Il seminario sulla “qualità della legislazione”, promosso dalla Giunta regionale, può essere utile per mettere a fuoco, nella nostra Regione, una tematica su cui si è per molti anni dibattuto, all’apertura di una nuova stagione chiamata – in molti campi – ed anche in questo – a conseguire risultati operativi.
Il tema della qualità della legislazione rappresenta una grande questione di carattere istituzionale e politico che abbraccia molti aspetti: la chiarezza e la comprensibilità dei testi, una produzione legislativa eccessiva caratterizzata dalla frammentarietà e dalla disorganicità. Tutte questioni che riguardano innanzitutto gli attori del procedimento legislativo (Assemblea ed Esecutivo), ma che si riflettono negativamente nella società, giacchè rappresentano un costo per cittadini, famiglie, imprese e pubblica amministrazione.
La qualità delle leggi è quindi un obiettivo che gli Organi della Regione devono assolutamente maturare nei prossimi anni.
Il Consiglio Regionale è consapevole di dover svolgere il ruolo nuovo che l’ordinamento sembra sempre più assegnargli proprio a partire dalla sua funzione fondamentale: appunto quella normativa. Tale funzione – come questo stesso seminario sembra voler sottolineare – dovrà caratterizzarsi soprattutto in direzione della semplificazione e della efficacia delle proposte regolative.
La nostra Assemblea ha maturato negli anni l’esigenza di strumenti sempre più moderni ed efficaci in questa direzione.
Possiamo ricordare che in passato i metodi per garantire, attraverso il loro controllo, l’effettività delle attività amministrative, e quindi la “buona riuscita” delle leggi, si sono espressi in senso accentuatamente tecnico (nei voluminosi rapporti di attuazione degli interventi dei Piani di Rinascita) o di tradizione parlamentare (le relazioni di Giunta previste dalle leggi, le indagini, le interpellanze e interrogazioni).
Ma proprio dal nostro Consiglio Regionale sono venute, negli ultimi decenni, alcune fra le proposte più forti per definire, anche sul piano nazionale e del sistema regionale, nuove prassi operative in direzione appunto dell’effettività e della qualità della regolazione pubblica.
Possiamo infatti ricordare il convegno di Palermo dell’ ’89 su “Fonti normative e fattibilità delle leggi”; o quello di Cagliari del ’98, sull’ ”Istruttoria legislativa”, cui parteciparono i vertici burocratici di Camera e Senato.
Tali sedi di riflessione politica e culturale si sono tradotte in iniziali proposte e prassi operative: ricordo qui l’adozione del manuale per l’analisi di fattibilità delle leggi da parte del nostro Ufficio di Presidenza; l’inserimento di un articolo nel Regolamento dell’Assemblea (il n. 47) che prevede un ”Rapporto di verifica”, cioè l’illustrazione dell’esito delle leggi in Commissione, ogni anno, da parte degli Assessori (peraltro attuato solo una volta); la partecipazione attiva alla redazione dei Rapporti annuali sulla legislazione da parte della Camera; l’adesione recente al progetto “Capire”, con il quale le Regioni si propongono di costruire un sistema di strumenti per “misurare”, come si dice, “ex ante” ed “ex post”, l’esito delle leggi; e cioè, per esempio, l’inserimento di clausole valutative nelle diverse fonti o la previsione di sedi e tempi definiti per la cosiddetta “valutazione delle politiche pubbliche”.
Sottolineo infine che la più recente riforma del Regolamento interno del Consiglio, ha introdotto un nuovo organo, all’art. 19 bis, la “Commissione di verifica”, con il compito di garantire l’effettività dei poteri di indirizzo e controllo dell’Assemblea.
Il passo successivo che il Consiglio dovrà a breve affrontare, in questa occasione peraltro già approfondito da autorevoli studiosi, è quello del fondamento delle regole sulle tecniche legislative, cioè di quale grado di vincolatività si voglia attribuire a queste regole, e su questo punto ritengo che sia da percorrere la strada della legge statutaria, come peraltro già previsto nel relativo disegno di legge presentato al Consiglio.
Tuttavia sarà da esaminare con cautela la decisione su quali regole e principi affidare appunto alla legge statutaria e quali invece lasciare alla normazione ordinaria o al regolamento consiliare, per definire in che misura cioè è opportuno dettare norme vincolanti oppure lasciare maglie più larghe per consentire una maggiore discrezionalità ed evitare di incorrere nella delegittimazione delle regole. E su questo aspetto a mio avviso è necessaria una ulteriore riflessione, per calibrare al meglio la diversa ripartizione delle fonti. Ci proponiamo perciò di organizzare su tali problemi, d’intesa con la Commissione consiliare competente, un seminario di approfondimento.
Da quanto fin qui detto emerge con tutta evidenza la necessità impellente di un raccordo fra i due livelli istituzionali, legislativo ed esecutivo, evitando che procedano ognuno per proprio conto, ma tenendo sempre ben chiaro che si tratta di strutture e procedure differenti, presso istituzioni indipendenti e con derivazioni politiche distinte.
Devono quindi essere individuati degli strumenti di collaborazione, si può pensare ad un protocollo d’intesa fra le strutture della Giunta e del Consiglio coinvolte nel processo legislativo, come già alcune regioni come l’Emilia, la Lombardia, il Piemonte hanno fatto, che miri all’adozione di metodologie comuni, innanzitutto il manuale nell’ultima versione, prevedendo l’automatico recepimente degli aggiornamenti.
Tra le cose da fare subito dovrebbe esserci intanto l’attuazione dell’articolo 47 del Regolamento consiliare e quindi la presentazione di aggiornati “Rapporti di verifica”, da parte di tutti gli Assessori alle Commissioni consiliari, sullo stato di attuazione delle leggi di loro competenza, e sui problemi nuovi che in proposito sarebbe necessario affrontare.
Parallelamente gli uffici del Consiglio potrebbero produrre delle sintesi critiche sullo stato di regolazione di un campione di competenze regionali qualificate, nel rapporto con quelle nazionali e dell’Unione europea, al fine di definire un quadro aggiornato dell’attuale sistema delle fonti normative, anche in vista della scrittura del nuovo Statuto.
Ma ritengo opportuno focalizzare l’importanza dell’istruttoria legislativa, e quindi dei lavori nelle commissioni, come momento nel quale può essere migliorata la qualità del lavoro dei legislatori.
E’ in sede di Commissione infatti che si svolge quella delicata fase istruttoria in cui si confrontano maggioranza e opposizione e si ha una riflessione ponderata dei contenuti normativi, con l’acquisizione degli elementi utili alla decisione.
E’ sempre quella sede ristretta la più appropriata per raggiungere norme chiare ed efficaci e fin da oggi, anche in assenza di riforme, una compiuta ed esauriente attività conoscitiva in Commissione può migliorare la qualità del lavoro legislativo.
A livello parlamentare vi è stata una lunga e approfondita elaborazione sulle procedure da seguire in sede istruttoria. Si è pervenuti ad una disciplina particolarmente dettagliata, contenuta in una circolare – che costituisce un utile modello per tutte le Assemblee – nella quale sono stati identificati i momenti salienti da seguire nella fase dell’iter legislativo in commissione, le valutazioni e le verifiche da compiere ai fini del perseguimento di un testo legislativo chiaro ed efficace.
E’ evidente che tutti gli elementi conoscitivi provenienti sia dall’organo di governo, che possiede la documentazione e i dati sulla situazione nella quale viene a incidere l’intervento legislativo, sia da audizioni dei soggetti interessati, devono esser messi a disposizione dei Commissari.
Questo peraltro può essere solo un primo passo di un percorso complesso, che potrà essere portato a esiti adeguati anche integrando e variando il tipo di competenze professionali che dovranno servire di supporto, d’ora in poi, alla preparazione delle norme.
E’ questo un problema molte volte evocato, che dovrà finalmente essere affrontato e risolto.
Tanto la Giunta quanto il Consiglio dovrebbero cioè rapidamente dotarsi di specifici apporti tecnici, capaci di garantire l’effettività dei risultati prefigurati dalle norme, un nuovo tipo di “legalità sostanziale” che i cittadini sempre di più esigono, come diritto fondamentale.
Il Governo regionale potrebbe così superare una lunga stagione in cui molti disegni di legge sono stati concepiti in modo occasionale, a volte con una struttura frammentaria e un accostamento di contenuti eccessivamente differenti, che ne rendevano difficile la trattazione in Consiglio e poi la conoscibilità sociale.
Ma particolarmente l’Assemblea regionale dovrà operare con un nuovo, diverso impegno per costruire strutture capaci di garantire efficaci forme di approfondimento conoscitivo sul contenuto dei testi normativi, sia per la verifica di quelli proposti dalla Giunta, sia per permettere alle Commissioni, ai Gruppi, ai singoli consiglieri una più matura analisi dei problemi e quindi una più efficace produzione normativa.
Va sottolineato che il rafforzamento del ruolo conoscitivo, di controllo sull’operatività dell’Amministrazione, di verifica sugli esiti delle leggi e delle politiche pubbliche da parte del Consiglio regionale, risponde ad un’esigenza nuova, d’ordine costituzionale.
L’elezione diretta del Presidente della Regione – come dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia – ha di fatto accentuato il principio di separazione dei poteri nel nostro ordinamento. Ma, appunto, perché le Assemblee elettive rappresentino realmente un potere autonomo e forte – e non una mera camera di compensazione delle decisioni degli esecutivi – occorre che siano dotati di strumenti organici e originali che permettano loro di elaborare in proprio progetti normativi, indirizzi programmatori, politiche complessive e, soprattutto, ordinariamente, di verificare realmente l’efficacia delle leggi, gli esiti del “diritto regionale”.
Tutto ciò implica, anche per la nostra Assemblea, la necessità di disporre di un proprio sistema di acquisizioni conoscitive che superi il sistema di “informative” da parte della Giunta o di semplici audizioni. In questo senso – ripeto – la nostra adesione al progetto interregionale definito “Capire” rappresenta una scelta di metodo iniziale che in futuro – anche in rapporto alla specialità dell’autonomia sarda – potrà sviluppare ulteriori contenuti.
Evidentemente non è un rinnovamento meramente tecnico quello così prefigurato e intrapreso: una nuova cultura della normazione potrà contribuire anche a far crescere, in generale, la ricchezza e la credibilità della nostra autonomia, nelle sedi istituzionali come nella complessità del tessuto sociale.