CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE NAZIONALE N. 9
presentata dal Consigliere regionale
SOLINAS Christian
il 3 settembre 2015
Introduzione nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), del titolo II bis rubricato “Lingua, cultura e ordinamento scolastico”
RELAZIONE DEL PROPONENTE
L’articolo 6 Cost. riconosce in via di principio la tutela delle lingue minoritarie presenti sul territorio italiano, riservando ad apposite norme di rango ordinario la disciplina concreta di tale previsione. Particolari forme di tutela sono altresì previste dagli statuti speciali delle Regioni Trentino-Alto Adige/Sudtirol per quanto concerne le lingue tedesca e ladina (incluse le minoranze cimbre e mochene), della Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste per quanto riguarda la lingua francese e del Friuli Venezia Giulia.
Lo statuto di autonomia della Sardegna sconta invece un grave errore di valutazione dei consultori e dell’intera classe dirigente post-bellica, che nelle diverse elaborazioni che portarono all’approvazione della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, sottovalutarono fatalmente e colpevolmente la centralità della lingua e della cultura sarda nella costruzione di una consapevolezza autonomistica preordinata alla piena affermazione della soggettività nazionale del popolo sardo. Analogo errore venne fatto con riferimento all’architettura complessiva del sistema scolastico, che evidentemente costituisce il necessario complemento ad un’impostazione culturale identitaria ed all’esigenza di definire assetti e dimensionamenti rispondenti alle peculiarità storiche, geografiche e sociali dell’Isola.
La disciplina comunitaria e internazionale si trova in materia su una frontiera decisamente avanzata, avendo maturato e consolidato, in via di principio, il valore della tutela delle minoranze e delle diversità linguistiche e culturali. A partire infatti dal trattato internazionale sottoscritto a Strasburgo il 5 novembre 1992 nell’ambito del Consiglio d’Europa, denominato European Charter for Regional or Minority Languages (ECRML), la cui ratifica da parte dell’Italia pare finalmente imminente dopo ben 23 anni, si è sancito l’intento di tutelare e promuovere le lingue regionali o minoritarie come parti del patrimonio culturale europeo in pericolo d’estinzione nonché di promuovere l’uso di queste lingue nella vita pubblica e privata. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si fa poi esplicito divieto di discriminazione fondata, in particolare, sull’appartenenza “ad una minoranza nazionale” (articolo 21), affermando altresì il rispetto della “diversità culturale, religiosa e linguistica” (articolo 22) e definendo la portata dei diritti garantiti nel senso che “possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” (articolo 52). Infine, il TUE (2012/C 326/01) ha sancito che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze” (articolo 2); che “esso rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo” (articolo 3) e “riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati” (articolo 6).
La presente proposta di legge, nell’alveo della pluridecennale elaborazione culturale e linguistica del Partito sardo d’azione ed in armonia con i principi e gli orientamenti consolidati a livello europeo, propone una organica integrazione della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, mediante l’introduzione di un nuovo titolo, rubricato “Lingua, cultura e ordinamento scolastico”, che realizza peraltro un riequilibrio dell’intensità di tutela linguistica, culturale ed etnica della Sardegna nell’ambito della Repubblica italiana, ispirato alle tradizionali e ben note avanguardie sudtirolesi e valdostane in materia. Infatti, fin da principio, gli statuti speciali delle Regioni Trentino-Alto Adige/Sudtirol per le lingue tedesca e ladina, e della Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste per la lingua francese hanno riconosciuto alle lingue parlate nei rispettivi ambiti geografici il carattere di “lingua propria”, perfezionandone contestualmente il relativo regime della protezione.
Nello statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol la tutela
delle lingue tedesca e ladina è articolata in una pluralità di previsioni. In
particolare:
– l’articolo 8 dispone il bilinguismo toponomastico nel territorio della
provincia di Bolzano;
– l’articolo 19 prevede, in materia di istruzione, che nella Provincia di
Bolzano l’insegnamento nelle scuole sia impartito nella lingua materna degli
alunni, italiana o tedesca;
– l’articolo 59 prevede che le leggi regionali e provinciali ed i regolamenti
provinciali siano pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione con testo in
italiano e in tedesco;
– l’articolo 99 testualmente prevede che “nella regione la lingua tedesca è
parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato”;
– l’articolo 100 consente ai “cittadini di lingua tedesca della provincia di
Bolzano” la “facoltà di usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici
giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati
nella provincia o aventi competenza regionale, nonché con i concessionari di
servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa”; ancora, “Gli
uffici, gli organi e i concessionari usano nella corrispondenza e nei rapporti
orali la lingua del richiedente e rispondono nella lingua in cui gli atti sono
stati avviati da altro organo o ufficio; ove sia avviata d’ufficio, la
corrispondenza si svolge nella lingua presunta del cittadino cui è destinata” e
“salvo i casi previsti espressamente e la regolazione dei casi di uso congiunto
delle due lingue negli atti destinati alla generalità dei cittadini, negli atti
individuali destinati ad uso pubblico e negli atti destinati a pluralità di
uffici – è riconosciuto negli altri casi l’uso disgiunto dell’una o dell’altra
delle due lingue”;
– l’articolo 101 prescrive che “nella provincia di Bolzano le amministrazioni
pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la
toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed
approvata la dizione”. La facoltà di usare la propria lingua nei rapporti orali
e scritti con gli uffici della pubblica amministrazione è altresì riconosciuta
ai cittadini di lingua ladina della Provincia di Bolzano.
Sempre nell’ambito dello statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige/Sudtirol ha trovato disciplina giuridica quel particolare meccanismo impropriamente chiamato “proporzionale etnica” in forza del quale l’ammissione ad alcuni pubblici uffici, ovvero al godimento di particolari diritti, avviene non già sulla base degli ordinari principi del pubblico concorso (articolo 97 Cost.), bensì in ragione di una suddivisione dei posti o benefici disponibili tra gruppi etnico-linguistici e minoritari. La prima applicazione della cosiddetta proporzionale etnica si è avuta negli enti pubblici locali, in applicazione dell’articolo 54 dello statuto altoatesino del 1948, mentre nel successivo statuto di autonomia del 1972 – che ha configurato in modo più forte e completo la tutela minoritaria – il riferimento normativo è divenuto l’articolo 89, il cui fondamento giuridico risiede nel principio di uguaglianza sostanziale e di non discriminazione, per la cui effettività si impongono, per l’appunto, misure di “tutela positiva” delle minoranze linguistiche.
Lo statuto speciale della Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4) contiene invece uno specifico titolo che delinea in particolare il sistema di tutela linguistica e culturale della minoranza di lingua francese. L’articolo 38 prescrive che “nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana. Gli atti pubblici possono essere redatti nell’una o nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana”. L’articolo 39 dispone che “nelle scuole di ogni ordine e grado, dipendenti dalla Regione, all’insegnamento della lingua francese è dedicato un numero di ore settimanali pari a quello della lingua italiana. L’insegnamento di alcune materie può essere impartito in lingua francese”. Anche in questo caso è prevista una speciale disciplina con riferimento al pubblico impiego: infatti, a tenore dell’articolo 38, comma 3, ” le amministrazioni statali assumono in servizio nella Valle possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese”. L’articolo 40 prevede che “l’insegnamento delle varie materie è disciplinato dalle norme e dai programmi in vigore nello Stato, con gli opportuni adattamenti alle necessità locali”, chiarendo come “tali adattamenti, nonché le materie che possono essere insegnate in lingua francese, sono approvati e resi esecutivi, sentite Commissioni miste composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione, di rappresentanti del Consiglio della Valle e di rappresentanti degli insegnanti”.
Emerge dunque chiaramente una ingiustificata asimmetria di tutela statutaria delle minoranze linguistiche e culturali presenti nella Repubblica almeno sotto due ordini di profili. Dapprima viene infatti in evidenza la distinzione tra autonomie speciali che hanno avuto riconosciute norme specifiche in materia nel proprio statuto (Trentino-Alto Adige/Sudtirol, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Friuli-Venezia Giulia) ed altre per le quali non vi è alcuna previsione normativa di rango costituzionale (Sardegna). Tra le prime, poi, si può riscontrare una differenziazione di modelli. Infatti, mentre lo statuto altoatesino configura il modello del separatismo linguistico, quello della Valle ben si iscrive nel paradigma del bilinguismo totale. Ancora differente è l’opzione friulana, laddove l’articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, si limita invece a riconoscere parità di diritti e di trattamento ai cittadini a prescindere dal gruppo linguistico di appartenenza “con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali”.
Come ben osservato dalla prof. Valeria Piergigli in un interessante contributo sul tema, la diversità di approccio era già emersa, in verità, durante i lavori preparatori della Carta costituzionale, allorché venne tracciata in seno alla commissione Forti la distinzione tra “isole linguistiche” e “minoranze etniche e linguistiche” dei territori di confine. Alla percezione delle prime come mero fatto folcloristico faceva riscontro l’attribuzione alle seconde di un preciso rilievo sul piano giuridico e politico che si sarebbe tradotto nel conferimento della autonomia speciale al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta, mentre l’approvazione dello statuto del Friuli-Venezia Giulia veniva rinviata in attesa di dare soluzione alla cosiddetta questione slovena. Per quanto tale distinzione non fosse stata accolta nel testo definitivo dell’articolo 6 Cost., continuò ad interferire negativamente nelle vicende attuative del precetto costituzionale orientando peraltro pesantemente la successiva elaborazione del giudice delle leggi. In particolare, con le sentenze n. 28/1982 e n. 62/1992, la Corte costituzionale, con la progressiva chiarificazione del concetto di “minoranza linguistica riconosciuta” ha infatti contribuito ad avvalorare in sede interpretativa le categorie delineatesi in sede costituente. Le pronunce del giudice costituzionale, d’altro canto, ricevevano impulso e al tempo stesso offrivano sostegno al comportamento ambiguo del parlamento, orientato per molti anni a sottolineare il favore verso le minoranze linguistiche riconosciute e a perseverare in un atteggiamento piuttosto ostile verso le restanti comunità di lingua e cultura minoritaria, relegate allo status di minoranze linguistiche non riconosciute. Queste ultime, distribuite nei territori sia delle regioni ordinarie che speciali, essendo prive di una legge generale di tutela, ricevevano una attenzione alquanto modesta da parte del legislatore statale, potendo contare quasi esclusivamente sulle iniziative dei legislatori locali, i quali si dimostravano dapprima timidi e poi via via più sensibili alla tutela dei patrimoni linguistici delle minoranze e alla promozione degli usi pubblici delle lingue minoritarie. La linea di demarcazione – e discriminazione – tra gruppi linguistici era dunque tracciata sulla base di un riconoscimento formale che trovava fondamento nella esistenza di precisi obblighi internazionali e nella adozione di norme interne di rango costituzionale, nonché di atti normativi statali e regionali in qualche modo connessi agli impegni internazionalmente assunti dallo Stato italiano. Il “riconoscimento” equivaleva a individuare una determinata comunità minoritaria e consentiva di promuoverla da una condizione meramente esistenziale ad una giuridicamente rilevante, così da renderla destinataria di forme speciali di tutela che, nei casi del Trentino-Alto Adige/Sudtirol e della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, giungono fino alla garanzia della parificazione giuridica della lingua minoritaria alla lingua italiana nei rispettivi territori regionali di insediamento storico. Viceversa, il “non riconoscimento” confinava la minoranza linguistica ad uno stadio pregiuridico, di mero fatto, che non le consentiva di beneficiare di misure di protezione dissimili da quelle, generali e generiche, fruibili da qualunque cittadino o individuo, indipendentemente da qualsivoglia appartenenza minoritaria, e tutt’al più di interventi di politica culturale, di preferenza affidati all’iniziativa del legislatore locale.
Pur in assenza di una previsione di rango costituzionale e di un riconoscimento formale, dopo lunghi anni di battaglie e vincendo le più strenue opposizioni, la storica iniziativa politica del Partito sardo d’azione si affermò con l’approvazione della legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26, sulla “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”. La norma – assumendo “l’identità culturale del popolo sardo come bene primario da valorizzare e promuovere” – affermò la “pari dignità rispetto alla lingua italiana” della lingua sarda e, con riferimento al territorio interessato, della cultura e della lingua catalana di Alghero, del tabarchino delle isole del Sulcis, del dialetto sassarese e di quello gallurese. La tutela e la valorizzazione culturale e linguistica vennero inoltre riconosciute dalla Regione come “parte integrante della sua azione politica” da conformare “ai principi della pari dignità e del pluralismo linguistico sanciti dalla Costituzione e a quelli che sono alla base degli atti internazionali in materia, e in particolare nella Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del 5 novembre 1992, e nella Convenzione quadro europea per la protezione delle minoranze nazionali del 1 febbraio 1995”.
Due anni dopo il Parlamento italiano – a distanza di oltre mezzo
secolo dalla previsione dell’articolo 6 Cost. – approvò la legge 15 dicembre
1999, n. 482, recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
storiche”. Premesso che “la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano” la
norma riconosceva finalmente per la “lingua e la cultura delle popolazioni
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il
francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”
specifiche misure di tutela e valorizzazione quali:
– l’uso della lingua minoritaria nelle scuole materne, primarie e secondarie
accanto alla lingua italiana;
– l’uso da parte degli organi di comuni, comunità montane, province e Regione;
– la pubblicazione di atti nella lingua minoritaria fermo restando l’esclusivo
valore legale della versione italiana;
– l’uso orale e scritto nelle pubbliche amministrazioni – escluse le forze
armate e di polizia;
– l’adozione di toponimi aggiuntivi nella lingua minoritaria;
– il ripristino su richiesta di nomi e cognomi nella forma originaria;
– specifiche convenzioni per il servizio pubblico radiotelevisivo.
Tuttavia, l’esperienza applicativa della disciplina normativa testé richiamata ha mostrato per intero l’inadeguatezza dello strumento legislativo ordinario rispetto ad una tendenza piuttosto consolidata ad eludere le norme di tutela e valorizzazione, facendo prevalere i mai sopiti istinti egemonici italianisti sopra la lingua e la cultura sarda. Le recenti vicende relative al dimensionamento scolastico in Sardegna – che non ha tenuto conto delle peculiarità e specificità sarde – ed alla stabilizzazione dei precari della scuola, operata dallo Stato su base nazionale senza alcuna considerazione circa le condizioni di oggettivo svantaggio derivanti dalla condizione insulare per chi si vedrebbe assegnata una cattedra sul resto del territorio continentale, ripropongono con forza anche l’esigenza di dare dignità statutaria ad un assetto dell’istruzione veramente autonomistico, che riposizioni il baricentro delle valutazioni di opportunità e di merito, oltreché di più ampia prospettiva culturale, da Roma a Cagliari.
Nonostante le discriminazioni e le tutele negate nel tempo, i ricorrenti tentativi di umiliarne e cancellarne la storia, la cultura, le tradizioni e l’identità, il popolo sardo rappresenta ancora il gruppo linguistico di gran lunga più numeroso presente nella Repubblica italiana ed un unicum incomprimibile. Oggi tutto ciò è patrimonio condiviso della coscienza nazionale sarda ed è percepito e riconosciuto a livello internazionale anche sotto un profilo normativo con apposite previsioni di tutela e valorizzazione, che continuano a non trovare spazio nella nostra carta autonomistica.
Con la presente proposta di legge si vuole richiamare il Parlamento italiano al dovere di rimuovere tale ingiustificata discriminazione, dando finalmente effettività ed efficacia alle tutele linguistiche, etniche e culturali che competono ai sardi.
TESTO DEL PROPONENTE
Art. 1
Integrazioni allo statuto in materia di lingua, cultura e ordinamento scolastico
1. Dopo il titolo II della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e
successive modifiche ed integrazioni è aggiunto il seguente:
“Titolo II bis (Lingua, cultura e ordinamento scolastico)”.
Art. 2
Uso della lingua sarda
1. Dopo il titolo II bis della legge
costituzionale n. 3 del 1948, come introdotto dall’articolo 1, è inserito il
seguente articolo:
“Art. 6 bis (Uso della lingua sarda)
1. Nel territorio della Regione la lingua sarda è parificata a quella italiana.
2. I cittadini sardi hanno facoltà di usare la propria lingua nei rapporti con
gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione
situati nel territorio regionale, nonché con i concessionari di servizi di
pubblico interesse svolti nella stessa Regione.
3. Nelle adunanze degli organi collegiali della Regione e degli enti locali può
essere usata indistintamente la lingua italiana o la lingua sarda.
4. Gli uffici, gli organi e i concessionari di cui al secondo comma usano nella
corrispondenza e nei rapporti verbali la lingua del richiedente.
5. Nei rispettivi territori, la lingua catalana di Alghero ed il tabarchino
delle Isole del Sulcis godono di analoghe tutele secondo la legge regionale.”.
Art. 3
Toponomastica regionale
1. Dopo l’articolo 6 bis della legge
costituzionale n. 3 del 1948, come introdotto dall’articolo 2, è aggiunto il
seguente:
“Art. 6 ter (Toponomastica regionale)
1. La toponomastica nel territorio regionale è tenuta nel rispetto ed a
salvaguardia dei toponimi locali in lingua sarda e, con riferimento alle aree
interessate, in lingua catalana ed in tabarchino.
2. L’accertamento dell’esistenza e dell’ortografia dei toponimi locali è
deliberato, su istanza degli enti locali interessati e previa idonea
istruttoria, dalla Giunta regionale.”.
Art. 4
Criteri di priorità
1. Dopo l’articolo 6 ter della legge
costituzionale n. 3 del 1948, come introdotto dall’articolo 3, è aggiunto il
seguente:
“Art. 6 quater (Criteri di priorità)
1. Le amministrazioni statali, le autonomie funzionali e i concessionari di
servizi di pubblico interesse ubicati nel territorio della Regione assumono in
servizio prioritariamente dipendenti originari della Sardegna o che conoscano la
lingua sarda.”.
Art. 5
Insegnamento della lingua sarda
1. Dopo l’articolo 6 quater della
legge costituzionale n. 3 del 1948, come introdotto dall’articolo 4, è aggiunto
il seguente:
Art. 6 quinquies (Insegnamento della lingua sarda)
1. L’insegnamento nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo
grado, nei licei e negli istituti tecnici e professionali è impartito nella
lingua materna italiana, sarda, catalana o tabarchina degli alunni da docenti
per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna, secondo classi omogenee
formate sulla base delle richieste di iscrizione da parte degli interessati.
2. Nelle scuole primarie e secondarie di primo grado è obbligatorio
l’insegnamento della seconda lingua, diversa da quella materna con la quale è
impartito l’insegnamento ai sensi del primo comma.
3. Per l’amministrazione della scuola in Sardegna è istituita una autonoma
Sovrintendenza scolastica regionale, cui compete altresì la verifica ed il
coordinamento dei programmi di insegnamento e di esame delle autonomie
scolastiche regionali, nonché il relativo dimensionamento. La Giunta regionale
nomina il sovrintendente scolastico della Sardegna.
4. Ferma restando l’imputazione al bilancio dello Stato dei relativi costi, il
personale insegnante e il personale amministrativo delle scuole di ogni ordine e
grado, della Direzione scolastica regionale e degli uffici scolastici
territoriali passa alle dipendenze ed è soggetto al coordinamento e controllo
della Sovrintendenza scolastica regionale, che lo organizza anche mediante
strutture decentrate sul territorio secondo criteri di efficienza ed efficacia.
5. È riconosciuta l’equipollenza dei titoli di studio conseguiti all’esito dei
percorsi di istruzione di cui al primo comma in lingua sarda, catalana o
tabarchina.”.