CCXCIII SEDUTA
(POMERIDIANA)
MERCOLEDI'10 NOVEMBRE 1993
Presidenza del Presidente FLORIS
INDICE
Mozioni Dadea - Ladu Leonardo - Manca - Casu - Cocco - Cuccu - Erittu - Lorelli - Pes - Pubusa - Ruggeri - Sardu - Satta Gabriele - Scano - Serri - Zucca sulle delicate questioni sollevate dalla pubblicazione degli elenchi degli iscritti alla Massoneria in Sardegna (152) e Cogodi - Morittu - Murgia - Salis - Urraci sulla libertàdi associazione con metodo democratico; sui diritti di conoscenza da parte dei cittadini degli ambiti di appartenenza dei candidati e dei preposti a funzioni politiche rappresentative; sulle garanzie di imparzialitàe correttezza nel l'esercizio delle funzioni pubbliche (154). (Continuazione della discussione congiunta):
MANNONI .............................
SCANO ...................................
TAMPONI ...............................
MELONI .................................
COLLU, Assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione
CABRAS, Presidente della Giunta
La seduta è aperta alle ore 17 e 02.
PORCU, Segretario, dà lettura del processo verbale della seduta dell'8 ottobre 1993, che è approvato.
Continuazione della discussione congiunta delle mozioni Dadea - Ladu Leonardo - Manca - Casu - Cocco - Cuccu - Erittu - Lorelli - Pes - Pubusa - Ruggeri - Sardu - Satta Gabriele - Scano - Serri - Zucca sulle delicate questioni sollevate dalla pubblicazione degli elenchi degli iscritti alla Massoneria in Sardegna (152) e Cogodi - Morittu - Murgia - Salis - Urraci sulla libertàdi associazione con metodo democratico; sui diritti di conoscenza da parte dei cittadini degli ambiti di appartenenza dei candidati e dei preposti a funzioni politiche rappresentative; sulle garanzie di imparzialitàe correttezza nell'esercizio delle funzioni pubbliche (154).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la continuazione della discussione congiunta delle mozioni numero 152 e 154.
Ha domandato di parlare l'onorevole Baroschi. Ne ha facoltà.
BAROSCHI (P.S.I.). Per chiederle una brevissima sospensione perché non c'è ancora nessuno.
PRESIDENTE. Onorevole Baroschi, io non posso sospendere i lavori del Consiglio perché mancano i consiglieri.
BAROSCHI (P.S.I.). Non è il numero, è che mancano persino i primi firmatari delle mozioni.
PRESIDENTE. Lo capisco, però il Consiglio è stato convocato per le 17.
COLLU, Assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione. Poiché è in corso una riunione con gli amministratori dell'Ogliastra, che è cominciata alle 16 e sta per terminare, chiedo anch'io una breve sospensione.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta per dieci minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 17 e 05, viene ripresa alle ore 17 e 11.)
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Mannoni. Ne ha facoltà.
MANNONI (P.S.I.). Signor Presidente, alla ripresa di questo dibattito ormai lungo intorno ai problemi della trasparenza dell'azione di governo e dell'azione amministrativa e dei possibili condizionamenti ad essa, debbo ricordare che quando, mesi or sono, qualcuno assunse l'iniziativa, attraverso una lettera al Presidente del Consiglio regionale, per attivare un processo mirante a conoscere gli elenchi degli iscritti alla Massoneria e ad altre associazioni similari, in Conferenza dei Capigruppo avevo sollevato delle obiezioni paventando, cosa che poi si è verificata, l'apertura di una fase difficile e forse in qualche parte anche equivoca. Ora occorre porre termine e rimedio ad una fase confusa di questa vicenda, che ha visto crearsi contrapposizioni. Ero stato facile profeta, potrei dire, ma non è questo che interessa. Oggi occorre usare tutta la nostra saggezza e la nostra fedeltà al mandato, per evitare che questo Consiglio possa essere artificiosamente diviso tra difensori della Massoneria e coloro che invece la combattono. Sarebbe questo un falso problema e un torto alle stesse intenzioni di chiunque abbia promosso questa fase. Questa è una fase di chiarimento. Le determinazioni assunte dal Consiglio nella scorsa seduta, che si sono concretate nell'approvazione dell'ordine del giorno, non sono determinazioni da modificare. Non è stato un errore quello che ha commesso il Consiglio; l'ordine del giorno approvato ha presentato difficoltà di applicazione, particolarmente in ordine alla richiesta ai pubblici dipendenti della dichiarazione di cui sappiamo, e però comunque si è fatto carico di un problema importante e ha introdotto, per i consiglieri regionali, un dovere di chiarezza e una precisa responsabilità in ordine a un aspetto rilevante, quello che riguarda la visibilità pubblica delle proprie appartenenze. E questa non è cosa di poco conto e di cui ci si debba pentire. Dicevo che non si può tuttavia tacere la discutibile legittimità e operatività nei confronti dei pubblici funzionali della richiesta avanzata. Io ho colto, anche nell'intervento di Pubusa, l'invito a non accettare acriticamente e passivamente qualsiasi parere tecnico ci venga fornito; su questa materia abbiamo avuto modo di verificare la complessa varietà delle opinioni e delle elaborazioni in dottrina, però vi è una discutibilità circa l'operatività del precetto e la legittimità delle richieste. Questo ci impegna a definire in maniera più completa le procedure, a rendere più compatibili le prescrizioni con la tutela e la salvaguardia dei diritti individuali che sono incomprimibili. Questa è la strada che dobbiamo percorrere anche nelle fasi che ci conducono alla conclusione di questo dibattito. E intanto dobbiamo fare uno sforzo per inquadrare questa discussione e questa iniziativa nel contesto in cui operiamo, nel contesto sociale, politico, culturale, in qualche modo nuovo, che si sta definendo intorno a noi. Siamo in una fase di grandi modificazioni, una fase turbolenta, comunque una fase di profonda revisione di istituti e di orientamenti di carattere culturale e di carattere comportamentale.
In grande sintesi ed esemplificando, ricordo che in pochi anni si è cambiato il sistema elettorale, si sono stabilite regole nuove e più austere per la propaganda; si creano e si sono create nuove distinzioni di ruoli e incompatibilità; si è superato il sistema di finanziamento pubblico dei partiti; si sono rimessi in discussione e si rimettono ancora in discussione, anche con riferimento a norme che questo stesso Consiglio regionale ha introdotto, gli stessi modi della vita interna dei partiti per quanto riguarda la selezione delle rappresentanze. Tutto questo e altro si muove intorno a noi forse, come dirò, in maniera turbolenta e confusa; tutto questo movimento esige riflessione e chiarimento ma c'è e non può essere considerato con fastidio o peggio ostacolato. Nella storia ci sono spesso fasi di accelerata modificazione; io rifuggo dall'usare una parola che ricorre nella pubblicistica corrente di questo periodo; la parola rivoluzione, per tanti motivi. Intanto l'incertezza nasce dalla non individualità di un agente sociale, di una classe, di un aggregato capace di dare un senso, uno sbocco e di finalizzare questo turbolento modificarsi di norme, di abitudini, di comportamenti, di parametri critici anche nei confronti della società e della politica. C'è questo stato magmatico ancora, ma non c'è dubbio che siamo in una fase in cui la revisione dei modi di essere della democrazia e delle istituzioni è in atto. In questo contesto occorre da parte nostra uno sforzo per capire, senza atteggiamenti preconfezionati, di parte, per eliminare dai meccanismi di formazione della rappresentanza democratica e di funzionamento delle istituzioni, interferenze e pressioni che derivino da centri non controllabili, non identificabili. C'è insomma una questione a mio parere - e qui quindi il valore di quella presa di posizione del Consiglio - di poteri non democraticamente controllati e controllabili che possono limitare l'esercizio dell'autonomia, della rappresentanza, della democrazia nella nostra regione. Questo ha grande rilievo e non va trascurato il senso di questo dibattito, di questo impegno, anche se è facile dire che, mentre noi discutiamo di questo, la crisi economica è terribile, angosciante e drammatica, anche per alcuni aspetti che si sono presentati tristemente alla ribalta in queste ore; però io credo che i diritti fondamentali di cittadinanza non trovano tutela e realizzazione solo attraverso gli istituti dell'ordinamento centrale dello Stato, ma trovano attuazione e difesa nelle leggi della Regione, nell'esercizio del potere autonomistico, quando esso è ispirato a criteri di giustizia, imparzialità, controllo democratico e trasparenza. Allora c'è una questione di questa portata anche in Sardegna. Esiste comunque il problema di accrescere la trasparenza - devo usare questa parola, anche se è poco logorata dal dibattito attuale - esiste il problema di accrescere la visibilità del potere e dei suoi meccanismi di formazione e di esercizio, sia che esso sia in capo ai rappresentanti eletti dal popolo, sia che questo potere sia esercitato in virtù di una pubblica funzione amministrativa. D'altro canto, la stessa procedura di riforma che abbiamo iniziato, con la incompatibilità tra funzione consiliare e funzione di Giunta, ha creato una nuova figura dell'uomo di governo non eletto direttamente dal popolo e come tale una figura che sta a cavallo, per il ruolo di alta amministrazione che gli compete, tra la politica e l'amministrazione, quindi ancora di più vale oggi questa estensione del dovere di trasparenza.
Il sistema di norme che si vanno introducendo tende a porre la rappresentanza politica in una condizione di sempre maggiore controllabilità da parte dei cittadini. Il sistema uninominale, che è stato introdotto dalle leggi elettorali nazionali si alimenta anche di questa possibilità del cittadino elettore di verificare a tutto tondo le caratteristiche e le qualità di chi si presenta alle elezioni. E quindi è sempre più severa la verifica di indipendenza, di non influenzabilità, di non condizionabilità dell'eletto a opera di forze non visibili e controllabili, ad opera di organizzazioni che, per loro scelta o natura, si pongono fuori dalla possibilità di verifica democratica. Peraltro, la posizione dei pubblici dipendenti, soprattutto nelle funzioni più elevate e qualificate della Pubblica Amministrazione, va assumendo sempre maggiore rilievo nel rapporto cittadino-potere, proprio in virtù della più ampia capacità di azione, della più marcata autonomia che all'azione amministrativa viene attribuita rispetto alle decisioni politiche. Nelle leggi dello Stato e della Regione - e non cito i numeri delle leggi perché sono di comune conoscenza - la responsabilità e l'autonomia che vengono concesse all'azione amministrativa sono evidenti; la responsabilità aumenta con l'autonomia e di pari passo non può che crescere l'esigenza che i doveri di fedeltà e imparzialità del funzionario siano osservati con scrupolo e che si dia pubblica testimonianza di tale osservanza. C'è chi ha scritto che l'imparzialità non è solo quella che in coscienza ciascun funzionario riesce a raggiungere, l'imparzialità è quella che è leggibile dal cittadino e che quindi integra un rapporto di fiducia. Ciò premesso, diciamo pure che c'è poi una gestione politica degli strumenti normativi di garanzia che si introducono, rispetto a quali ciascuno manifesta le proprie propensioni, il proprio orientamento, il proprio essere, ed è questo un versante delicato e devo dire inquietante. C'è da una parte una scelta di tipo laico e libertario che ispira molti di noi, in base alla quale si riconoscono le diversità di fede, di coscienza, di opinione. Queste diversità non solo devono essere guardate con rispetto, ma anche garantite attraverso l'ordinamento, soprattutto senza pensare - come altri prima di me hanno detto in questo dibattito - di poter trasferire, anche inconsciamente, nell'ordinamento il peso della propria convinzione religiosa, morale, culturale, ideologica. Un grave pericolo per le regole democratiche è rappresentato dalla convinzione di poter dare alle istituzioni una colorazione di parte rispondente alla visione del mondo di un partito o un insieme di essi; la convinzione che esistano idee o regole morali che, attraverso le istituzioni, possono essere imposte ai cittadini. Questo problema viene in evidenza a proposito delle valutazioni che le diverse forze politiche danno della questione Massoneria e delle proposte che di tale visione sono la conseguenza. Il P.D.S. dichiara incompatibile l'appartenenza alla Massoneria con l'iscrizione a quel partito; è una regola che deriva certo da una vecchia tradizione del Partito comunista e forse dalla nota avversione del leninismo, dei regimi comunisti alla Massoneria: è un'avversione che aveva trovato nella Terza Internazionale una definizione molto precisa e dura. E' un diritto del P.D.S. adottare questa incompatibilità, non deve darne conto a me come organizzazione. Anche la Democrazia Cristiana, il Partito popolare dichiara non conciliabile l'appartenenza alla Massoneria con la posizione di iscritto al partito; non spetta a me, neanche in questo caso, discuterne il perché. E' noto, tra l'altro, che fra chiesa cattolica e Massoneria il conflitto (non sempre, spesso, la storia è intrecciata anche di comunanze di indirizzi) si è fatto spesso acuto. Nel secolo scorso Pio IX prima, e soprattutto Leone XIII con una durissima enciclica, avevano condannato, insieme a tante altre cose, al modernismo, alle scienze positive, la Massoneria, con molta durezza. L'una e l'altra, devo dire, mi appaiono posizioni, come dire, ideologiche, di fede. Il nostro Partito non contempla né ha mai contemplato tale incompatibilità, evidentemente non ravvisando, nella Massoneria come tale, idee e organizzazioni conflittuali con i principi e le idee del socialismo riformista e democratico. Anzi direi che, nella storia del nostro Paese e dell'Europa, si dà il caso di molti socialisti e progressisti iscritti alla Massoneria, soprattutto nelle fasi in cui, attraverso le logge massoniche, si coltivavano e si conducevano azioni e battaglie per la democrazia e per la laicità delle istituzioni. Per noi è assolutamente impensabile e inaccettabile che convenzioni e scelte ideologiche possano trasferirsi nell'ordinamento, che incompatibilità e avversioni, che riguardano un partito o più partiti, si trasferiscano nelle istituzioni e che, in conseguenza di tali propensioni, si conduca un'iniziativa per travolgere sedi istituzionali che non si adeguano a quell'indirizzo. Questa Assemblea legislativa assuma - questo sì, e noi contribuiremo a questo - le iniziative normative che consentano di rendere più chiara e visibile la caratterizzazione sociale e politica di ciascun suo componente innanzi tutto e che rendano effettiva l'indipendenza e l'imparzialità dei pubblici funzionari attraverso la dichiarazione della propria appartenenza a organizzazioni che svolgono attività politica, sociale e culturale, ovviamente nel rispetto dei principi e dei precetti costituzionali e delle leggi dello Stato. Dobbiamo operare per raggiungere la visibilità dei gruppi, delle associazioni e delle forze sociali. In un ordinamento non ideologico, pluralista, solo le associazioni segrete, come è avvenuto nel nostro Paese, sono vietate e sono perseguite non in quanto tali, a parte il precetto generale della Carta costituzionale, ma in quanto svolgano attività diretta a interferire nell'esercizio dei pubblici poteri (è il testo della legge "17" dell'82).
Al di fuori di questo divieto, non si può né si deve in via di fatto rendere impraticabile la vita associativa ad organismi qualsivoglia operando in maniera discriminatoria nei confronti dei suoi aderenti. Come in ogni ordinamento democratico, si tratta di trovare i giusti, rispettosi equilibri e stabilire i necessari contrappesi tra interessi entrambi meritevoli di tutela, cioè la libertà e la chiarezza. Sarebbe però mistificatorio in questa sede, onorevoli colleghi, puntare tutta la nostra attenzione sugli aspetti relativi alla tutela della libertà del singolo e delle singole associazioni e non richiamare, invece, in primo piano l'interesse collettivo e generale per una democrazia controllata e trasparente, non influenzata nel suo funzionamento da organizzazioni trasversali che per la propria diffusione, per la forza e l'autorevolezza dei suoi componenti, per la riservatezza, per l'essere nascosta, si pongano nelle condizioni di influenzare, orientare, senza dar conto delle proprie azioni, l'esercizio di pubblici poteri. Questo è l'interesse prevalente, qui emerge una questione generale che riguarda l'influenza di gruppi, organismi, associazioni sulla determinazione della volontà degli organi pubblici; gruppi di diversa ispirazione, che nascono anche con le migliori intenzioni, ma riunendo persone che ricoprono funzioni e ruoli rilevanti possono subire la tentazione di organizzare e tutelare i propri pur apprezzabili interessi sociali e politici in maniera trasversale, utilizzandoli ruoli pubblici da essi ricoperti. Questo è il pericolo che incombe e che non riguarda un'unica associazione, e sarebbe superfluo dire che la Massoneria non è una qualsiasi di tali associazioni o movimenti. Non lo è per l'ampiezza e la profondità della sua ispirazione, non lo è per una lunghissima e millenaria storia, per restare solo nell'evo moderno, per una presenza secolare. C'è chi fa risalire al 1617 il momento...
(Interruzione)
Ho detto millenaria perché c'è una tesi in questo senso, che riporta a Pitagora. Ma rimaniamo nell'evo moderno. C'è chi fa risalire al 1617 la nascita della nuova fase e questa secolare storia nell'Europa moderna ha portato questa organizzazione ad avere grandi influenze sui movimenti, sui governi, sulla formazione della cultura anche nella società contemporanea. Nella sua storia vi sono fasi nobilissime di costruzione delle idee e delle istituzioni democratiche, come vi sono momenti meno nobili di subordinazione al potere per fini di espansione della propria influenza. Quindi questa organizzazione ha un peso specifico non paragonabile a quello di altre aggregazioni, è una organizzazione ampia, radicata e complessa dal cui corpo sono tralignate, purtroppo, frazioni come la P2, irregolare, condannata e sconfessata dalla stessa organizzazione massonica, che hanno gettato un'ombra sinistra, i cui contorni sono ancora oggi inesplorati, sulla vita del nostro Paese in questi decenni. Sembrava che proprio la vicenda della P2 avesse indotto il Grande Oriente a fornire la pubblicazione degli elenchi degli aderenti, per marcare proprio la diversità fra quell'organizzazione e invece il discredito che la P2 meritava; poi si è abbandonato tale indirizzo, anche se, come diceva ieri il collega Cocco, si è sempre in tempo per recuperare. Se vorrà farlo, il Grande Oriente potrà scegliere la strada della laicità, quella strada difficile da percorrere e che non ha traguardi definitivi.
Non è quindi, la Massoneria in Sardegna, una organizzazione qualsiasi tra le altre per la sua estensione, per l'autorevolezza dei suoi componenti, per l'eccezionale presenza in gangli vitali della società. Si pensi alla sanità, per esempio - ci regoliamo in base alle conoscenze che in maniera irrituale dalla stampa abbiamo appreso - come si fa a non paventare che, in un tale ambito, si possano saldare solidarietà nascenti in un ambito riservato e si possano saldare interessi trasversali, professionali, clientelari e anche politici. E alla fine alla Regione, in questo mondo della sanità, resterà il compito di pagare il conto con tanti saluti alla trasparenza e ai diritti dei cittadini. Non possiamo ignorare questo peso. Ho voluto sottolineare questi aspetti per richiamare la fondatezza dell'ordine del giorno approvato in questo Consiglio.
Diversa è la questione della praticabilità delle richieste indirizzate al personale del Consiglio e dell'amministrazione regionale, sulle quali occorre ritornare, per meglio precisarle, in modo che non vengano violati i principi sanciti da precise norme di garanzia, alle quali si era riferito, tra gli altri, il collega Baroschi nella dichiarazione di voto, resa in occasione dell'approvazione del precedente ordine del giorno. Per altro verso, la fondatezza dell'ordine del giorno osta nell'affrontare il problema, che esiste ed è attuale, delle possibili interferenze di organizzazioni forti, trasversali, protette dall'anonimato, nell'esercizio dei pubblici poteri legislativi e amministrativi. Certo, tutto è perfettibile, è migliorabile, le esperienze e le riflessioni di questi mesi ci inducono a rendere più ragionevole, equilibrata e praticabile la nostra posizione su questo tema. Dobbiamo guardarci bene dall'introdurre normative e indirizzi di tipo vessatorio, persecutorio. Abbiamo un solo strumento che ci può venire incontro ed è quello della pubblicità delle posizioni, anzitutto di quelle di chi è eletto o di chi si presenta alle elezioni, di chi cioè è depositario di un mandato di rappresentanza, ma anche di chi svolge attività di alta amministrazione con poteri di mediazione tra cittadino e potere pubblico, attività che incorpora possibilità di scelte discrezionali anche se di natura tecnica. Il Consiglio deve concludere questo dibattito e raccoglierne la sintesi in un ordine del giorno che disponga con chiarezza, sul piano degli impegni politici, per i propri componenti, per la Presidenza dell'Assemblea e per la Giunta regionale. Non me la sentirei, giunto a questo punto del dibattito, di votare nessuna delle due mozioni presentate, per quanto esse siano tra loro molto differenti. Devo dire che, nel documento del Gruppo Rinascita e Sardismo, si possono ritrovare molte proposizioni condivisibili, ispirate a principi di rispetto delle prerogative individuali. Gli altri punti sono meno condivisibili. Della mozione "152" non accettiamo il taglio che ci pare francamente inquisitorio e non ne accettiamo soprattutto i giudizi politici. Siamo, però, disposti a contribuire, come dicevo, alla formazione di un ordine del giorno che superi le posizioni di parte e si ponga come punto di riferimento per tutta l'attività della Regione un ordine del giorno che stabilisca e riaffermi i principi di rispetto della libertà di associazione e dei diritti inalienabili della persona, che stabilisce e riaffermi principi di imparzialità, controllabilità e conoscibilità del personale di governo e dei vertici dell'Amministrazione, indirizzi di legislazione che servano a normare sempre più chiaramente le procedure attraverso le quali realizzare la visibilità del potere, un ordine del giorno che stabilisca impegni di riorganizzazione della struttura amministrativa e soprattutto di concreta attuazione delle norme sulla trasparenza.
Signor Presidente, io avrei terminato, voglio solo aggiungere un'ultima considerazione. In questo dibattito ha preso giustamente all'inizio la parola il collega Salvatore Lombardo, perché in maniera più o meno diretta la sua posizione è stata richiamata da diverse prese di posizione e anche dagli stessi documenti che introducono questo dibattito. Il collega Lombardo, a mio parere, ha dato conto della sua posizione con estrema franchezza e con atteggiamento di rispetto per la volontà del Consiglio, rispetto dal quale non si era sostanzialmente mai discostato. Mi pare che queste dichiarazioni siano tali da poter eliminare polemiche o strumentalizzazioni e credo che se ne possa prendere atto con franchezza.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Scano. Ne ha facoltà.
SCANO (P.D.S.). La mozione numero 117, che abbiamo approvato a maggio, aveva certo dei limiti, ma ha costituito indubbiamente un fatto positivo. Ora mi pare che ci sia il rischio di tornare indietro, rispetto a quel testo. Vedo cioè il rischio che il Consiglio regionale, dopo aver adottato una posizione giusta e coraggiosa, seppure migliorabile in qualche aspetto, possa decidere di fare macchina indietro. Ho sentito umori, in quest'Aula e fuori, che non mi piacciono: da una parte fastidio verso il tema, e quasi una voglia di riscossa e di rivalsa. Ho sentito in qualche intervento perfino toni da maccartismo alla rovescia; criminalizzare chi solleva il tema. Ho sentito dall'altra parte talvolta una impostazione debole - mi riferisco a chi sostiene anche tesi analoghe a quelle che io sostengo -, anche argomenti non sempre condivisibili, lo penso e lo dico. Io, che sono stato il primo proponente della mozione "117", sento, in questo momento, la responsabilità di lavorare per una conclusione positiva e convincente, per una conclusione che si colleghi in avanti, non indietro, sulla strada aperta dalla mozione approvata a Maggio da questa Assemblea. La società sarda ha molti problemi gravi e urgenti, anche più gravi e più urgenti di quello di cui stiamo parlando. Oggi leggiamo sui giornali la tragedia di un uomo di 28 anni che sceglie di morire perché senza lavoro; ci sono chiare queste cose e tuttavia la questione di cui stiamo parlando non costituisce una questioncella e non rappresenta affatto una perdita di tempo, il fatto che il Consiglio regionale si occupi della questione dei poteri occulti, della questione della trasparenza, della questione della Massoneria. Stiamo parlando di una questione importante e complessa che investe il tema della democrazia e il tema dei diritti dei cittadini e dobbiamo ragionare portando in campo ciascuno le proprie ragioni ma avendo, lo dico a me stesso prima che agli altri, la capacità di ascoltare le ragioni altrui. Io non voglio che il tema dei poteri occulti diventi una farsa e dico subito che se l'oggetto del dibattito fosse la punizione, la rimozione o lo spostamento di un funzionario del Consiglio regionale io non parteciperei nemmeno alla discussione, non mi interesserebbe, mi occupo di altro; se invece stiamo parlando di democrazia, di trasparenza dei diritti dei cittadini il tema è serio e va trattato seriamente. La battaglia per la trasparenza va condotta con argomenti inaccettabili, con argomenti ineccepibili secondo diritto e ragione. C'è un circolo vizioso segretezza-sospetto, ove queste si alimentano a vicenda: la segretezza genera sospetto e ostilità e il sospetto e l'ostilità giustificano la segretezza e tutto si tiene. Bisogna spezzare questo circolo vizioso e bisogna spezzarlo con le armi della ragione e della legge, con il rigoroso rispetto dei principi dello Stato di diritto. E allora io inizio, come dire, dalla mia parte; non parlo di un partito, parlo di un campo di ragioni e di posizioni politiche ed etiche, e voglio dire, se mi è consentito, ai fautori della trasparenza, che non possiamo fare il favore ai fautori della segretezza, dentro e fuori la Massoneria, perché c'è nella Massoneria e ce n'è fuori della Massoneria, non possiamo fare il favore di essere o di apparire illiberali e faziosi. Niente processi sommari, niente schedature, niente epurazioni. E chi le chiede? Bisogna tenere saldamente in mano la bussola della legge; del diritto e dei diritti e questo lo dico anche bonariamente, con una battuta, soprattutto ai neofiti che impugnano la bandiera con tanta maggiore enfasi quanto più recente è la scoperta dell'esistenza dei poteri occulti e della Massoneria. Dico queste cose perché sia chiaro a tutti lo spirito che ci anima, l'intento che guida l'azione del Gruppo del Partito Democratico della Sinistra; il senso dei diritti e della legge, non solo la tolleranza. Molto di più del valore della tolleranza! Però, non posso non dare una risposta a chi ci ha pesantemente criticato, in qualche caso - e mi dispiace sinceramente dover polemizzare, garbatamente naturalmente, con il tuo intervento, caro Lello Mereu, persona che stimo, con la quale ho a lungo lavorato - in qualche caso aggredendo il Gruppo del Partito Democratico della Sinistra e il suo Capogruppo con toni francamente inaccettabili.
La nostra posizione è chiara: io non chiedo al massone di giustificare il suo essere massone. Chiedo che si giochi a carte scoperte. Spero bene di non essere chiamato io, di non essere chiamati noi a giustificare il fatto di non essere massoni o il fatto di sollevare una grande questione di civiltà e di democrazia e farlo in modo pacato, serio, sereno, con argomenti, con ragioni fondate.
La questione di fondo, il caposaldo da cui muoviamo è quello della pubblicità del potere. La repubblica democratica esige che il potere sia visibile, la democrazia anzi è il governo del potere visibile, il governo del potere pubblico in pubblico. Per questo, ancora oggi, quando diciamo democrazia evochiamo un simbolo, l'agorà, l'adunanza di tutti i cittadini in un luogo pubblico per fare ascoltare proposte e per decidere, dopo aver ascoltato, gli argomenti pro e contro dei vari oratori. La democrazia rappresentativa muta le forme storiche della partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica, ma non muta l'ideale della democrazia come ideale del potere visibile, ossia la tendenza verso il massimo controllo del potere, dell'esercizio del potere, degli uomini del potere da parte dei cittadini. Res publica nel senso proprio della parola e anche nel senso di cosa esposta al pubblico. Allora, la domanda è: siamo d'accordo su questo punto, il punto della visibilità e della controllabilità del potere? Siamo d'accordo oppure no? Questa Assemblea è d'accordo oppure no? Penso di sì, perché non si tratta di impegnare il Consiglio regionale in una battaglia contro la Massoneria. Il Consiglio regionale è un'istituzione, dovrebbe essere di tutti i sardi, quali che siano le convinzioni etiche, culturali, filosofiche o religiose di ciascuno. Non spetta dunque al Consiglio regionale prendere posizione in una disputa filosofica o politica o etica di questo genere. Il problema, invece, è impegnare il Consiglio regionale in una battaglia non contro la Massoneria ma per la democrazia, non solo per la trasparenza, io dico proprio per la democrazia, perché non è possibile nessuna democrazia che non sia una democrazia trasparente. Ma, se è così, bisogna essere coerenti, bisogna fare un ragionamento sui poteri invisibili, bisogna decidere di lavorare e di battersi per rimuovere e per debellare i poteri invisibili. Oppure c'è chi pensa che queste siano stravaganze e che i poteri invisibili non esistano e che il potere sia tutto visibile, alla luce del sole? C'è chi lo pensa? I giornali sono pieni, la storia e la cronaca traboccano di vicende di servizi segreti, di misteri, di complotti, di traffici.
Il segreto - è stato detto stamattina - è un protagonista della storia italiana, ma senza scomodare la storia anche la gestione quotidiana del potere è intrisa del potere invisibile. Pensiamo al funzionamento della pubblica amministrazione, al cittadino talvolta vittima di un potere senza volto, al cittadino che spesso non sa nemmeno chi e perché gli dice di no. "La vittoria del potere visibile su quello invisibile non è mai compiuta del tutto" - scrive Bobbio - "Il potere invisibile resiste all'avanzata di quello visibile, inventa modi sempre nuovi per nascondersi e per nascondere, per vedere senza essere visto". Ma il problema è costituito solo dalla Massoneria o dalle massonerie? Nemmeno per idea, nessuno di noi sostiene questo. Riflettiamo, per esempio, sul fatto che tuttora il vertice dei partiti si chiama segreteria. Non si tratta solo di una curiosità linguistica ma del segno depositato nel nostro linguaggio, nelle nostre strutture storico-politiche, della evoluzione della democrazia, del processo di pubblicizzazione del potere che è un cammino contrastato e contraddittorio.
(Interruzioni)
Si chiama esecutivo ma è ancora segreteria anche nel nostro partito. Non è solo la Massoneria ad essere potere invisibile, c'è dell'altro. Ma si può forse negare che la Massoneria sia un potere, o si può negare che la Massoneria sia un potere largamente invisibile? Io faccio la domanda; si può negare questo? Che la Massoneria sia un potere? Si può negare che sia un potere largamente non visibile? Se c'è qualcuno che è in grado di negarlo si levi e lo dica. Ma io non ho sentito questo da persone che hanno fatto ragionamenti franchi parlando il linguaggio della verità.
PORCU (M.S.I.-D.N.). E' un potere occulto.
SCANO (P.D.S.). Essa è una delle forme del potere non visibile e non controllabile. Una delle forme, non "la forma del potere", una delle forme di questo potere.
MEREU SALVATORANGELO (P.S.I.). Stiamo parlando dei dipendenti regionali.
SCANO (P.D.S.). No, io non sto parlando dei dipendenti regionali e mi rifiuto di svilire il tema a questo livello. Io sto parlando d'altro, sto parlando di un problema di democrazia e di un problema di diritti dei cittadini. Io di questo sto parlando. Se tu hai parlato d'altro, hai sbagliato tema. Siamo d'accorso su questo oppure no? Cioè che questo è un potere e che è un potere non del tutto visibile? Questa Assemblea è d'accordo su questo punto oppure no? Io credo che la gran parte di questa Assemblea, o forse tutta, sia d'accordo su questo e allora bisogna essere coerenti e bisogna procedere in avanti. "Ma in Sardegna sono stati pubblicati gli elenchi" qualcuno mi dirà. Ma non scherziamo nemmeno! Io spero che nessuno pensi seriamente che ora la Massoneria sarda sia alla luce del sole, dopo le iniziative dei quotidiani sardi. Per le province di Sassari, Nuoro e Oristano sono state pubblicate solo notizie arcinote o scarsamente rilevanti. Gli elenchi di Cagliari sono invece corposi ma, salvo i nomi scontati, mancano - lo penso e non vedo perché non dovrei dirlo - mancano i pesci grossi; fuor di metafora, mancano i politici, mancano i magistrati, mancano i militari. Inoltre gli elenchi in questione così parziali sono relativi al Grande Oriente d'Italia. Lo ricordava Francesco Cocco, ma non esiste soltanto il Grande Oriente d'Italia, esistono altre associazioni massoniche o affini di cui si sa anche meno, rispetto al Grande Oriente d'Italia. E poi le denunce di Di Bernardo, le inchieste dei giudici di Palmi - sono inchieste, non sono sentenze quindi le prendiamo come vanno prese - ci parlano dell'esistenza di logge coperte, di massoni all'orecchio del Gran Maestro, di logge all'estero, un labirinto insomma. Se c'è chi non lo vuol vedere, peggio per lui. Con la mozione numero 117 abbiamo chiesto alla Massoneria la pubblicazione autonoma degli elenchi. Io credo che il Consiglio regionale debba ribadire l'invito a tutte, non solo al Grande Oriente, a tutte le associazioni massoniche. "Scegliete la trasparenza" - dobbiamo dire - "non è con la segretezza che sconfiggerete sospetti e pregiudizi". Scegliere la luce del sole è utile alla Massoneria medesima, solo così può evitare di diventare punto di partenza di deviazioni di ogni genere. I massoni degli altri Paesi, gli americani in primo luogo, hanno capito questo; mi domando perché si tardi a capirlo nel nostro Paese. Tanti massoni che hanno aderito - lo dico sinceramente perché ne conosco tanti - tanti massoni che hanno aderito a quella istituzione per ragioni ideali, per tradizioni familiari, e che nulla hanno a che vedere con il traffico delle carriere e degli affari, se vogliono difendere la storia e gli ideali della Massoneria io credo che dovrebbero scendere in campo e battersi per la trasparenza, prima di noi, insieme a noi ma prima di noi. Per questo obiettivo io mi batto, non per la punizione dei massoni. La punizione del massone in quanto massone mi ripugna, non dico che non sono d'accordo, dico che mi ripugna - non parlo di chi è venuto meno ai suoi doveri e di chi ha commesso reati, questo vale per tutti, massone o non massone quindi non c'entra - io voglio rispettare i suoi diritti, anche se personalmente mi è estranea la cultura massonica e non intendo dargli ragioni o alibi perché continui a nascondersi. E poi diciamoci anche una cosa con franchezza, noi non possiamo rivolgerci ai massoni dicendo: "Venite allo scoperto" e poi infilzarli. Quando diciamo "non demonizzare" deve essere davvero così, quando diciamo "niente caccia alle streghe" deve essere davvero così; naturalmente quando poi sento certi interventi o leggo sulla stampa - non parlo solo di quest'Aula - una certa apologia della Massoneria, mi riesce difficile continuare ad essere così pacato, olimpico, sereno ed equilibrato. Il Consiglio regionale deve rivolgersi alla Massoneria, io penso, dicendo: "C'è una strada obbligata, è quella della trasparenza". E trasparenza e tolleranza vanno insieme, democrazia e rispetto dei diritti camminano insieme e il Consiglio regionale deve essere in Sardegna garante di questo.
Associazioni segrete o associazioni occulte; c'è una disputa su questo punto. L'articolo 18 della Costituzione vieta le associazioni segrete, ma non dice quali siano gli indici in base ai quali si definisce una associazione segreta. La legge numero 17 dell'82 - scioglimento della P2 - enuncia una definizione di associazione segreta effettuando una drastica riduzione dell'ambito di applicabilità e operando - questo ritengono molti giuristi, e questo penso anche io che sono un profano - un sostanziale svuotamento del dettato costituzionale. La restrizione del concetto di associazione segreta ha come effetto automatico il fatto che esistono delle associazioni che vivono e operano senza che nulla trapeli all'esterno che non possono essere definite segrete ai sensi della legge "17". La giurisprudenza ha convenuto di utilizzare, per questo tipo di associazioni, la denominazione di associazioni occulte. Io penso che una associazione che mantenga sconosciuti, in tutto o in parte e anche reciprocamente, i propri aderenti, possa a buon diritto essere definita occulta. In relazione alle associazioni occulte, non può non porsi, per i soggetti investiti di funzioni pubbliche, la questione della trasparenza. Io voglio dire che la questione si pone per tutte le funzioni pubbliche, non solo per chi è titolare di un mandato elettivo, ma si pone in modo diverso. Quando un cittadino si candida ad amministrare la cosa pubblica - penso che tanti su questo siano d'accordo qui dentro - dovrebbe rendere chiaro il programma politico che intende realizzare, il reddito, il patrimonio, tutte le associazioni di cui fa parte. Possiamo procedere legislativamente su questa strada? Mannoni dava una opinione favorevole in questo senso, io penso che si debba procedere verso una norma che obblighi i candidati in questa direzione. A maggio dunque abbiamo fatto bene, con la mozione "117", a decidere di chiedere a consiglieri e assessori di rendere nota la situazione associativa. Pongo una domanda: abbiamo fatto bene a porre la stessa richiesta ai funzionari del Consiglio e della Regione? E' materia opinabile. Io ho ascoltato le obiezioni, gli argomenti contro che sono stati portati, e sono giunto alla conclusione che avremmo dovuto limitarci, quando abbiamo approvato la mozione, a chiedere la dichiarazione di appartenenza ad associazioni segrete, occulte o che prevedano un vincolo di riservatezza. Credo dunque che su questo punto abbiamo compiuto un errore nel senso di estendere la dichiarazione all'intera situazione associativa per i dirigenti e per i funzionari, a differenza che i politici, per i candidati alle elezioni, consiglieri regionali, parlamentari, ma penso anche, voglio dirlo, che questo limite della mozione non giustifichi una difesa delle associazioni occulte in nome dei diritti di libertà. Io respingo questo tentativo di rovesciare la frittata come respingo le goffe e strampalate iniziative di Casula e di un altro parlamentare di cui in questo momento mi sfugge il nome. Il Consiglio regionale forse andrebbe sciolto ma per un motivo…
(Interruzioni)
Io non me lo ricordo sul serio, non ho voluto fare dell'ironia, non voglio essere equivocato.
Il Consiglio regionale andrebbe sciolto probabilmente, ma per un motivo ben più serio di quello addotto dai due parlamentari, perché il Consiglio regionale a me pare spesso incapace di svolgere adeguatamente la propria funzione. E comunque subito andrebbe sciolto il Parlamento - Camera e Senato - per consentire al popolo sovrano di scegliere una nuova classe dirigente. Ma da questo orecchio non mi pare che ci sentano i due parlamentari Casula e Martelli. La questione del rapporto tra pubblica amministrazione e appartenenza ad associazioni occulte o riservate è una cosa molto seria. Ci sono stati interventi misurati e argomentati su questa materia. In materia di pubblica amministrazione, due sono i principi che la Costituzione proclama e sono stati ricordati: l'imparzialità dell'amministrazione, la lealtà dei dipendenti pubblici verso l'amministrazione, la fedeltà allo Stato. L'adesione ad associazioni occulte contrasta con il dovere di imparzialità; un giudice ha senso solo se imparziale, ma anche un ufficio della pubblica amministrazione ha senso solo se imparziale, deve garantire la par condicio civium, i cittadini devono essere uguali.
Così pure l'adesione alle associazioni occulte contrasta con il dovere di fedeltà alla legge. Prendere coscienza di tutto ciò è una delle premesse per restituire fiducia nei pubblici poteri e credibilità a coloro che rappresentano, nei diversi ruoli, la Repubblica italiana. Il pubblico dipendente non può assoggettarsi all'obbedienza ad autorità diverse, deve essere leale alla legge, non alla loggia. Può porsi, al di là dell'esigenza della trasparenza, una questione di compatibilità tra ufficio pubblico e associazioni occulte? E' una materia sicuramente estremamente complessa; io personalmente ritengo di sì, ma la mia opinione conta molto poco. Dobbiamo avere però chiaro che mentre sulla compatibilità tra adesione a un partito e adesione alla Massoneria decide liberamente il partito nel suo statuto, sulla compatibilità tra funzione di pubblico dipendente e adesione ad associazioni occulte occorre decidere in base ai principi dello Stato di diritto e con lo strumento della legge. Esistono dei progetti di legge sulla materia in Parlamento, ne esiste qualcuno anche in questa Assemblea; credo che si possano esaminare e che si possa decidere democraticamente in base ai principi del nostro ordinamento. Ne possiamo discutere. La Massoneria o le massonerie possono comunque risolvere, se vogliono, le questioni di un colpo, decidendo di trasformarsi da associazioni occulte in associazioni trasparenti e nessuno avrà più nulla da dire, più nulla da obiettare. Si è fatto riferimento nel dibattito a casi particolari; io ho già detto che non intendo occuparmi di casi particolari; il Consiglio regionale fissi un indirizzo, chi è preposto all'applicazione lo applicherà secondo la sua valutazione e la sua coscienza. Mi limito a dire, con serenità e misura, un'opinione sulla questione della composizione dell'ufficio del Difensore civico. Si tratta di un ufficio particolare e vale per esso, più ancora che per tutti gli altri, una considerazione: per poter adempiere compiutamente a funzioni di questo genere non basta essere imparziali, occorre essere anche creduti imparziali. Imparziali e liberi! In ogni caso noi ci rimettiamo alla determinazione del Presidente del Consiglio e dell'Ufficio di Presidenza. A me non pare - sto concludendo - che si stia conducendo in quest'Aula un processo ai massoni e alla Massoneria, qualcuno l'ha lamentato ma mi pare fuori strada, non facciamo processi e naturalmente non vogliamo nemmeno essere processati, perché poniamo una questione di democrazia, ossia che i soggetti, i meccanismi e i circuiti del potere debbono essere pienamente visibili. Questa è la discussione, non altra, qui non è in questione il giudizio storico ed etico sulla Massoneria, questa istituzione ha una storia nobile - è stato detto e desidero ribadirlo anch'io - che affonda le proprie radici nelle ideologie umanitarie, di origine illuministica; ha svolto un ruolo importante nel processo di laicizzazione dello Stato in Europa e vanta una tradizione democratica. Se poi - lo dico in particolare a Giorgio Ladu che ha fatto un ragionamento su questo, che io rispetto, ma non condivido - se poi vogliamo parlare di che cosa è oggi la Massoneria non ho certo difficoltà a parlarne. La mia convinzione è che ormai contino poco gli ideali etici e filantropici e che molto conti, invece, il mutuo soccorso per fare carriera e per fare affari. Ma non è questo l'argomento in discussione, non è di questo che stiamo parlando. La questione è la trasparenza del potere pubblico e di questo il Consiglio regionale si sta occupando e si deve occupare, perché è una questione primaria. Il punto è che chi decide, come si decide, cosa si decide, sulle risorse, sui progetti, sulla classe dirigente, sulla vita della collettività. E' un problema secondario questo? Non dovremmo occuparcene, sono quisquilie? Non scherziamo. Stiamo parlando di una questione seria e grave, stiamo parlando del fatto che anche in Sardegna, come in Italia, abbiamo una democrazia malata e io dico anche una democrazia dimezzata. Certo non si tratta solo del problema della Massoneria, io dico che non si tratta nemmeno principalmente di questo. La nostra democrazia è dimezzata, certo perché ci sono poteri nascosti capaci di sostituirsi agli organi pubblici, ma è dimezzata soprattutto, in primo luogo per via delle degenerazioni del sistema politico. Stiamo vivendo giorni tra i più difficili per l'Italia. Sentiamo e leggiamo ogni giorno una sorta di bollettino della disgregazione, la coscienza civile e collettiva del Paese è frastornata; quanto più si moltiplicano i segni di sgretolamento tanto più è necessario rendersene conto, combatterli e cercare di costruire le premesse di una democrazia più avanzata. Una di queste premesse è sicuramente che in una società moderna e democratica non debbono esistere società segrete o occulte, questo è l'oscurantismo, lo dico all'amico Annico Pau, questo è l'oscurantismo da cancellare dalla società italiana, non è l'unico, ma è certo un oscurantismo tra i più rilevanti, da cui bisognerebbe sgombrare il campo. Io penso - ed ho concluso - che il Consiglio regionale dovrebbe, al termine del dibattito, superando le posizioni di parte o di gruppo, con un pronunciamento che abbia il consenso più largo possibile, con un pronunciamento che riprenda lo spirito e i contenuti essenziali della mozione numero 117, avere una posizione che costituisca, su problemi complessi e delicati, un punto di riferimento saggio ed equilibrato, nella riaffermazione forte della trasparenza come regola essenziale della democrazia e nella riaffermazione dei principi e dello spirito della Costituzione che nel medesimo articolo, l'articolo 18, contiene il principio della libertà di associazione e di divieto delle associazioni segrete, diritti dei cittadini e regole della democrazia. Questo Consiglio non deve scegliere tra l'una o l'altra ragione, io penso che questo Consiglio debba scegliere di tenere insieme ambedue queste ragioni.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Tamponi. Ne ha facoltà.
TAMPONI (D.C.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo Consiglio ha affrontato ultimamente vari problemi riguardanti aspetti immateriali della convivenza civile; l'abbiamo fatto quando abbiamo parlato della cultura, lo facciamo adesso nel parlare di trasparenza, parliamo di certezze di conoscenze. E c'è, ogni volta che parliamo di questi diritti immateriali, che sono poi i diritti delle persone, un certo astio, una certa diffidenza da parte di alcuni e l'abitudine manichea di contrapporre a queste esigenze, a questi diritti, le esigenze della materialità, le esigenze della crescita sociale, della disoccupazione, del lavoro e di altre cose di questo tipo che sembrerebbero più importanti e comunque trascurate da questa Assemblea perché si parla d'altro. Io credo che questa Assemblea, come massima Assemblea democratica, come Assemblea ancora pienamente legittimata a rappresentare il popolo sardo, invece abbia il dovere di parlare di queste cose, abbia il dovere di contribuire a creare una coscienza civile in Sardegna su questi argomenti, su questi aspetti specifici che influenzano direttamente lo sviluppo di una società. La nostra non è una società avulsa da ciò che avviene in altre parti d'Europa e del mondo, ed è una società che deve riflettere su avvenimenti e circostanze che sono alla base della crescita complessiva. Quando noi abbiamo affrontato in Aula il problema della trasparenza, non abbiamo affrontato il problema Massoneria. Chi mi ha preceduto ha ricordato com'è nata la mozione numero 117, e voglio ricordare a tutti noi che quella mozione non è nata per iniziativa di un singolo Gruppo, ma è nata in un contesto che potremmo definire benevolmente trasversale, nel senso positivo del termine, perché su un problema di questa delicatezza si sono trovate concordi varie coscienze, personali di singoli consiglieri, che non hanno coinvolto coscienze di Gruppo, coscienze di gruppi politici rappresentati in quest'Aula. E credo che il diritto di ciascuno di noi ad esprimere il proprio pensiero, la propria personale convinzione, in momenti come questi, sia un diritto inalienabile e anzi un diritto che deve essere sostenuto.
Dopo la presentazione e la discussione in Aula di una interrogazione si è arrivati alla mozione che è stata approvata da questo Consiglio, una mozione che, ricordo bene poneva in primis in evidenza l'esigenza della trasparenza e delle certezza di appartenenza, che riguarda prima di tutto ciascuno di noi come singoli consiglieri regionali e riguarda anche coloro che sono parte attiva del Palazzo, perché con i consiglieri, con i Gruppi, con le istituzioni sono in un rapporto simbolico, che deriva da un giuramento, ma sono anche in un rapporto capace di influenzare il comportamento dei singoli consiglieri, dei Gruppi e dell'Assemblea nel suo complesso. Mi riferisco a dipendenti del Consiglio regionale. Quando si è fatto riferimento ai dipendenti, non lo si è fatto per coinvolgerli in uno strano disegno, ma per esaltarne la funzione, per porre la loro funzione, il loro servizio, quasi sullo stesso piano del servizio e della funzione dei consiglieri, mancando ad essa solo l'elemento differenziante che è quello della legittimazione popolare, del voto. Se noi vogliamo che questo Palazzo sia trasparente, dobbiamo fare uno sforzo perché la trasparenza riguardi tutti, coloro che sono qui temporaneamente perché eletti, coloro che sono qui stabilmente, perché vincitori di concorso, perché dipendenti di questa Assemblea. Ciò che va ribadito è che non c'era in quella mozione nessuna intenzione di chiedere epurazioni di sorta. Non si chiedevano epurazioni, si chiedeva solo di sapere. Il collega Scano poc'anzi, come altri, ha fatto una differenziazione tra l'appartenenza a organismi e ad associazioni che hanno i connotati della segretezza o della riservatezza - e poi parleremo anche di questo - e l'appartenenza invece ad altri organismi, associazioni, circoli e iniziative varie, che non dovrebbe essere dichiarato dai dipendenti, ma solo dai consiglieri. Io credo che stiamo tentando, così facendo, di spaccare il capello in quattro. Io credo che il testo stesso della mozione e quindi dell'ordine del giorno fosse chiaro quando impegnava la Giunta a fare alcune cose e invitava il Presidente del Consiglio a farne altre. C'è una differenza, che non è solo lessicale, ma è sostanziale tra impegno e invito. Quando il Presidente del Consiglio, al quale io debbo dare atto, di avere informato tutti i Capigruppo, me compreso, di avere avuto dall'Avvocatura dello Stato una nota che poneva dei dubbi seri, io non so se fondati o meno - non faccio il giurista, non mi sono rivolto all'amico collega Pubusa per avere un parere - ho fatto alcune riflessioni che possono portarmi a non essere in linea con il parere dell'Avvocatura dello Stato. Il Presidente del Consiglio ci ha comunicato che l'Avvocatura era del parere che un tale invito non potesse essere rivolto ai dipendenti. Poi è accaduto che gli elenchi, che non sono stati forniti al Presidente della Giunta che nel frattempo li aveva richiesti ai dirigenti massimi delle organizzazioni massoniche, sono stati resi pubblici, perché la stampa, nel fare il proprio dovere - dico io - ha informato la pubblica opinione di una serie di elenchi e di appartenenze che hanno trovato tanta attenzione, proprio perché sono incidenti nella nostra società, altrimenti non avrebbero attirato l'attenzione né sulla stampa, né nella società. Ebbene, credo che in questo dobbiamo valutare il senso della nostra attenzione verso questi problemi. Il Consiglio regionale, evidentemente, non aveva sbagliato quando aveva posto l'accento su di essi, perché sono problemi che interessano e coinvolgono l'opinione pubblica, sono problemi che interessano e coinvolgono l'intera società civile della nostra Isola. Come Gruppo abbiamo chiesto, proprio dopo la pubblicazione degli elenchi, al Presidente del Consiglio, senza proporre mozioni o interpellanze, con una semplice lettera, che si desse riscontro di quanto attuato a seguito della mozione numero 117, proprio per un bisogno di chiarezza. Non c'era da parte nostra nessuna intenzione criminalizzatrice verso nessuno, c'era semplicemente un'attenzione particolare, doverosa, verso la dignità di questa Assemblea che riguarda tutti noi, perché sembrava che da parte di qualcuno di noi, non ho difficoltà a dirlo, potesse esserci stata una dichiarazione mendace. Dico potesse perché nessuno di noi era a conoscenza del contenuto e delle dichiarazioni dei singoli consiglieri. Aver trovato il collega Lombardo negli elenchi e contemporaneamente avere saputo dal Presidente del Consiglio, in una dichiarazione resa in Aula, che solo tre consiglieri prima e poi due, non avevano rilasciato dichiarazioni di appartenenza e tra questi non vi era il consigliere Lombardo, faceva nascere dei dubbi che, proprio perché questa è la massima Assemblea democratica della nostra Isola, dovevano essere immediatamente dissolti. Io credo che abbiamo fatto un piacere al collega Lombardo, perché gli abbiamo dato la possibilità di confermare e di specificare il proprio atteggiamento in merito ad una richiesta che il Presidente del Consiglio gli aveva rivolto. Io non entro in merito ai riti massonici, agli statuti interni e alle procedure, perché non ho frequentazione con gli stessi. Per il sentito dire si sa, per esempio, che chi è in sonno non paga le quote, chi paga le quote non è in sonno. C'è una serie di elementi interni che portano a confondere, alla fine, la militanza e l'appartenenza attiva alla Massoneria con un'appartenenza, se così si può dire, passiva. Io credo che la chiarezza, la precisione e direi anche la verità nel rispondere ad alcune richieste che il Consiglio regionale aveva posto, riguardano la nostra dignità di rappresentanti del popolo sardo. Sarà il Consiglio a valutare se le dichiarazioni del collega Lombardo sono state mendaci o veritiere, alla luce delle sue precisazioni, ma certo questo problema non potevamo sottacerlo o trascurarlo. E in questo non c'è nessuna volontà di criminalizzare nessuno. Voi chiamate fratello chi è massone o chi lo è stato. Noi che ci ispiriamo ad una concezione cristiana della vita, che è anche il nostro bagaglio politico, perché la nostra adesione ai valori cristiani la manifestiamo o tentiamo di manifestarla anche nel nostro agire politico, chiamiamo fratelli anche i nostri nemici. E sono d'accordo, collega Pau, e condivido quello che lei diceva sulla dichiarazione di Voltaire - e sappiamo tutti che anche Voltaire era affiliato alla Massoneria - quando dice che "è mostro il cittadino che condanna un altro cittadino perché è di diversa opinione". Noi lo diciamo come cattolici impegnati in politica, citando un modesto prete di provincia, don Primo Mazzolari, che diceva che la tolleranza è una virtù civile. Noi siamo tolleranti e per questo non vogliamo essere confusi con coloro che invece da questa esperienza e da questa vicenda escono con connotati, che sembravano superati, di un certo integralismo, di una certa intolleranza, di una visione direi assolutistica delle cose, senza che neppure l'ombra di un dubbio emerga nelle loro dichiarazioni, nelle loro convinzioni. Ecco perché abbiamo chiesto un dibattito in Aula che, a parere nostro, si poteva svolgere anche ai sensi del secondo comma dell'articolo 53 del nostro Regolamento interno che dice che il Consiglio può essere convocato in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o su richiesta del Presidente della Giunta regionale o di un quarto dei suoi componenti. Probabilmente avremmo evitato anche questa mozione e alcuni fraintendimenti; perché la mozione del Partito Democratico della Sinistra non può trovarci d'accordo. Noi lo diciamo con convinzione, perché, già in occasione della discussione della mozione numero 117, facemmo notare a coloro che riproponevano il tema usurato dell'Opus Dei, quale differenza di fondo vi fosse tra l'Opus Dei e la Massoneria; come non potesse assolutamente definirsi l'Opus Dei una associazione di carattere segreto e come invece essa sia un'associazione di carattere religioso. Ieri la collega Serra Pintus ha chiarito egregiamente questo argomento ha confermato e ha specificato quali siano i connotati dell'Opus Dei, cosa voglia dire prelatura, cosa voglia dire essere completamente trasparenti e avere i propri indirizzi e i propri riferimenti negli annuari diocesani, che riportano espressamente, tra le organizzazioni della Chiesa, le prelature anche in Sardegna dell'Opus Dei con i nomi di coloro che ne sono i rappresentanti. E questo non vuole dire che, per dissimulare il rischio della segretezza, basti, come ha detto un collega in quest'Aula, una targa; non è un problema di targa ma è un problema di sostanza. Noi abbiamo invitato a fare trasparenza e a stimolare un dibattito in quest'Aula che servisse e serva a convincere quanti, anche massoni, credono, che la trasparenza e la completa conoscenza degli elenchi e delle appartenenze siano strumento di crescita democratica della società, a essere attivi e partecipi nel cambiare questa tendenza. Ecco perché diciamo che non esistono da parte nostra atteggiamenti manichei o atteggiamenti di qualunquistica condanna nei riguardi di coloro che fanno delle scelte che riguardano la sfera individuale dell'appartenenza, dell'adesione a linee di pensiero, a linee di cultura, a riti; certo a riti che spesso sono riti esoterici, come quelli della Massoneria, e che proprio per questo non possono essere condivisi da chi, come noi, fa riferimento ad altre culture e ad altre ispirazioni religiose che della esoteria certamente non fanno vanto, anzi la rinnegano con fermezza. In questo senso noi non possiamo neanche tralasciare di esprimere un giudizio sulla Massoneria; cosa che, come appartenenti ad un partito democratico cristiano prima, ad un partito popolare adesso, ci portiamo dietro nella nostra storia, nella nostra tradizione, da don Sturzo ad oggi, senza interruzione di giudizio, di valore e di appartenenza. Nei nostri codici di comportamento, nei nostri statuti c'è scritto con fermezza che un cattolico impegnato in politica, nella Democrazia Cristiana prima, nel Partito popolare oggi, non può militare nella Massoneria. E questo lo riaffermiamo, perché troppo distante, troppo diversa è la concezione dell'universo, della creazione, l'individuazione del creatore, troppo diversa è la nostra visione cristiana in cui Dio si è fatto uomo, è sceso tra gli uomini e nell'uomo per manifestare il proprio messaggio, rispetto alla concezione di un Dio, un creatore che invece nasce non tanto dalla coscienza ma dalla ragione, dal pensiero dell'uomo. E' diversa, è diametralmente opposta la nostra concezione e per questo non possiamo condividerla. Certo possiamo capire anche che molti si avvicinano alla Massoneria non perché ne condividano i riti, non perché ne condividano il messaggio ma perché, molto debolmente direi, pensano che così facendo si avvicinano a coloro che contano, si avvicinano ad ambienti in cui è meglio stare, perché in questi ambienti si respira l'aria del potere. Questo ci conferma che spesso nella segretezza e nella riservatezza si consumano iniziative, si consumano procedure, riti che on hanno niente a che fare con il messaggio culturale, ma che probabilmente servono solo da paravento per portare avanti accordi di potere spesso mascherati, accordi di spartizione, accordi di crescita, di mutua assistenza che spesso si esercita rinnegando il diritto dei terzi, quel diritto dei terzi alla correttezza nei concorsi, nelle scelte della pubblica amministrazione e nelle scelte del potere politico. E proprio perché siamo potere politico, espressione politica, dobbiamo ribadire con forza che la politica non può assolutamente compromettersi con questi riti e, per evitare la compromissione, non c'è altro sistema e altro rimedio che quello della trasparenza. Certo, se fossimo integralisti, noi potremmo citare sulla Massoneria altre dichiarazioni, altre affermazioni; ne cito una e poi vi dirò di chi è, per dire come la Massoneria veniva vista tanti anni fa. Una cinquantina di anni fa un grosso personaggio diceva che la Massoneria era una cosa comica e camorristica. Era una cosa comica perché erano comici i grembiulini, i cappucci, i compassi, l'armamentario del perfetto massone, ed era camorristica per i riti nella massima segretezza, l'iniziazione, l'adesione, uno spirito di reciproco sostegno tipico dei sistemi camorristi. Chi diceva questo non era un cattolico, colleghi del Consiglio, era un grande laico e si chiamava Luigi Einaudi. Noi non diamo questi giudizi perché noi ci rifacciamo lo stesso ad esperienze religiose, ad una chiesa universale che ha i propri riti, ha le proprie tradizioni, ha le proprie celebrazioni, celebrazioni che si attuano con i parametri, con tutta la ritualità tipica della nostra concezione e della nostra chiesa, ma alla luce del sole, con la massima trasparenza e con la massima pubblicità. Chiunque può entrare in una chiesa, partecipare, assistere alle funzioni. Questo è anche lo spirito di un messaggio universale, un messaggio che vuole coinvolgere, che non ha niente da nascondere nella propria ricerca di far crescere spiritualmente l'uomo.
Non possiamo però nascondere che c'è qualcosa di inquietante in quello che è avvenuto all'interno della Massoneria, in questi anni. Lo diciamo per quella parte di Massoneria non compromessa, lo diciamo soprattutto per quei massoni in buona fede dei quali rispettiamo le scelte e le adesioni. E soprattutto oggi, in questi giorni, dobbiamo dire che quanto c'è di segreto nel Paese non può avere una considerazione benevola e credo che questo non lo possa negare nessuno e debba essere un riferimento che ci deve coinvolgere tutti. Ciò che oggi sta avvenendo di inquietante in strutture segrete non può non coinvolgere in un giudizio negativo quanto di segreto ancora può esistere nelle articolazioni della società civile. Anche il dibattito interno alla Massoneria mi sembra che stia dicendo la stessa cosa; non cito la Massoneria inglese, non cito Di Bernardo, dico solo che se da una parte ci sono i massoni che vogliono perseguire con iniziativa legale, addirittura, i giornalisti che hanno pubblicato questi elenchi, ancora parziali, d'altra parte ci sono massoni che dicono che invece la via da perseguire è quella della trasparenze e della pubblicità assoluta degli elenchi e dei partecipanti. Ciò vuol dire che su questo dibattito non siamo soli, è un dibattito che coinvolge gli stessi interessati e per quanto attiene, appunto, il giudizio dato dall'Avvocatura dello Stato, che disquisisce tra segreto e riservato, credo che lo spartiacque sia estremamente esiguo e ci dobbiamo chiedere, semplicemente e solamente, perché c'è tanto desiderio di segretezza, perché si vuole questa segretezza a tutti i costi, perché si vuole conservare una caratteristica non più attuale, antistorica. La storia corre a passi di gigante e dieci, dodici anni sono già tanti e in attuazione dell'articolo 18 della Costituzione c'è stata una legge che porta due firme, perché si chiama legge Anselmi-Spadolini, un grande personaggio dell'area dei cattolici democratici e un grande personaggio dell'area laica. Se questa legge - la legge "117" del 1982 - il Parlamento ha sentito il dovere di darsela, vuol dire che c'è stato qualcosa nella Nazione, che le deviazioni che hanno caratterizzato in quegli anni la P2 e che purtroppo oggi riemergono, direi con preoccupazione, nelle vicende di Palmi, erano deviazioni pericolose per le stesse sorti democratiche del Paese.
Non possiamo non citare queste cose perché altrimenti saremmo come coloro che, proprio per rispettare la libertà individuale, la libera espressione di un'adesione a livello culturale, spirituale, a qualsiasi confessione, a qualsiasi organizzazione, vogliono tralasciare di esprimere un giudizio sulla Massoneria. Noi questo giudizio lo dobbiamo esprimere con fermezza e con chiarezza e vogliamo che non sia confuso con un giudizio di intolleranza. E' questo che ci muove e ci suggerisce che dobbiamo insistere verso la ricerca della chiarezza, una chiarezza che, prima di tutto, sia rivolta a ciascuno di noi, per convincerci ulteriormente che chi esercita temporaneamente il mandato di consigliere regionale ha il dovere prioritario di essere egli stesso trasparente nei propri comportamenti e di contribuire a creare un processo di trasparenza collettiva e complessiva nelle istituzioni e nella società. Certo, noi lo dobbiamo e lo possiamo fare perché anche la nostra coscienza di cattolici ci dice di essere vigilanti, ci dice che dobbiamo avere sempre gli occhi aperti e guardare prioritariamente al nostro comportamento e poi anche al comportamento dei vicini, ma soprattutto prioritariamente guardare a noi stessi. In questo senso dico che non capiamo la diabolica tentazione di perseguire un potere a tutti i costi che spesso attanaglia singoli e gruppi, quando si perseguono iniziative tese non a realizzare il pubblico bene e un fine comune, ma a realizzare interessi personali, di parte o di cooperazione. Come non capiamo i cattolici che inseguono e hanno inseguito in questi anni appartenenze ad organismi massonici, magari perché confusi o stranamente convinti che l'appartenere a queste organizzazioni potesse comunque garantire un vantaggio, un tornaconto per le loro carriere per le loro famiglie, per i loro affari. Quindi noi condanniamo nettamente prima di tutto coloro che sono vicini a noi e che non hanno avuto la capacità di scegliere di essere rigidi e coerenti. L'inconciliabilità della Massoneria con i principi ispiratori della dottrina cristiana è un'inconciliabilità ribadita anche da poco e ciò ci pone nella condizione di poter affermare che la nostra avversione verso la Massoneria è un'avversione ferma, costante e direi ribadita. Ma tutto questo patrimonio di idee e di comportamenti ci da un'altra certezza: quella di dover assolutamente garantire, anche noi, prima di tutto che vogliamo far parte di uno Stato di diritto, che vogliamo riconoscerci nella legittimità, nel rispetto delle norme che le Assemblee democratiche, gli Stati, le Regioni si danno. E' questo che vogliamo ribadire in quest'Aula.
Noi chiedevamo con la mozione solo di conoscere e di far sapere ai sardi quali erano le nostre appartenenze, le nostre adesioni e le nostre simpatie, perché spesso conoscendo questi aspetti, che parrebbero secondari, del nostro personale comportamento, come rappresentanti del popolo, riusciamo a far capire quali sono i nostri fini, come sono orientate le nostre scelte, come possono essere influenzate. Lo abbiamo fatto con convinzione, non per esprimere giudizi morali su coloro che invece appartengono, con piena legittimità e con piena convinzione, a organizzazioni come quella massonica. Lo dico ai colleghi consiglieri che sono stati o sono massoni, ai dipendenti del Consiglio, a coloro che, fuori di quest'Aula, nella società civile sarda, sono soggetti titolari di diritti e portatori di un complesso processo di partecipazione al processo di crescita della Sardegna, un processo che deve essere chiaro e trasparente, che deve essere improntato ad una logica di appartenenza prima di tutto alle esigenze complessive dello sviluppo, piuttosto che ad esigenze particolari di associazioni o di confraternite. Per questo vogliamo dire che esprimiamo la massima e totale fiducia al Difensore civico, che mi sembra abbia non tanto preso le difese di un massone quanto di una persona, che si trova ad essere massone e che credo non avesse dichiarato a quel punto la propria appartenenza, perché ancora non era stato invitato a farlo. Certo, ci dobbiamo porre il problema se in un ufficio che deve esprimere la totale trasparenza possano coesistere dei collaboratori e dei funzionari che, invece, non obbediscono o ritengono che il principio della trasparenza possa essere in qualche modo messo in discussione. Noi crediamo che questo debba essere precisato, ma non lo facciamo per condannare, né per giudicare, perché non spetta a noi giudicare, ma semplicemente per orientarci ad un principio di completa trasparenza e di completa chiarezza sul nostro operato. Questo non vuol dire che vogliamo intrometterci in ruoli e compiti che appartengono alla struttura amministrativa di questo Consiglio, che appartengono al Segretariato generale del Consiglio, che appartengono all'Ufficio di Presidenza. Saranno loro ad esprimere i provvedimenti, se provvedimenti ci devono essere in questo senso, saranno loro ad esprimere i chiarimenti, come sicuramente farà il Presidente del Consiglio, perché da questa vicenda possiamo uscire tutti quanti più arricchiti, più coscienti che se un dovere abbiamo noi, in questo momento particolare che sta attraversando la Nazione, che sta attraversando il Paese e che stiamo attraversando anche noi, è di contribuire con ogni mezzo ad essere più chiari, più comprensibili, più trasparenti nei riguardi nostri reciproci, ma soprattutto nei riguardi del popolo che vogliamo rappresentare.
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.
MELONI (P.S.d'Az.). Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche io debbo inizialmente esprimere qualche perplessità sul fatto che, in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, ci poniamo il problema dell'attuazione di una mozione certamente importante e però trascuriamo tutte quelle altre mozioni, altrettanto e forse ancora più importanti, che questo Consiglio ha approvato e che avrebbero dovuto comportare per la Giunta un confronto con il Governo e l'avvio della soluzione dei problemi drammatici dell'occupazione e della crisi economica dell'isola. Però anche questo è un problema importante, come è stato detto, è bene che se ne parli, ed è bene che, attraverso il dialogo e il confronto, si trovino quelle soluzioni che servano per ciascuno di noi a trovare il modo corretto di esercitare il proprio mandato e il proprio ruolo. Certo, ha sorpreso me come tanti altri l'iniziativa dei due parlamentari sardi, il deputato e il senatore, che hanno sollecitato il Presidente della Repubblica per sciogliere il Consiglio regionale, per un semplice fatto, perché sinora nessuno di noi aveva sentito da parte di costoro di una qualche iniziativa, ad esempio in Parlamento, per difendere la legge sulla cultura sarda che abbiamo appena approvato, per difendere e per sollecitare l'approvazione della legge sulla zona franca, per difendere, per sollecitare e per portare all'approvazione una volta per tutte la famosa legge di rinascita. Su questo non abbiamo sentito levarsi queste voci, su questi temi che sono fondamentali per l'identità della Sardegna, per il suo sviluppo, per la sua autonomia, non abbiamo sentito le voci di questi parlamentari e devo dire neppure di tanti altri, così come per altro sempre più labile e sempre più tenue è la voce che si leva dal Governo della Regione sarda. E però si deve andare avanti - dice l'onorevole Scano - rispetto alla mozione che è stata approvata il 5 maggio, non si può tornare indietro. E suggerisce, insieme ai firmatari della mozione del P.D.S., una proposta articolata in maniera assolutamente strana e che assume, proprio per la sua articolazione, per il suo contenuto, a mio parere, delle conclusioni assolutamente inaccettabili e comunque inquietanti. Io credo che una qualche riflessione su questa articolazione debba essere fatta. La mozione porta il titolo: "Sulle delicate questioni sollevate dalla pubblicazione degli elenchi degli iscritti alla Massoneria." E le delicate questioni derivanti da questa pubblicazione, che come tutti sappiamo è assolutamente incompleta, priva tra l'altro del carisma della ufficialità, sono quelle che pongono - continua la mozione - il problema della compatibilità tra gli obblighi di imparzialità e di lealtà istituzionali e l'appartenenza ad associazioni riservate quali la Massoneria e l'Opus Dei, che impongono particolari forme di obbedienza e vincoli di solidarietà. La mozione si conclude con l'affermazione che il principio della trasparenza è stato violato e va ripristinato - io vorrei capire come un principio può essere violato e può essere ripristinato - in almeno tre occasioni, che sono espressamente indicate, per poi proporre che venga data attuazione alla decisione contenuta nella mozione. Io credo che veramente questo tipo di proposta non sia consona a quello che è stato il frutto del dibattito nel Consiglio regionale in occasione dell'approvazione della mozione del 5 maggio, ma non sia consona e non risponda neanche a quelli che sono e che sono stati gli intendimenti, le convinzioni dei singoli consiglieri che quella mozione hanno approvato. Dico questo perché il principio della trasparenza, che costituisce il cardine di tutti gli interventi fatti dai colleghi del P.D.S., indipendentemente da come è stato interpretato nel parere reso dall'Avvocatura dello Stato, è un principio che attiene al comportamento dei singoli nell'espletamento delle mansioni - parlo di dipendenti - alle quali sono preposti e del mandato politico che ricevono, che certamente è cosa diversa, - e parlo proprio della gestione di questo potere - dal principio della pubblicità, della conoscenza dell'appartenenza ad una associazione, che non sempre trova collegamento con questo. Arrivando a delle forzature, che sono apparse particolarmente evidenti nell'ultimo intervento del collega Piersandro Scano, si è arrivati a dire e si continua a dire che il carattere della Massoneria è quello della segretezza e dell'occulto, perché questi sono i termini. Siamo convinti - come dice l'onorevole Piersandro Scano - che la Massoneria è un potere fortemente invisibile e che viene esercitato in maniera occulta ed invisibile? Siamo convinti che si tratti di un'associazione occulta? Se questo fosse, da un punto di vista esclusivamente legale, ci troveremmo di fronte ad una associazione che non rispetta quello che è il dettato della legge. Si può essere convinti di questo, però i termini che si usano debbono essere ben diversi. Allora si deve chiedere e si deve pretendere di inserire nei documenti che il Consiglio regionale, la Giunta regionale ritengono la Massoneria una associazione segreta ed occulta. Non basta esprimere questa convinzione per trarne delle conseguenze di natura giuridica, ma se questa è la convinzione, se realmente, al di là di quello che poi avviene nella Massoneria, in relazione al principio del mutuo soccorso per cui verrebbero privilegiate delle persone, a danno di altre - questo è quello che si dice - se la Massoneria fosse un'associazione segreta e occulta, e quindi contro legge, come si può chiedere e pretendere che un pubblico dipendente ammetta di far parte di questa associazione? Perché aderirebbe a una associazione contro legge e dovrebbe quindi, in questo modo, autoaccusarsi di avere commesso un reato. Io credo che questo sia un punto fondamentale, dal punto di vista del rispetto delle norme, dal quale non si può prescindere. E d'altro canto non ci si può neppure aspettare che il pubblico dipendente o qualsiasi cittadino, se aderisce ad un'associazione segreta, dichiari pubblicamente di farne parte. La realtà è ben diversa perché, con tutti i dubbi e le convinzioni che possiamo avere, ad oggi la Massoneria non è fuori legge - vale il discorso, chiaramente, anche per l'Opus Dei -, cioè non assume quei connotati per i quali dovrebbe essere, in base alla legge Anselmi del 1982, considerata segreta e quindi fuori legge.
Io capisco che questo che è un organo politico possa imporre ai propri rappresentanti, che rappresentano un popolo, di dichiarare quello che guadagnano, di dichiarare quello che rappresentano nella società - l'abbiamo fatto anche in altre occasioni - di dichiarare anche se aderiscono ad associazioni quali la Massoneria o altro. E' una scelta di carattere politico, più o meno vincolante, se ne trarranno le conseguenze, ciascuno assumerà la responsabilità del modo con il quale risponde a questo problema. Però, è ben diverso chiedere e pretendere che eguali dichiarazioni vengano rese dai pubblici dipendenti. Io non voglio ripetere quello che molti hanno detto circa le norme costituzionali che garantiscono lo status libertatis, che è un qualche cosa che si colloca alla sommità di una scala di valori ideali; e tra questi diritti c'è certamente quello di libertà di associazione che sia lecita, che sia riconosciuta, che non abbia caratteri di illegalità. Questa libertà va tutelata prima di ogni altro bene sino a quando non va a collidere con altre libertà. Ma una libertà, un diritto individuale di questa entità non può collidere, in questo caso, con diritti della collettività e con quello che è il pubblico interesse. Così come va tutelato e riconosciuto il diritto di espressione, il diritto di parola; così come va riconosciuto e tutelato il diritto di informazione, perché passando attraverso la discussione, la normazione, la limitazione di questi diritti poi si arriva a delle conseguenze aberranti.
Non c'è bisogno, ripeto, di ricordare queste cose, ma d'altro canto mi sembra opportuno ricordare che questi stessi diritti sono stati ripetutamente affermati, per esempio, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che è stata ratificata e resa esecutiva anche dal Governo italiano nel 1955, laddove all'articolo 9 si dice che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di credo, alla libertà di cambiare o di manifestare la propria religione o credo individuale sia in pubblico che in privato mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche, l'osservanza e i riti. All'articolo 11 si dice che ogni persona ha diritto alla libertà di associazione. Ma ancora più marcatamente e incisivamente la Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali del Parlamento europeo del 12 aprile 1989 riafferma questi principi; all'articolo 11 dice tra l'altro che "nella sua vita privata, nessuno può essere obbligato a rivelare la propria appartenenza ad una associazione purché quest'ultima non sia illegale". Sto leggendo la Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali approvata dal Parlamento europeo. All'articolo 17 dice che "ogni potere pubblico promana dal popolo e deve essere esercitato conformemente ai principi dello Stato di diritto. Si applica la presente dichiarazione e tutela a chiunque rientri nell'ambito di applicazione del diritto comunitario". "I diritti - dice l'articolo 26 - e le libertà enunciate nella presente dichiarazione possono essere limitati entro limiti ragionevoli e indispensabili in una società democratica, solo da una norma giuridica che ne rispetti comunque il contenuto essenziale". Ora non si può prescindere davvero dall'osservanza di queste norme, che sono norme precettive, norme di carattere generale, soltanto per le convinzioni, per il credo o per il modo con il quale taluno opera all'interno della società. Chiaramente qua si dice che solo attraverso una legge possono essere limitati diritti di tale portata, legge che, per quanto riguarda l'adesione alla Massoneria, in Italia e in Sardegna oggi non esiste. Riteniamo che debba essere approvata, che sia utile per la Sardegna? Nessuno vieta di proporla e di portarla in discussione in Consiglio regionale perché certamente, a fronte di questi diritti, esistono poi dei doveri, esistono degli obblighi, e ce ne rendiamo conto in questo momento in cui ci si sta accorgendo non tanto dell'occupazione del potere da parte della Massoneria, ma dell'occupazione del potere da parte dei diritti e delle degenerazioni che questa occupazione ha provocato nella vita della Nazione. Si diceva che primo di ogni altro tra questi doveri è quello della trasparenza; ma io credo che, prima di ogni altro, ci sia quello della legalità, del rispetto delle leggi, che vale per tutti. Il pubblico funzionario non può emettere un atto contra legem, il primo dovere è questo, né a lui si può chiedere di emettere un atto contra legem. Esiste una norma ben precisa che tutela il pubblico dipendente di fronte a un ordine illegittimo del superiore, che gli consente di rifiutarsi di adempiere a un ordine illegittimo. Se noi imponiamo al dipendente di adempiere a un qualche ordine che sia in contrasto con la legge, egli può legittimamente rifiutarsi e il dirigente che insista su questo atteggiamento corre il rischio di esporsi alla sanzione penale. Quindi il primo principio è quello della legalità. Certo, adempiuto questo principio, c'è poi quello dell'imparzialità dell'attività della pubblica amministrazione, ma l'imparzialità, come dicevo prima, è un modo di esercitare l'attività amministrativa e risponde anche all'esigenza di garantire il perseguimento del pubblico interesse. Da tempo diciamo che le istituzioni devono essere delle case di vetro e tutti siamo d'accordo su questo, perché da tempo il cittadino non ha la possibilità di controllare la pubblica amministrazione. Ma davvero siamo convinti che questo principio della imparzialità e della trasparenza all'interno della regione sarda, come dappertutto io credo, venga rispettato? Siamo convinti di questo? Io personalmente ho esperienze solo negative. Siamo convinti che, per avere risposta ad una domanda di contributo, di mutuo, il cittadino possa prima di tutto trovare e poi rivolgersi al funzionario competente e non debba, invece, andare ancora in pellegrinaggio presso le segreterie dei vari Assessori? Siamo convinti di aver abolito le clientele e il voto di scambio? Se questo è uno degli obiettivi forti che si vuole perseguire con le risultanze di questo dibattito, io credo che le strade debbano essere altre.
Signor Presidente, io credo che noi stessi consiglieri talvolta non siamo messi in grado di poter agire, né con conoscenza, né con trasparenza, né con imparzialità. Debbo citare l'ultimo caso che io ho vissuto personalmente, allorché si è preteso in Commissione agricoltura di discutere e di approvare un disegno di legge arrivato due giorni prima, approvato dalla Giunta con un anno di ritardo, senza che il funzionario avesse potuto mettere a disposizione dei commissari tutti i documenti necessari per conoscere quello di cui si andava a discutere. Grazie alla forza dei numeri della coalizione, la debole voce dell'opposizione è stata messa a tacere e si è andati avanti senza avere a disposizione quei documenti. Questa non è trasparenza, questo è esercizio arrogante del potere. Si è chiesto, ad esempio, che su una norma che prevede l'erogazione di 20 miliardi all'EAF per comporre un contenzioso con un certo consorzio, si votasse senza che l'Assessore chiarisse gli elementi in base ai quali noi, come Consiglio regionale, con la nostra responsabilità dovremmo deliberare che 20 miliardi del bilancio della Regione vanno in questa direzione. Io credo che stiamo raggiungendo il paradosso, nei nostri comportamenti e nei nostri atteggiamenti e che le parole che qua si spendono per sostenere il contrario siano soltanto parole. Ritorneremo su questo argomento allorché il disegno di legge verrà in Aula e si discuterà dei singoli articoli e dei problemi che esso pone. La realtà è, signor Presidente, che questa mozione, che è firmata soltanto da un Gruppo consiliare, e non da tutti i suoi componenti - nel momento in cui la Giunta e la maggioranza continuano a presentare delle crepe vistose, e si sospende la surroga di un Assessore assente da oltre un mese, sapendo bene quali danni questa assenza, pur con la sagace supplenza del Presidente, che però comporta dei limiti, quanto meno di presenza, determina per la Sardegna, in questa situazione di crisi, in questa situazione nella quale sta emergendo, anche in Sardegna, un qualche cosa che fa pensare all'estendersi di una sorta di tangentopoli sarda che vede coinvolti un po' tutti i partiti - questo tipo di mozione, così concepita, pone dei problemi e presenta degli aspetti inquietanti. Intanto io credo che il primo risultato per il Gruppo politico che la propone sia quello di continuare a isolarsi o di andare sulla strada dell'isolamento, giungendo qui in Sardegna a precludere molte delle possibilità che erano state prospettate, per formare coalizioni di sinistra alternative rispetto a questa maggioranza. Coalizioni di sinistra nelle quali ovviamente sono fondamentali e sono indispensabili le presenze dei partiti laici, dei progressisti, dei liberi pensatori, non solo dei partiti ma anche di quei cittadini che potevano o possono identificare in una coalizione, in una forza moderna democratica e progressista a sinistra, una prospettiva. Tutto questo non aiuta, perché quando se ne fanno derivare conseguenze come quella di Carbonia per cui un sindaco P.D.S. esclude due Assessori, soltanto perché massoni, quando si chiede che si dimetta il Sindaco di Magomadas, perché massone, e si salva il Sindaco di Tortolì, massone sì, però dichiarato e comunque nato da un accordo del P.S.d'Az. che poi nel suo statuto ben altre norme ha introdotto, evidentemente si creano presupposti - senza considerare iniziative simili a quella della provincia di Cagliari - che non sono certo nell'alveo di quel possibile accordo.
Signor Presidente e onorevoli colleghi, purtroppo il tempo è avaro ma mi avvio brevemente anche io alla conclusione. Nessuno vuole demonizzare, si è detto, però proprio in relazione a quell'elenco che è stato pubblicato nel giornale io vi chiedo se io oggi dichiaro di essere massone chi lo può smentire? Perché, badate bene, quando sono apparsi quegli elenchi a Sassari, visto che erano limitati, persone che mi ritengono un massone mi hanno detto frasi di questo genere: "Eh, già verranno gli elenchi nei quali apparirà il tuo nome"; altri invece, che sanno che non sono massone e che non mi ritengono massone, mi hanno detto: "Eh, lo sapevo che non eri in quegli elenchi, che non sei massone".
MEREU SALVATORANGELO (P.S.I.). Io sono diventato massone dopo l'intervento di ieri; qualcuno nella stampa mi ha detto che sono in sonno.
MELONI (P.S.d'Az.). Quale tipo di smentita io posso fare? Per qualunque notizia che mi riguarda che venga pubblicata io posso sempre chiedere i danni. Una cosa è certa, Presidente - e mi avvio alla conclusione - posso tranquillamente dire che non sono massone, per quest'anno, quanto meno perché per quest'anno non ho pagato il bollino di rinnovo della tessera.
PRESIDENTE. Per esprimere il parere della Giunta ha facoltà di parlare l'Assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione.
COLLU, Assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione. Signor Presidente, onorevoli consigliere e consiglieri, più autorevolmente di me chiuderà il dibattito il Presidente della Giunta, a me il dovere di intervenire e di proporre alcune considerazioni provienienti dal mandato specifico cui devo assolvere come responsabile del funzionamento degli uffici e del personale che li abita. La condotta dei dipendenti pubblici in generale e quella dei dirigenti in particolare, dal duplice punto di vista dell'impegno nello svolgimento dei propri compiti d'ufficio e del rapporto fra interessi privati e interessi pubblici, è un argomento emergente per gli studiosi di diritto e per coloro che hanno responsabilità organizzativa manageriale e politica nella pubblica amministrazione. Soprattutto è argomento di grande rilievo per i cittadini che chiedono efficienza e imparzialità agli uffici pubblici, i quali, operando in regime di monopolio, non consentono ai cittadini stessi di rivolgersi ad agenzie alternative. Stranamente, anche la nostra Regione, pur affetta da inflazione normativa, manca di norme sulla condotta dei pubblici dipendenti. Esistono alcuni principi sparsi e direi scomparsi in alcune leggi, ma resta scoperta l'individuazione degli obblighi e di divieti che si riconducono a quei principi. Le disfunzioni della pubblica amministrazione sono comunque tali, per i ritardi, le discriminazioni, le opacità delle procedure e così via, che diventa sempre più urgente individuare i comportamenti leciti e quelli censurabili. Campeggia l'assenza di responsabilità disciplinare, provvedimento quasi sconosciuto che scarica sul controllo penale un peso che potrebbe meglio e più coerentemente essere svolto da provvedimenti interni all'amministrazione. Campeggia l'assenza di sanzioni per una notevole quantità di comportamenti che le richiederebbero; i giudici si concentrano su quella che i francesi chiamano corruzione, nera che è la più grave, ma esiste una corruzione bianca, quella talmente diffusa da non colpire più il sentimento morale comune come la raccomandazione, l'imbroglio burocratico, la snervante richiesta di documenti uno alla volta fino a scoraggiare il cittadino, ed esiste quella grigia derivante dai conflitti di interesse. Secondo gli studi recenti, la corruzione grigia è la più diffusa, contamina sia i politici che i burocrati, ma qualcuno denuncia che, mentre per i politici la prevalenza degli interessi privati su quelli pubblici disegna grafici irregolari con picchi periodici, per la burocrazia persiste una linea costante su livelli rilevanti. Manca comunque una disciplina generale sufficientemente precisa, e vorrei che alcune delle mie considerazioni facessero da prolungamento ad una proposta di legge. Prima che il sistema amministrativo assumesse la dimensione e la complessità che ha assunto anche da noi, un codice di condotta era superfluo, perché le regole di comportamento esistevano, anche non scritte, e il controllo sociale era più facile. Attualmente la burocrazia ha perso le caratteristiche che assicuravano questo stato di cose e la varietà e la complessità dei suoi compiti crea situazioni che spesso conducono alla commissione, anche involontaria, di illeciti. Non basta lamentare la caduta della moralità pubblica, occorre anche fornire all'impiegato canoni di comportamento ordinato, occorre approntare gli strumenti per ricostituire una morale collettiva del pubblico impiego in presenza come siamo di sfide etiche ben più difficili rispetto al passato. Direi che non basta neppure essere onesti, occorre una tutela più ampia di quella offerta dalla norma penale basata sull'idea di correttezza pubblica e di deontologia professionale. Abbiamo già egregi esempi di normativa sia regionale che internazionale e ne cito due. L'ordinamento più avanzato è certamente quello degli Stati Uniti; i dipendenti federali e quegli degli States sono soggetti a norme e prescrizioni molto specifiche; i codici di etica forniscono direttive di comportamento in ordine ai rapporti con il pubblico, ai rapporti fra dipendenti, alla vita privata. L'idea di fondo è questa: il pubblico dipendente come persona che gode della fiducia della collettività; fedeltà alla Costituzione, fedeltà alle norme dell'amministrazione sopra l'interesse personale e di parte; il cittadino deve poter confidare nel corretto svolgimento dei compiti affidatigli. Attenzione particolare viene riservata ai conflitti di interesse, sia imponendo la pubblicità degli interessi finanziari di alcune categorie di dipendenti, dei loro familiari, delle organizzazioni di cui fanno parte, sia imponendo divieti di svolgere attività che possano in qualche modo incontrarsi con questi interessi.
In Francia, nel 1992, è stata formata la Commission de prevention de la corruption; essa ha già presentato un rapporto dove sono suggeriti i rimedi di carattere generale sia di tipo preventivo che repressivo e suggerite riforme in settori particolarmente delicati come i servizi pubblici, l'urbanistica, la concessione di finanziamenti, i tempi di permanenza dei burocrati nella stessa struttura. Fra l'altro ha proposto l'emanazione di un codice di deontologia che le singole amministrazioni dovranno adottare, dove si affrontano problemi come le obbligazioni e gli investimenti operati dai dipendenti, le loro attività professionali, la ricezione di regali e i rapporti con le imprese in generale. Una legge recentissima, del 29 gennaio di quest'anno, relativa alla trasparenza ha istituito presso il Ministero della giustizia un servizio centrale di prevenzione della corruzione con compiti di informazione, di denuncia e di prevenzione. In Italia il ministro Cassese ha già elaborato un articolato di legge che, portato da pochi mesi all'attenzione e al dibattito, attende di essere rifinito e proposto alle Camere; il codice di condotta dei dipendenti pubblici proposto da Cassese, servendosi dell'esperienza di altri Paesi, spazia dal divieto di ricevere doni alla tutela dell'immagine dell'amministrazione, all'imparzialità, ai conflitti di interesse, all'uso delle informazioni. Una proposta serena e seria, e non certo demonizzante. L'intento è quello di valorizzare l'essere dipendente pubblico aiutando il singolo dipendente ad avere come parametro della condotta lavorativa esclusivamente il servizio alla collettività nella imparzialità più nitida. Già nel 1700 - lo citava stamattina l'onorevole Pusceddu - il più acuto pensatore dell'illuminismo tedesco, in un saggio inesauribile di contributi alla civiltà, "Per la pace perpetua", enunciava il principio a priori della pubblicità con questa formula del diritto pubblico: tutto ciò che è incompatibile con la pubblicità attenta il diritto dei cittadini. L'oggetto primo che ci interessa è la pubblica amministrazione, non la massoneria Massoneria; solo indirettamente essa ci tocca e non esclusivamente poiché intorno alla pubblica amministrazione possono abitare e vivere varie connessioni e comunicazioni esclusive, canali impermeabili di consociazione, situazioni insonorizzate che distolgono dal pubblico interesse atti e risorse. Il codice di condotta Cassese, affrontando il tema della partecipazione ad organizzazioni, si propone di rendere visibile ed insospettabile ogni atto che lo possa in qualche modo colludere con gruppi e organizzazioni. E' vietato, in questo codice, al dipendente, di appartenere - e cito - ad associazioni che si riuniscano in forma riservata o che operino in modo occulto e a quelle per le quali sarà richiesto un giuramento o una promessa di contenuto contrastante con i suoi doveri d'ufficio. Obbliga alla dichiarazione di appartenenza nei confronti di qualsiasi organizzazione i cui fini possano prefigurare una qualsiasi interferenza con l'ufficio ricoperto. Tale partecipazione deve essere resa pubblica in elenchi; è l'articolo 37. L'amministrazione può chiedere al dipendente di rinunciare a delle cariche in partiti, associazioni e amministrazioni, o assegnarlo a funzioni diverse quando si prefigurino dei rischi. Ciò su cui, come Assessore, mi spetta richiamare la vostra attenzione, è una specifica questione di rapporti tra mezzi e scopi, che da Weber in avanti viene ormai universalmente considerata un tipico problema di analisi tecnica. L'obiettivo specifico che, come Assessore del personale della riforma, sono tenuto a perseguire è quello di fare tutto il possibile affinché la macchina regionale, la sua amministrazione, raggiungano un livello soddisfacente di efficacia e di efficienza, intendendo con questi termini, non un senso generico, intendendoli nel loro significato scientifico, preciso e rigoroso, vale a dire rispettivamente come conseguimento del risultato maggiore possibile con l'utilizzazione di tutte le risorse a disposizione, e come conseguimento di un risultato in modo superiore o perlomeno uguale al modello ipotizzato assunto come standard per indicare la positività del risultato stesso. Questo è il mio compito, e per raggiungerlo devo avere chiara consapevolezza, da una parte, delle determinazioni dell'efficienza e dell'inefficienza, dell'efficacia e dell'inefficacia, e dall'altro individuare con precisione tutto ciò che può frapporsi come ostacolo al conseguimento di questo traguardo. Ora, quello che lo studio dell'efficienza delle organizzazioni formali, e in particolar di quelle amministrative e politiche e delle istituzioni, ha messo ampiamente in evidenza, soprattutto negli ultimi tempi, è la crescente importanza dei processi comunicativi all'interno di qualsiasi tipo di struttura sociale o economica, al punto che la comunicazione è diventata di fatto il crocevia dell'analisi dei problemi riguardanti le strutture organizzative. Di qui la necessità di predisporre meccanismi operativi, capaci di ridurre la rottura della comunicazione, a scapito dell'incremento dei costi di transizione. In queste ultime settimane, in Italia si è molto discusso di un libro recente dello storico americano Robert Putnam, intitolato "La tradizione civica nelle Regioni italiane", presentato come un contributo fondamentale alla conoscenza della struttura sociale e dei problemi del nostro Paese. Ebbene, l'autore si è valso, per studiare e classificare le diverse realtà sociali e territoriali, di indicatori chiave, quali il genere di organizzazione sociale, il peso specifico che all'interno di queste ultime hanno rispettivamente i legami verticali di dipendenza gerarchica e quelli orizzontali di reciproco aiuto, collaborazione e fiducia, la diffusione e l'incidenza delle regole di convivenza e di collaborazione reciproca tra i cittadini, quello che lui chiama civicness, e cioè senso civico, come viene tradotto in italiano. Sulla base di questo complesso di indicatori, si potranno distinguere società dotate di molto senso civico e società, al contrario, prive di senso civico. Nelle prime si sono costituiti, e oggi operano attivamente, obblighi sociali e politici di tipo orizzontale, nel senso che mettono in contatto reciproco persone dello stesso ceto e nella stessa posizione di potere, vere e proprie reti capaci di superare i confini della famiglia e dei legami di parentela e di fungere da efficace collante tra gruppi e interessi diversi. Ne scaturisce un potenziamento rilevante e continuo dello spirito di collaborazione, dell'aiuto reciproco, del dovere civico, della fiducia verso il prossimo. Nelle seconde si ha invece il prevalere di una struttura verticale, costituita per lo più da persone legate tra loro da rapporti asimmetrici, gerarchici, di dipendenza gli uni dagli altri, di giuramenti, che induce la maggioranza dei cittadini a ritenere che l'amministrazione pubblica sia cosa che non li riguarda, che essa sia affare e interesse di altri, i notabili, comunque intesi e definiti. I principi democratici vengono di conseguenza guardati con cinismo, e l'interesse per la politica, quando scatta, non è dettato dall'impegno civico, ma dall'affarismo e dall'obbedienza verso altri. La distinzione tra questi due tipi di società diviene, a sua volta, punto di partenza di ogni accurata e credibile valutazione dell'efficacia delle politiche di sviluppo prescelte. Da questa impostazione si ricava pertanto che, se si vuole costruire una politica che sappia innescare un autentico e duraturo processo di sviluppo, occorre puntare non soltanto sul capitale fisico, ma più ancora e prima ancora sul capitale sociale, autentica chiave di volta per sorreggere e far funzionare la democrazia. Si tratta di un'indicazione importante, anche perché il capitale sociale, a differenza di quello fisico, non è trasferibile da un luogo all'altro. Per disporne occorre dunque dar luogo ad un processo di radicamento interno, ad uno sviluppo endogeno che porti ad una radicale trasformazione della società che ne siano prive, ad un mutamento epocale di cultura, di stili, di pensiero e di comportamento, e dall'altra parte, tra i due tipi di capitale, c'è un'altra differenza rilevante che è questa. Mentre il capitale convenzionale è per lo più proprietà privata, quello che chiamiamo capitale sociale è una risorsa morale, che appartiene a tutta la società, e cioè un bene pubblico. Il processo autorinforzante non è però applicabile solo nel circuito virtuoso dell'amministrazione pubblica, è speculare l'autorinforzo vizioso quando questa non funzioni nella sua comunicazione interna. La mancanza di comunicazione, di credito e di fiducia, tende ad autoconfermarsi dentro una struttura organizzativa e tra la struttura e il cittadino. Il singolo cittadino, ammesso che dal punto di vista etico preferisca il contrario, è costretto a prendere atto del fatto che l'unica strategia razionale per sopravvivere e avere successo, in una società priva di senso civico, è quella di adeguarsi agli standard e ai criteri di comportamento egemoni, perché proporsi di ribaltare questi schemi sociali radicati è superiore alle forze di un singolo individuo e lo condanna all'insuccesso.
Questa dipendenza dal percorso, come la chiamano gli economisti, sottolinea che gli schemi istituzionali sono autorinforzanti anche quando sono socialmente inefficienti, se non altro perché è quasi sempre più facile, per un individuo, sottrarsi alle regole già esistenti, piuttosto che cercare di cambiarle. Non solo, ma queste regole portano alla formazione di organizzazioni, di gruppi che ricavano un profitto dall'inefficienza delle stesse amministrazioni. In secondo luogo, dal momento in cui lo sviluppo si è avviato in una certa direzione, le abitudini culturali e i modelli mentali della società, rafforzano la spinta a muoversi nella stessa direzione. Nelle regioni più civiche i cittadini domandano servizi pubblici più efficienti e sono pronti ad agire collettivamente per raggiungere i loro obiettivi comuni. In quelle meno civiche la popolazione accetta, invece, il ruolo cinico e alienante del questuante. Lo studio di Putnam indica una via di soluzione nel ribaltamento dello stile comunicativo dentro le istituzioni interessate. In sintesi, si appella all'abbattimento dei fili unidirezionali di comunicazione, tra privilegiati dentro le istituzioni, tra i decisori delle istituzioni e i gruppi elitari dei cittadini, per instaurare flussi omnidirezionali di informazione che lascino visibilità piena e quindi trasparenza negli atti e nelle relazioni sociali di potere, senza la quale è in discussione la stessa imparzialità.
Da queste analisi emerge con chiarezza come sia impossibile prescindere, sia per quanto riguarda le teorie manageriali che per lo stesso studio delle organizzazioni, dai numerosi e importanti rapporti che intercorrono tra la struttura sociale e l'informazione che una società si dà. Non pare quindi né esagerato, né azzardato sostenere che i fattori fondamentali che danno sostegno alla cooperazione e le consentono di dispiegarsi appieno in tutti i suoi effetti e le sue potenzialità, sono la comunicazione e la circolazione dell'informazione. Possiamo dire allora, in tutta tranquillità e con piena consapevolezza, che tutto ciò che fa da ostacolo al pieno e libero flusso dell'informazione, tutto ciò che contribuisce ad inceppare, a rallentare i circuiti comunicativi va considerato profondamente disfunzionale ai fini dello sviluppo sociale; bisogna allora accelerare i processi di cambiamento sia personali che istituzionali adeguandoli alla accelerazione e alla contrazione che i processi della storia ci impongono, per non rischiare di essere travolti dai fatti che ci sopravanzano rispetto agli atteggiamenti e nonostante le nostre buone intenzioni. Le pubbliche amministrazioni vanno preservate anche sotto il profilo dell'immagine, per ciò che si è detto, la fiducia dei cittadini e degli utenti è un bene prezioso e costituisce di per sé oggetto di tutela. Ritengo, per queste ragioni, che l'adesione da parte del pubblico dipendente ad associazioni che, pur non violando il divieto, tendono ad eluderlo contribuisce a creare quel circuito vizioso che abbassa il senso civico. Per questo motivo, su questa base, ripeto, non si tratta di trinciare giudizi morali, è una necessità professionale, deontologica prima che etica, si tratta di una valutazione tecnica e conseguentemente professionale che scaturisce da una modesta applicazione degli strumenti della razionalità rispetto allo scopo del bene collettivo che è la stessa ragione in fondo dell'esistenza delle pubbliche amministrazioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Presidente della Giunta.
CABRAS (P.S.I.), Presidente della Giunta. Signor Presidente, colleghi del Consiglio, abbiamo scelto di intervenire sia l'assessore Collu che io, a conclusione di questa discussione, perché in questa discussione non sono stati affrontati soltanto argomenti strettamente collegati alle mozioni presentate e perché è opportuno che il Presidente della Regione, che aveva un mandato preciso dalla mozione numero 117, risponda direttamente in Aula su quanto in quella mozione gli era stato prescritto di fare e svolga anche alcune considerazioni, brevemente, sulla discussione che si è svolta e quindi su qual è il pensiero della Giunta, ma anche del Presidente come persona, perché mi pare che la materia che stiamo trattando da molti è stata affrontata anche sotto questo profilo. La prima considerazione che vorrei fare riguarda l'aspetto degli adempimenti; nel periodo che va da maggio ad agosto la Giunta, attraverso il Presidente e l'Assessore agli affari generali, ha dato pienamente attuazione al mandato che il Consiglio le ha conferito con la mozione numero 117.
Con questo voglio dire che tutti gli adempimenti che sono stati posti in carico al Presidente e alla Giunta sono stati svolti e che è in corso, in questa fase di discussione, il compimento di quegli adempimenti. Poiché non abbiamo posto termini temporali per la presentazione delle dichiarazioni o per l'acquisizione di documenti ulteriori, come ci era stato prescritto dalla mozione numero 117, è chiaro che, in questa fase, quegli adempimenti sono solo parzialmente arrivati a conclusione. Se fosse necessario potrei eventualmente fornire elementi più precisi, La seconda considerazione riguarda il modo nel quale noi abbiamo impostato la discussione, o meglio le ragioni che hanno imposto la discussione che abbiamo svolto in questi due giorni e che si avvia a conclusione. Io non ho nessuna difficoltà ad affermare qua quanto sostenni in sede di Conferenza dei Capigruppo, a proposito della esigenza che si svolgesse in questo momento una discussione come quella che abbiamo sviluppato. In presenza di una situazione che ancora non aveva consentito di dare attuazione completa alla mozione numero 117, io sostenni in quella sede la inopportunità di un dibattito come questo in questa fase, in presenza di adempimenti in attuazione di quella mozione che ancora erano in corso. Pur tuttavia, l'opinione prevalente in quella sede fu quella di tenere comunque una discussione; devo dire che sia le mozioni presentate, sia gli ordini del giorno che stanno circolando in bozza mi confermano che il dubbio sull'opportunità era fondato, perché quelle mozioni o gli ordini del giorno rinviano ancora a un momento successivo di completa attuazione della mozione numero 117. Voglio dire con questo che sarebbe stato sufficiente tralasciare forse di venti giorni, forse di un mese questa discussione e probabilmente avremmo avuto ulteriori e più compiuti elementi più di quanto forse non siamo in grado di avere oggi sull'attuazione delle prescrizioni di quella mozione. Un'altra considerazione riguarda il fatto che la materia, così come si è sviluppata nella discussione di oggi, ha messo in evidenza come questo momento, così travagliato dal punto di vista politico, sia caratterizzato dal venir meno di molti valori o ancoraggi fondamentali che tutti quanti noi abbiamo sempre avuto nel corso della nostra vicenda politica; il partito di appartenenza, la maggioranza di appartenenza, le istituzioni di appartenenza sono più o meno messi in discussione, sul piano collettivo e sul piano personale. Molti degli interventi hanno messo in evidenza la contingenza difficile che oggi attraversa il Paese nella sua dimensione istituzionale, qualcuno è arrivato persino a dire che questo Paese dopo le elezioni politiche dovrà essere ricostruito da capo a fondo. E a me pare che in una condizione così caratterizzata, l'equilibrio necessario per affrontare una discussione come quella che abbiamo affrontato in questi due giorni, è necessario due volte di più, proprio perché si corre il rischio di commettere degli eccessi, in sede di attacco ma anche in sede di difesa. E qui vorrei sviluppare un secondo ragionamento: il tema che stiamo trattando non è nuovo, è stato affrontato in questa sede per la prima volta per impulso della mozione che è stata presentata all'inizio dell'anno, ma direi che in altre sedi dello stesso rango di questa, seppure regioni non a Statuto speciale, e nel Parlamento, è stato oggetto di ampio dibattito e discussione che si sono conclusi via via con provvedimenti legislativi che sono stati richiamati e che sono noti, ma anche con indirizzi comportamentali, prescrizioni di comportamento nei confronti dei vari livelli istituzionali che ricoprivano in quelle circostanze responsabilità di governo o comunque responsabilità di garanzia. Per cui io trovo francamente assai fuori luogo alcuni argomenti che sono stati affrontati in questa sede richiamando categorie e valori che, a me pare, meriterebbero una causa migliore, tipo la libertà di pensiero, le libertà individuali, l'habeas corpus e così via. Perché francamente mi sembra che si voglia ricostruire una situazione che non esiste; che non è mai esistita nell'impulso iniziale e che mi pare non esista nella realtà dei fatti. Questa rappresentazione rischia appunto di portarci, perdendo l'equilibrio, fuori strada e rischia di trasformare una discussine che doveva essere pacata ed equilibrata, su alcuni temi sui quali è legittimo avere opinioni diverse, ma che devono essere assolutamente ricompresi dentro la cornice che meritano le questioni che sono davanti a noi. Si è parlato molto di un parere dell'Avvocatura dello Stato; io non ho nessuna difficoltà a dire - e non sono un giurista sono un ingegnere - che non condivido dalla prima fino all'ultima riga quanto l'Avvocatura dello Stato ha firmato con quel parere. E non aggiungo altro perché non voglio mettermi qui a spiegare le ragioni per le quali quel parere non è condivisibile. Mi è capitato altre volte di non condividere, su altre materie, autorevoli pareri scritti da giuristi, non condivido nemmeno questo, perché mi domando perché, con i problemi che sono oggi in discussione in questo Paese, in questa Regione, noi dobbiamo pensare che un invito - perché di invito si tratta - rivolto agli Assessori e ai più alti funzionari della Regione, di dichiarare alcune cose sia una violazione dello Statuto dei lavoratori, o sia addirittura la violazione dell'articolo 18 della Costituzione. Per fortuna, parlando dell'articolo 18 della Costituzione, poi ci si rifugia su un terreno di opinabilità sul piano giuridico. Dico per fortuna perché affermare perentoriamente che un invito di questa natura sia di per sé una violazione delle libertà individuali, quindi di un principio costituzionale, e far discendere da questo conseguenze tragiche, che a me paiono ancora una volta veramente fuori luogo e fuori dimensione, sia un altro modo, consentitemi di dirlo, per perdere l'equilibrio necessario per affrontare nel modo più appropriato e più proporzionato una questione come questa. Ora qualcuno ha bisbigliato che addirittura il Presidente della Giunta regionale avrebbe dovuto preoccuparsi di non commettere un reato o meglio di non fare commettere un reato al suo Assessore qui presente, professor Collu, nel farlo perseverare in una posizione che era di grande violazione di tutto quanto. Ora, io accetto censure politiche su questo terreno, ma francamente mi sembra che questo sia un paradosso, e lo prendo come tale. Per cortesia, guardiamoci intorno e riflettiamo se effettivamente il Presidente di una Regione come la nostra si debba preoccupare di non commettere un reato in questa direzione. Io francamente ho altre preoccupazioni, e non aggiungo quali sono, che mi assillano in una circostanza e in una contingenza come questa. Ciò nonostante, siccome è stato detto da più parti che questo invito sarebbe illegittimo perché privo di una normativa di sostegno, noi ci apprestiamo a proporre al Consiglio regionale l'adeguata normativa di sostegno senza inventare niente, copiando quello che è stato fatto in altre parti o probabilmente trasferendo in questa sede quelle pregevoli cose che ricordava Ugo Collu, che sono il frutto di una elaborazione che un Ministro della Repubblica italiana, non della Repubblica somala, sta proponendo al Governo nazionale e può darsi non riesca ad arrivare a conclusione perché il Parlamento, come sappiamo, ha una vita breve. Ciò nonostante, questo serve come indicatore di una circostanza, di una stagione, di un momento, di una fase politica che stiamo vivendo perché non dobbiamo dimenticare che in questa sede prima di tutto facciamo politica e molti di quelli che hanno parlato, citando le libertà, i valori, e quant'altro, secondo me, stavano pensando alla stagione politica che stiamo vivendo e alla precarietà degli equilibri politici. E anche questo è stato letto dal Presidente della Regione ed è giusto che queste cose si dicano e ci si confronti con l'equilibrio necessario.
Al fondo dei problemi, quindi, c'è una questione che io riconduco dentro la cornice nella quale alcuni interventi che si sono svolti hanno tentato di ricondurla; io non ho potuto ascoltarli tutti, su alcuni ho chiesto quindi al collega Collu di farmi il riassunto, ma cito (per averli sentiti in parte) i ragionamenti che sono stati sviluppati per un verso da Francesco Cocco, ma anche dallo stesso Baroschi, quando ha richiamato le questioni di carattere normativo. Insomma in questa stagione - può darsi che ne arrivi una diversa - una volta che ognuno di noi sceglie di fare vita pubblica, di essere una persona pubblica, ha il dovere di sottoporsi alla radiografia fino alla profondità massima. Questo è quello che io ritengo sia un dovere. Posso sbagliarmi, ma oggi questo è richiesto a ciascuno di noi. Si è padroni di accettarlo o di non accettarlo, però nel momento nel quale non lo si accetta non si sta violando la legge - e qui veniamo alla questione di chi si rifiuta di rendere la dichiarazione - si fa un atto che la legge consente di fare; ma quando si compie questo atto si deve sapere che questo atto comporta una valutazione. E siccome nella pubblica amministrazione non si occupano posizioni soltanto in quanto vincitori di concorsi, ma si occupano posizioni di prestigio anche a seguito di decisioni discrezionali del Governo di turno che attribuisce incarichi cosiddetti fiduciari - e questo passaggio è spiegato in maniera molto efficace dalla mozione presentata da Cogodi, che lo ha ripetuto anche nella Conferenza dei Presidenti dei Gruppi - uno ha il diritto di fare tutto quello che vuole, la sua libertà non è in discussione, ma sulle sue scelte, in piena libertà, chi ha il potere o il dovere di governare deve esprimere un giudizio e assumersene la responsabilità. Questo è un principio - possiamo discuterne quanto vogliamo - che abbiamo usato in forma diversa, ma nello stesso modo in mille altre occasioni. Quante volte ci sono state interrogazioni, interpellanze, giudizi sull'azione svolta da un Presidente di turno, da un Assessore di turno, perché aveva abusato della sua funzione magari servendosi di collaborazioni che non erano assolutamente adeguate? Abbiamo espresso censure politiche sicuramente; in certi casi l'Assessore o il Presidente di turno hanno avuto la possibilità di rendere chiarimenti sul proprio atteggiamento, in altri casi si sono presi la censura, perché di errori capita che se ne commettano o qualche volta, anche se non si sbaglia, si prenda atto del giudizio che l'organo che il giudizio deve dare dà, quando stiamo nella sfera della politica. Pertanto, io penso che noi dobbiamo rapidamente concludere questa discussione, cercando, come dicevo prima, di non trasformarla in una discussione sulla violazione della Costituzione italiana, perché non stiamo parlando di questo. La violazione della Costituzione italiana è avvenuta e avviene, e vedremo come finiranno le indagini alle quali stiamo assistendo in questo periodo, in ben altre sedi e con ben altri fini. Mi consentirete di sottolineare questo aspetto. Quindi mi sembra francamente una cosa fuori misura. D'altra parte che la Massoneria come tale non sia mai stata una organizzazione messa in discussione, passatemi la battuta, l'ho detto in Conferenza dei Capigruppo quando si stava eccedendo in un attacco verso la Massoneria. Ho detto: "La prima cosa che bisogna fare qui, se continuiamo su questo passo, è staccare uno dei quadri che sono appesi davanti alla sala dove facciamo la riunione della Conferenza dei Capigruppo, perché là è appeso, come si conviene e la tradizione vuole, il ritratto di un Presidente del Consiglio regionale che è stato la guida della Massoneria in Italia per molti anni e a nessuno è mai venuto in testa di girarlo al rovescio". Questo può essere un esempio, banale e stupido, ma secondo me ha un significato, perché io do un significato anche alle sedie di questo edifico, a tutto quello che si fa qui dentro e quindi anche a queste cose. A chi ha giovato tendere ad eccedere in un senso o nell'altro, nell'attacco eccessivo, nel voler strumentalizzare alcune correnti, forse un po' perverse e contorte che si sviluppano anche nei media, nell'opinione o simmetricamente in un eccesso di difesa, come ho detto all'inizio. Non credo abbia giovato a nessuno, giova ad inquinare il confronto politico, perché il confronto politico non si sviluppa più su quello che deve essere il terreno principe della politica; si usano strumentalmente, in modo artefatto, strumenti di questo genere per mettere in cattiva luce e colpire altre persone, per fare operazioni di promozione o di decapitazione di vertici dell'amministrazione. Tutto questo non voleva essere, credo io, nell'intenzione della lettera che Collu ha firmato quando ha scritto ai funzionari, non voleva esserlo nella lettera che io ho scritto agli Assessori quando ho chiesto, in ottemperanza a quella mozione, di dichiarare quanto la mozione chiedeva che venisse dichiarato.
Io concludo riconfermando l'invito a tutti noi, a me per primo, a mettere un po' di forza nel tenere l'equilibrio in un momento come questo, perché siamo tutti sollecitati a perderlo, perché siamo tutti immersi in una contingenza caratterizzata come io ho ricordato. E soprattutto cerchiamo di riportare le cose esattamente sul terreno nel quale io credo debbano essere riposte, partendo dal presupposto che, se alcune cose non sono molto chiare nelle leggi, c'è una sorta di legislazione materiale alla quale tutti inconsciamente ci sottoponiamo, che è ciò che la gente pensa in questo momento, quello che la gente chiede a noi in questo momento e, che la legge lo consenta o non lo consenta, se vogliamo continuare a essere rappresentanti della gente, perché questo siamo prima di tutto, di questo dobbiamo assolutamente tenere conto.
PRESIDENTE. Permettetemi, colleghi del Consiglio, di dare atto di un dibattito franco e aperto che, al di là di aspetti anche contraddittori, ha consentito di riaffermare i principi irrinunciabili di correttezza e di trasparenza nell'esercizio delle funzioni pubbliche a tutti i livelli di responsabilità istituzionale, politica e amministrativa, nella più totale e assoluta garanzia dei diritti dei cittadini e delle libertà individuali. Un dibattito non inutile né vano che si colloca nella scala dei valori che questa Assemblea ha posto sempre in prima linea. Nel contempo mi corre l'obbligo di riaffermare, come è stato rilevato anche nel corso dell'ultimo ufficio di Presidenza e nell'ultima Conferenza dei Capigruppo, che sempre sono stati informati e resi partecipi delle iniziative di questa Presidenza, che gli adempimenti conseguenti all'approvazione della mozione numero 117 non sono stati né tardivi, né precipitosi, ma puntuali e tempestivi e del tutto coerenti con i presupposti di imparzialità e di doveroso e necessario coinvolgimento di tutte le componenti politiche presenti in quest'Assemblea. Il rispetto di tali presupposti rappresenta una garanzia totale nell'esercizio del mandato politico del quale siamo investiti tutti e singolarmente nella stessa identica misura. I comportamenti e i rapporti politici e istituzionali all'interno di questa Assemblea sono e devono essere sempre occasione privilegiata di confronto leale e corretto, se pure talvolta anche spigoloso e duro, di idee, di proposte, di indirizzi e di scelte, tenendo presente quello che è l'interesse generale. Proprio per questo, ritengo di poter dire che, in tutte le fasi che hanno caratterizzato questa vicenda, non c'è stata né inerzia, né precipitazione da parte della Presidenza del Consiglio, ma ragionevolezza e ponderazione, proprio per la delicatezza delle questioni che dovevano essere affrontate. La mozione approvata il 5 maggio scorso ha posto l'obiettivo del superamento della crisi di credibilità delle istituzioni regionali, attraverso l'adozione di regole chiare di trasparenza che salvaguardassero e garantissero il rapporto tra funzioni istituzionali e esercizio delle libertà di associazione, come è stato più volte richiamato, nel rispetto dell'articolo 18 della Costituzione. Ne sono derivati adempimenti che pur afferenti alla responsabilità individuale del Presidente del Consiglio, per la loro rilevanza politica e giuridica, consigliavano e consigliarono di assumere le opportune e necessarie iniziative, attraverso il doveroso e indispensabile coinvolgimento dell'intero Ufficio di Presidenza, dei Gruppi politici e conseguentemente della stessa Assemblea regionale. L'equilibrio delle decisioni non si misura evidentemente con la scansione del calendario, cosa che peraltro non rileva nemmeno la mozione numero 117, come diceva poc'anzi il Presidente della Giunta, che non ha imposto alcun termine o scadenzario, aspetto questo non certamente secondario.
Con tali obiettivi e lungo tale percorso si è mossa questa Presidenza, avendo a mente l'intero dibattito e anche le differenti posizioni emerse nel corso di queste vicende. Mentre nei confronti della componente elettiva è stata attuata una norma autoregolamentare che i consiglieri si sono dati con l'approvazione della mozione, nei confronti dei dipendenti dirigenti e funzionali, la Presidenza ha dovuto superare non pochi e non facili quesiti comportamentali anche di rilevanza giuridica, nell'interesse e nella salvaguardia delle prerogative ma anche della dignità e dell'autorevolezza della stessa Assemblea e dei suoi organi di autogoverno. Come è noto, infatti, gli impegni contenuti anche in un atto di indirizzo politico - anche questo è stato detto da tanti interventi - qual è la mozione, prima di essere posti in essere, con un corrispondente adempimento da parte dell'autorità impegnata, devono essere verificati nella loro legittimità, cioè nella loro coerenza con il sistema normativo vigente. Quindi c'erano due strade e due momenti differenti per conseguire l'obiettivo posto dalla mozione numero 117. In attuazione di tale provvedimento, la Presidenza invitava il 21 maggio 1993 tutti i consiglieri a presentare entro quindici giorni la dichiarazione attestante l'iscrizione ad associazioni che dichiaratamente o di fatto svolgano attività di carattere politico, culturale, assistenziale o di promozione economica e attestante altresì l'eventuale affiliazione alla Massoneria, di qualsiasi osservanza, comprese le logge segrete. Alla data del 28 luglio, previo un sollecito del 21, risultavano pervenute le dichiarazioni di 77 consiglieri e questa Presidenza comunicava all'Assemblea che le stesse erano a disposizione di chi avesse voluto prenderne visione. I consiglieri Merella e Pau hanno ottemperato alle richiese il 10 di agosto, il consigliere Ladu Giorgio, invece, ha reso la dichiarazione direttamente in Aula, nella seduta del 4 di agosto, precisando di appartenere alla Massoneria, di essere iscritto alla loggia Lando Conti come aveva già peraltro detto nel corso del dibattito del 5 maggio scorso. Va precisato che la mozione non attribuiva ai due Presidenti del Consiglio e della Giunta alcun compito circa la valutazione della congruità o della esaustività delle dichiarazioni rese, che veniva pertanto lasciata a ciascun Gruppo, a ciascun consigliere e al limite ad ogni cittadino. Questa Presidenza ritiene peraltro corretto che qualsiasi ulteriore iniziativa spetti alle componenti politiche presenti in Assemblea e che quest'ultima nella sua sovranità possa adottare le soluzioni che appaiono più opportune. Per la parte della mozione riguardante i dirigenti e i funzionari del Consiglio, va detto che questa Presidenza, sulla base della diversa configurazione giuridica dell'adempimento richiesto prima di attivare procedure che avrebbero potuto determinare l'insorgere di conflittualità fra i dipendenti e l'amministrazione consiliare e considerando altresì che l'impegno era fissato da un atto di mera natura politica, come è già stato rilevato, sicuramente subordinato alla legge qual è la mozione, giudicava opportuno richiedere, tramite la Segreteria generale un parere del Servizio Studi del Consiglio. Quest'ultimo ha ritenuto di doversi astenere su un problema che vedeva direttamente coinvolto il personale consiliare e ha suggerito di rivolgersi ad un organo estraneo alla stessa amministrazione come il Consiglio di Stato o l'Avvocatura dello Stato o a un giurista di provata autorevolezza e indipendenza. Considerato che, per avere il parere del Consiglio di Stato, sarebbe stato necessario attendere tempi certamente lunghi, questa Presidenza ha ritenuto fosse opportuno, per superare lungaggini e ritardi, sottoporre il quesito, tramite la Segreteria generale, all'Avvocatura dello Stato. Il 9 settembre 1993, la risposta dell'Avvocatura poneva in evidenza che non era aderente ai principi dell'ordinamento giuridico richiedere ai dirigenti e ai funzionari la dichiarazione prevista dalla mozione numero 117. Questo parere è stato portato a conoscenza della Conferenza dei Presidenti di Gruppo il 15 settembre 1993, prima dell'istanza dei Gruppi che hanno sollecitato questo dibattito. A seguito dei chiarimenti intervenuti in sede alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari e all'Ufficio di Presidenza, sono stati invitati tutti i dirigenti ed i funzionari del Consiglio a sottoscrivere entro l'8 novembre la dichiarazione richiesta dalla mozione. Analogo invito è stato rivolto anche al dirigente e ai giornalisti dell'Ufficio Stampa del Consiglio e all'addetto stampa del Presidente. Confermo all'Assemblea che tutti hanno risposto all'invito del Presidente che ha ritenuto e ritiene di essere stato, anche nella formulazione della richiesta, rispettoso delle due esigenze di adempimento all'impegno politico della mozione e di garanzia della legalità dei procedimenti degli atti. Mi pare quindi di poter affermare che del succedersi degli avvenimenti sono stati sempre informati tempestivamente e con la dovuta trasparenza sia il Consiglio che i Gruppi e sono stati così messi nella condizione di avere piena e totale conoscenza dei fatti nella loro sequenza temporale. E' al Consiglio che nella sua sovranità spettano le valutazioni e le ulteriori decisioni. Si fa menzione nelle mozioni, ma sono state introdotte anche nel dibattito, come elementi consequenziali, delle questioni riguardanti l'adeguatezza e la funzionalità delle strutture e la complessiva organizzazione consiliare, che avevano formato oggetto, come i colleghi ricorderanno, delle mozioni numero 67 e 68. L'Ufficio di Presidenza al riguardo, visto che nelle mozioni si diceva che l'Ufficio di Presidenza doveva presentare un progetto organico di ristrutturazione rendendo efficiente ed efficace l'azione del Consiglio, ma che tutto questo doveva essere fatto attraverso il coinvolgimento dei Gruppi consiliari, il 28 luglio 1993, ha approvato un proprio programma di massima, trasmesso in pari data al parere dei Gruppi consiliari. In attuazione di questo programma, è stata anche approvata una serie di importanti modifiche al Regolamento di amministrazione e contabilità al fine di conferire maggiore chiarezza alla gestione amministrativa interna al Consiglio, fissando anche nuovi e più obiettivi criteri per quanto concerne l'aggiudicazione dei lavori e delle forniture. Sempre nella prospettiva di dare maggiore trasparenza alla gestione amministrativa del Consiglio, sono stati adottati per la prima volta il Regolamento riguardante le spese di rappresentanza per convegni, seminari di studi e simili, e un nuovo schema di rendicontazione da parte dei Gruppi dei fondi erogati dal Consiglio. L'Ufficio di Presidenza ha ritenuto opportuno inoltre individuare una serie di criteri per l'accoglimento delle richieste di contributi e di inserti pubblicitari. Per quanto riguarda i contributi, si è ristretto di parecchio il campo di intervento; i criteri adottati riguardano lo svolgimento di convegni, premi letterari, la ricerca scientifica, gli scopi sociali ed umanitari, e manifestazioni e gli spettacoli di alto livello. Per ognuno di tali settori, sono stati fissati dei limiti di intervento ben precisi tendenti a valorizzare il ruolo del Consiglio regionale quale massima Assemblea del popolo sardo, a interessare larghissimi strati della popolazione isolana, a esaltare i più elevati valori della cultura, della storia e delle tradizioni sarde.
Agli inserti pubblicitari promozionali sul Consiglio regionale l'Ufficio di Presidenza intende affidare il compito delicato di avvicinare le istituzioni al cittadino. I criteri per l'accoglimento delle richieste tengono conto, per ciascun testata, della tiratura, degli argomenti trattati, della periodicità della diffusione e della veste editoriale. Anche in questo ambito, la predeterminazione dei criteri consentirà una necessaria e obiettiva selezione delle richieste e un più mirato e razionale perseguimento dello scopo principale.
In quest'ottica va altresì rilevata l'iniziativa, da parte dell'Ufficio di Presidenza, di predisporre una serie di pubblicazioni sul funzionamento e sull'attività del Consiglio. Infine, l'Ufficio di Presidenza si è posto l'obiettivo di perseguire la riorganizzazione interna dell'amministrazione consiliare, richiamata anche nella mozione numero 154, sul quale certamente il Presidente e l'Ufficio di Presidenza non si oppongono eventualmente a riferire in Aula anche se gli atti non sono stati perfezionati e compiuti. Nell'intento di dare maggiore produttività all'attività legislativa, la revisione del Regolamento dei Servizi del Consiglio è già avviata da tempo ed è a buon punto, proprio partendo da quella ipotesi formulata al termine della passata legislatura da un'apposita Commissione alla quale ieri si riferiva il collega, mio predecessore, Lello Mereu. Il Comitato per gli affari del personale ha attualmente in corso lo studio comparativo delle varie ipotesi di ristrutturazione elaborate sia dal Collegio dei Capi Servizi che dalle organizzazioni sindacali e in tempi brevi dovrebbe pervenire a una proposta da portare all'esame e alla definitiva approvazione dell'Ufficio di Presidenza.
Nel contempo l'Ufficio di Presidenza ha anche avviato la modifica dell'ordinamento giuridico del personale al fine di una più razionale utilizzazione delle risorse umane all'interno della struttura consiliare.
E' un impegno, come è stato rilevato, notevole e non facile che richiede uno sforzo di natura politica, culturale e giuridica di evidente complessità. Un impegno al quale non ci siamo sottratti, ma che ci vede andare avanti secondo un programma concordato che, sono certo, approderà, in tempi brevi, a conclusioni innovative e tali da soddisfare l'ansia che c'è in tutti noi di dare all'Assemblea regionale quegli strumenti in termini di modernità e di efficienza necessari per affrontare le sfide che ci attendono sulla strada dello sviluppo e della crescita civile.
Mi sembrava doveroso fare questa precisazione per rispetto all'Assemblea regionale.
Ha domandato di parlare l'onorevole Mannoni. Ne ha facoltà.
MANNONI (P.S.I.). Signor Presidente, io voglio intervenire sull'ordine dei lavori. Questo complesso dibattito deve poi concludersi con delle determinazioni dell'Assemblea, la cui formulazione necessita di riflessione per cui ritengo che sarebbe opportuno convocare la Conferenza dei Capigruppo per organizzare il seguito dei lavori.
PRESIDENTE. Se non vi sono opposizioni sospendo per quindici minuti la seduta del Consiglio e convoco la Conferenza dei Capigruppo.
(La seduta, sospesa alle ore 20 e 11, viene ripresa alle ore 20 e 17.)
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno domani mattina alle ore 10.
La seduta è tolta alle ore 20 e 18.