La guerra che si combatte da quattro anni in Siria ha trasformato un paese che accoglieva i rifugiati in un paese di profughi, ostaggio di bande islamiche di criminali, dilaniato da una guerra civile. Il popolo siriano ha resistito e sopportato di tutto e ora ha perso ogni speranza.
Non si può parlare di migrazione, facendo finta di non sapere che questo esodo è determinato da scelte geopolitiche degli ultimi 35 anni; se si nasconde che questa crisi abbiamo contribuito noi a crearla, se non altro per avere dato appoggio morale e intellettuale a questi barbari assassini. Per anni abbiamo accettato di raccontare di democratici ribelli che combattevano in Siria per la democrazia, come ribelli anti Assad. Oggi ne piangiamo le vittime.
Ricordate “la liberazione” dell’Iraq costata la vita a 600.000 persone o della Libia trasformata da paese laico in un focolaio di terroristi fondamentalisti? O negli anni ottanta i talebani in Afganistan che hanno sì combattuto i russi, ma hanno trasformato un paese laico in un paese teocratico e fondamentalista?
La Politica non può limitarsi a cercare soluzioni dignitose di accoglienza, ma deve avere il coraggio di porsi il problema della pacificazione delle aree.
L’Europa si faccia artefice di una politica internazionale autonoma e ragionata. L’Isis potrebbe essere spazzato via impedendo il rifornimento di armi e combattendo il commercio clandestino di petrolio con un’azione coordinata tra Europa e Stati Uniti, e con una pressione forte nei confronti dei nostri alleati in Medio Oriente, nella consapevolezza che questa è una crisi che non interessa perché è dell’Europa il problema dei rifugiati di guerra.
L’Europa, e l’Italia per prima, sono state la culla della democrazia, ma oggi ne affrontiamo la crisi: quello che rimane è una democrazia a bassa intensità nell’assicurare i diritti umani per chi attraversa i luoghi e non luoghi nella più piena solitudine.
Una democrazia che si vendica sgambettando un padre che corre per dare un futuro di speranza ai propri figli, una democrazia che non chiude gli ombrelloni davanti ad un angelo riverso su una spiaggia. Che riflette il proprio egoismo punendo le differenze, che sta perdendo umanità, che volta le spalle al futuro e che getta in mare corpi e speranze.
Una democrazia a bassa intensità che tiene il manganello in una mano e l’altra nel portafoglio dei migranti.
La politica ha il dovere di essere chiara e mai ambigua, perché lo smarrimento e la mancanza di un’azione compiuta, alimentano le paure.
Spetta a noi essere capaci di ricostruire una democrazia che cammini a testa alta, a noi il coraggio di teorizzare i diritti e i doveri dei migranti, e parlare del ruolo che questi possono svolgere per lo sviluppo del nostro Paese.
La Sardegna non si sottrae ai suoi doveri di solidarietà e si interroga su come affrontare il problema con una visione che non può essere quella del proprio mandato elettorale. Sono allo studio programmi funzionali all’integrazione, corsi di lingua, inserimenti dei bambini stranieri a scuola e attività sociali di coinvolgimento nella vita attiva delle comunità.
La Sardegna è una regione scarsamente popolata dove le proiezioni demografiche dicono che nei prossimi 30 anni perderemo 500.000 abitanti; uno squilibrio di un 50% di popolazione lavorativa a fronte di un 50% inattiva, dove solo il 15% della terra irrigua è coltivata e dove i migranti potrebbero essere un‘opportunità e una risorsa per combattere lo spopolamento.
Nessuna perdita di identità dunque ma nuovi sardi figli di coppie miste, come valore aggiunto.
Costruire politiche di accoglienza significa creare opportunità per entrambe le parti. Questo non ci sottrae dall’affrontare l’oggi con le necessità dei sindaci di non sentirsi soli nella mediazione con la comunità, con le difficoltà economiche delle amministrazioni a sopportare il costo di politiche reali di integrazione, nella creazione di una pacificazione sociale che impedisca una guerra tra disperati.
Non si può usare l’isola come un carcere senza muri ma è necessario programmare i flussi in modo da evitare di costringere qui migranti che non vogliono restare e sicuramente garantire a chi vuole lasciare la Sardegna di farlo in condizioni dignitose.
Gianfranco Ganau
Presidente Consiglio regionale della Sardegna