Dopo l’approvazione da parte di dieci consigli regionali della richiesta di referendum per l’abrogazione di alcune norme del “decreto Sviluppo” del 2012 e dello “Sblocca Italia”, oggi la Sardegna consegna insieme al la Basilicata, alle Marche, il Molise, la Puglia, l’Abruzzo, il Veneto, la Calabria, la Campania e la Liguria in Corte di Cassazione i sei quesiti previsti, supportati dagli atti di approvazione delle singole Assemblee legislative.
Il referendum riguarda norme inerenti le autorizzazioni a progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi, tema che nella semplificazione comune è ricondotto al termine generico di “trivellazioni”.
Il referendum interviene nello specifico su alcune norme del Decreto Monti, in particolare quelle contenute nell’art.35 che estendono il divieto di trivellazione in mare alle 12 miglia e contemporaneamente riattivano i procedimenti bloccati dal governo Berlusconi: un totale di venticinque progetti che prevedono attività di ricerca ed estrazione entro le 12 miglia ai quali se ne aggiungerebbero altri, compreso uno, decisamente più impattante, destinato ad esplorare i fondali del mare Adriatico per 30 mila chilometri quadrati.
Il senso dell’azione referendaria è il blocco di tutti i progetti in essere e la sua approvazione farà sì che il divieto sia assoluto e non superabile, in quanto non potrà più essere introdotta alcuna norma che lo consenta.
L’abrogazione di alcune norme dell’art. 37 del decreto “Sblocca Italia” pone invece l’attenzione su un altro tema legato alla “questione democratica”: la partecipazione delle regioni, dei territori e delle popolazioni alle decisioni assunte dallo Stato su temi che li riguardano da vicino come la pianificazione di studi, la ricerca e l’estrazione di idrocarburi.
La Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali, promuovendo all’unanimità l’iniziativa, e le assemblee legislative che hanno dato seguito, forza e gambe con l’ approvazione delle delibere consiliari ai sei quesiti referendari, hanno voluto ribadire con forza il proprio no ad ogni intervento di piattaforme petrolifere entro le 12 miglia in mare e il proprio pieno titolo e diritto ad esprimersi su progetti di grande impatto ambientale, che interessano i loro territori e le loro popolazioni, riaffermando il ruolo delle regioni e dei suoi rappresentanti eletti. Un messaggio chiaro e inequivocabile che rafforza il progetto di regionalismo differenziato che le Assemblee legislative e non solo quelle a Statuto speciale, stanno portando avanti contro ogni semplificazione centralistica che oggi pare prevalente.
Si è posto in questi giorni l’accento sul fatto dell’inutilità per la Sardegna a procedere con il referendum perché non interessata da alcun progetto di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Eppure i quesiti posti all’attenzione dei cittadini riguardano anche i tratti di mare di quelle regioni che al momento non hanno procedimenti in corso perché il risultato complessivo se le norme citate venissero abrogate, sarebbe quello di non volere né nuove ricerche né nuove estrazioni di idrocarburi entro le acque territoriali.
Così come appare assolutamente strumentale confondere l’impugnativa del Decreto “Sblocca Italia” con i quesiti referendari. Gli interventi si muovono su piani differenti, il referendum agisce sul piano del merito politico delle scelte effettuate dal legislatore, i ricorsi sul piano della legittimità costituzionale di quelle scelte difficilmente contestabili.
L’esito positivo del referendum impedirebbe al Parlamento o al Governo di reintrodurre la norma che consente ai procedimenti in corso di concludersi e di rimuovere il limite, applicabile ovunque, della ricerca e dell’estrazione entro le dodici miglia marine: l’obiettivo proposto è esattamente quello di far sì che il divieto di estrarre idrocarburi, entro le acque territoriali, sia assoluto. Diversamente – e cioè qualora non si arrivasse ad un pronunciamento popolare di segno positivo – la rimozione del divieto sarebbe in ogni momento possibile.
Gianfranco Ganau
Presidente del Consiglio regionale della Sardegna