Un ringraziamento sentito al Presidente Scanu e a tutta la Commissione per l’attenzione rivolta al problema degli effetti dell’utilizzo per fini militari dell’uranio impoverito.
Ho ben chiaro il compito che vi è stato dato e che non spetta a questa commissione chiudere i poligoni.
Ma non è un caso che la commissione si trovi qui in Sardegna, perché la nostra è la regione d’Italia nella quale si concentrano oltre il 60% delle servitù militari e dove hanno sede tre poligoni di tiro: Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra.
In particolare, il Poligono Interforze Salto di Quirra, è il poligono sperimentale più grande d‘Europa; le attività addestrative svolte al suo interno, dal 1956 ad oggi, vanno dai lanci di missili aria-terra, terra-mare fino a sperimentazioni di vario genere svolte sia dagli eserciti di Paesi alleati che da aziende produttrici di armi e a quelle non meno pericolose di quelle militari svolte dal CSM, centro sviluppo materiali.
Ritengo inutile, però, fare un elenco di dati e numeri che a voi sono ben noti e mi limiterò a ribadire, in modo chiaro e inequivocabile, la volontà dei sardi espressa con chiarezza dal Consiglio regionale che lo rappresenta con atti che si perdono nella notte dei tempi a partire dal protocollo d’intesa del 1985 Melis-Spadolini.
E’ di giugno del 2014 l’ultimo atto del Consiglio con cui si ribadisce la richiesta, cito testualmente, “della progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni”.
Nessun dubbio e nessun ripensamento su questo. Dal 1956, anno in cui sono stati insediati la maggior parte dei poligoni di tiro sul territorio nazionale, ad oggi i tempi sono certamente mutati, così come sono cambiate le esigenze strategiche e geopolitiche dell’Italia e degli alleati della Nato.
A tal proposito ho apprezzato e mi rassicurano le dichiarazioni del Presidente Scanu e il suo impegno a muoversi nel solco del documento conclusivo della corrispondente commissione al Senato della scorsa legislatura, votato all’unanimità, che propone la riconversione del Salto di Quirra e la graduale chiusura di Capo Frasca e Capo Teulada.
A ciò si aggiunga la necessità non più derogabile dell’avvio di monitoraggi indipendenti sui danni sanitari e di salute pubblica legati alla presenza dei poligoni militari e l’istituzione di osservatori permanenti indipendenti per il monitoraggio ambientale al loro interno.
La Regione Sardegna si vuole far carico di questo compito e ha individuato nell’ARPAS l’organismo regionale deputato a queste attività, presentando formale richiesta al governo, senza ottenere ad oggi nessuna risposta.
Non è più tollerabile l’omissione sui rischi e le conseguenze delle esercitazioni e di tutte le altre attività effettuate nei poligoni sardi.
Da anni oltre ai problemi legati alla sottrazione di sovranità sulle aree interdette si sono sovrapposti complessi e delicati motivi di ordine igienico-sanitario su cui anche questa Commissione è stata chiamata ad indagare.
Oggi siamo ben oltre il semplice sospetto di una nesso di causalità tra l’uranio impoverito e le malattie che hanno colpito i nostri militari: è infatti del maggio 2015 la sentenza della Corte d’Appello del Tribunale di Roma, che condanna in secondo grado il Ministero della Difesa a risarcire 1 milione e 300mila euro alla famiglia di un sottufficiale deceduto per un tumore contratto durante una missione in Kosovo, tra il 2002 e 2003, attestando che «esiste, in termini di inequivoca certezza, un nesso di causalità tra l’esposizione alle polveri di uranio impoverito e la patologia tumorale».
E in ogni caso in materia di salute pubblica deve valere il principio di precauzione; deve essere lo Stato a dimostrare che le attività dei poligoni non minacciano la salute dei sardi e non dunque i sardi a dimostrare che con i poligoni ci si ammala e si muore.
Questo ci porta a chiedere con ancora più determinazione studi epidemiologici e monitoraggi ambientali e a ritenere insensate e irriguardevoli verso le vittime e verso i sardi ogni affermazione che frappone allo smantellamento dei poligoni le necessità della difesa nazionale.
Le aree gravate da servitù militari devono essere riconsegnate nella disponibilità dei sardi che su quelle aree devono poter ricostruire il proprio destino di pace.
Non dobbiamo ripetere gli errori commessi alla Maddalena dopo la dismissione della base USA ma ciò che è più importante, sulla Maddalena, voglio ribadire il dettato dell’ordine del giorno approvato il 18 febbraio del 2015 dal Consiglio regionale, laddove si esprime la ferma contrarietà all’imposizione della servitù militare a protezione del deposito di munizioni di Guardia del Moro. La richiesta di riesame del decreto è ad oggi senza risposta.
Anzi, senza alcun coinvolgimento del governo regionale né tanto meno delle comunità locali, viene disposta la ‘Riconfigurazione – ossia l’ampliamento- del pontile sud dell’Isola di Santo Stefano alla Maddalena.
Le proteste dei pescatori di questi giorni nell’oristanese sono il simbolo di due modelli di sviluppo che non possono più coesistere e non è più solo una questione di indennizzi, che ovviamente vanno riconosciuti, perché si rivendica il diritto alla sovranità sui propri territori.
In particolare, in riferimento al caso di Marcedì, denuncio che la modifica dell’area di sgombero a mare del poligono di Capofrasca era stata già individuata e approvata dal Co.Mi.Pa. nel 2001 per poi essere arbitrariamente e unilateralmente cancellata nel 2005.
Ci auguriamo che questa commissione possa scrivere la parola fine sulle penose vicende di Capofrasca, di Guardia del Moro, di Quirra e su tutte quelle che caratterizzano l’operare nei poligoni della Sardegna, restituendo così ai sardi territorio, salute, dignità e speranza.
Ed è per queste ragioni che oggi affermo con nettezza l’esigenza politica di un addendum al Patto per la Sardegna che scriva il piano per la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la totale dismissione dei poligoni, nonché determini la compensazione economica dei danni ambientali, sanitari ed allo sviluppo subiti a causa del gravame militare, insieme con le risorse necessarie per le bonifiche e la riconversione dei siti, così come chiesto dal Consiglio regionale il 17 Giugno del 2014.
Gianfranco Ganau
Presidente Consiglio regionale della Sardegna