunto, “non può essere esercitato con il linguaggio dei segni che, come strumento di comunicazione mediata, non è di inclusione ma di discriminazione oltre che limitativo dell’autonomia personale”. Va poi considerato, ha concluso, il diritto alla salute che in Sardegna richiede “lo screening audiologico neonatale, la diagnosi precoce, un servizio logopedico organizzato sul territorio per la presa in carico del bambino presso i centri specializzati”.
Anche Cesarina Pibiri, esponente dell’associazione Audientes, ha osservato che la legge “propone un approccio superato alla sordità equiparando il linguaggio dei segni all’intervento linguistico vero e proprio, perché soprattutto i bambini tendono a scegliere la strada più facile salvo poi trovarsi in difficoltà durante l’età dello sviluppo”. Come mamma di un bambino nato sordo, ha ricordato, “dopo un primo periodo con gli insegnanti di sostegno ho girato l’Italia per trovare una cura efficace ed anche ora la situazione in Sardegna non è molto diversa soprattutto per i bambini piccoli: a volte nelle strutture sanitarie mancano strumenti che costano pochissimo, mancano reparti di chirurgia infantile e perfino le protesi sono a pagamento mentre nella Penisola rientrano all’interno dei Lea”. Ciò che bisogna privilegiare, ha concluso, “è l’accompagnamento degli individui col deficit uditivo alla formazione di una personalità autonoma perché solo questo consente una vera integrazione”.
(Af)