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L’intervento del presidente Ganau in commissione bicamerale per le Questioni regionali

Un ringraziamento al Presidente D’Alia e a tutta la commissione per l’ulteriore l’opportunità che ci viene offerta dopo l’audizione del 23 Aprile scorso del Presidente Iacop a nome del coordinamento dei Presidenti delle assemblee delle autonomie speciali.
Coordinamento che il 18 Maggio ha prodotto un documento che oggi verrà sottoposto all’attenzione e all’ approvazione anche dei Presidenti delle Regioni ordinarie e che sarà nostra cura farvi avere.
 La Commissione per le questioni regionali sta compiendo un lavoro di indagine molto apprezzabile che insieme ad alcuni elementi puntuali del rispetto e dell’attuazione degli statuti speciali, fino a oggi forse sottovalutati dal Parlamento, ha progressivamente messo a fuoco le questioni di fondo della autonomia speciale. La scelta di sentire le singole regioni e per ciascuna anche i consigli regionali attesta come si sia colta la rilevanza del tema, la sua specificità per ciascuna autonomia, l’esigenza di acquisire un quadro articolato delle diverse sensibilità.
A tal fine è necessario, fermo restando le riflessioni di carattere generale già agli atti di questa Commissione, partire dalle ragioni della specialità dell’autonomia della Sardegna.
È questa una premessa indispensabile oltre che una chiave di lettura ineludibile delle questioni che vengono proposte.
Le ragioni della specialità della Sardegna sono non solo attuali ma per certi aspetti, oggi, ancora più evidenti e incisive e appaiono più profonde e marcate che altrove, trovando motivazioni in cause oggettive e non modificabili, di carattere geografico oltre che storiche, politiche e istituzionali.
Esse vanno in primo luogo individuate nell’essere isola e nelle conseguenze che l’insularità e la perifericità dal sistema nazionale hanno prodotto e purtroppo continuano a produrre. Dall’insularità discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, ambientali indubbiamente da valorizzare e declinare in positivo ma, è evidente, che tale condizione comporta un gravissimo distacco nella capacità di fruire servizi alla comunità rispetto al resto della nazione ‘continentale’.
La Sardegna, proprio a causa di questo, è esclusa da tutti i sistemi di rete nazionali ed europei con gravissime conseguenze e penalizzazioni.
Nel campo energetico è l’unica regione italiana a non poter fruire di energia a basso costo (metano), con conseguente grave penalizzazione e maggiori costi per  le attività produttive e i cittadini.
E’ l’unica regione italiana senza un autostrada, con un indice infrastrutturale (strade, ferrovie, porti,aeroporti) pari a 50, fatta 100 la media nazionale. Indice che se riferito al sistema ferroviario scende al 17,4 su 100. Di conseguenza  il 75% del totale dei trasporti (persone e merci) si svolge su gomma e su una struttura stradale fortemente inadeguata.
A questo si aggiunge l’assenza di continuità territoriale con il resto della nazione, in particolare quella aerea, che si somma agli alti costi di quella marittima.
L’extra tempo di trasporto per merci e passeggeri è calcolato in oltre 16 ore in inverno e 5,30 ore in estate, costituendo, unitamente al costo aggiuntivo, un’ ulteriore condizione sfavorevole per ogni tipo di attività produttiva ed economica (inclusa quella turistica). Ragion per cui la Sardegna si colloca all’ultimo posto nella graduatoria nazionale per possibilità di insediamento produttivo e di sopravvivenza nel tempo delle attività insediate.
Ancora la nostra regione sopporta il 68% del totale delle servitù militari dell’intera nazione con conseguente forte limitazione della sovranità territoriale e delle possibilità di sfruttamento e valorizzazione di vaste ed importanti aree.
A tal proposito permettetemi di cogliere l’occasione di un’assise così qualificata, per ribadire la non più rinviabile necessità di ricontrattare in diminuzione il peso delle servitù militari ed il più fermo no dell’assemblea legislativa, che rappresento, della Giunta e dell’intero popolo sardo, ad ogni ipotesi di realizzazione del deposito nazionale di scorie nucleari nella nostra isola.
 Sotto questo profilo la questione della specialità oggi si pone come una vera e propria questione di diritti di cittadini, prima ancora che di rapporti fra istituzioni e merita perciò di essere declinata e valorizzata quale strumento per la parità di condizioni fra cittadini italiani del continente e cittadini dell’Isola.
A queste motivazioni si sommano quelle di carattere identitario, fortemente sentite dal popolo sardo, ad iniziare dalla questione linguistica, oggetto proprio dell’ultima norma attuativa, oggi all’attenzione del Consiglio per il previsto parere. Peculiarità in positivo, dicevamo appunto, che richiederebbero non solo di essere riconosciute ma anche salvaguardate e promosse con risorse aggiuntive.
Anche questi aspetti evidenziano l’esigenza di politiche a forte caratterizzazione regionale che solo la Regione può esprimere e rappresentare adeguatamente.
 Non va infine trascurato il ruolo svolto dalle istituzioni autonomistiche regionali dal dopoguerra ad oggi.
Esse hanno rafforzato un diffuso sentimento autonomistico, il senso di appartenenza ad una comunità regionale, la considerazione del territorio dell’Isola, coi suoi peculiari caratteri quale patrimonio comune, la consapevolezza delle radici identitarie.
Al di là dei limiti e delle difficoltà che investono oggi tutte le istituzioni regionali, la Regione è percepita ancora oggi in modo diffuso e condiviso come istituzione (esclusiva) di rappresentanza ed espressione della specialità (sia in un’ottica contestativa verso lo Stato, sia in un’ottica di responsabilità verso la comunità regionale). Per i cittadini come per le stesse autonome locali la Regione è il naturale riferimento e l’interlocutore principale in relazione a tutte le politiche comprese quelle di competenza statale.
Caso forse unico nel panorama nazionale, la nascita della Regione autonoma ha concorso a creare quello spiccato senso identitario che fa oggi dei sardi un popolo.
Le istanze autonomiste, con varie sfumature (federaliste, sovraniste, indipendentiste) sono oggi in netta ripresa ed ampiamente rappresentate sia in consiglio regionale, sia nelle istituzioni locali, sia nella popolazione, che vede spesso nell’insufficiente facoltà di autodeterminazione uno dei limiti più gravi al proprio sviluppo.
Senza enfatizzare il ruolo di tali tendenze nel panorama politico e sociale, non si può eludere il fatto che l’autonomia regionale con le sue peculiarità è vista come il naturale canale su cui incentrare le forze di riscatto e di crescita politica e sociale.
E’ condivisa la convinzione che senza l’autonomia le istanze dei sardi e la peculiarità della loro condizione rimarrebbero senza rappresentanza e ininfluenti rispetto a un continente ed uno Stato sempre più attratto da politiche ed interventi a carattere europeo ed internazionale.
Per questo le ragioni della insularità devono essere rappresentate e valorizzate presso la Unione europea.
In questo quadro riteniamo che lo statuto sardo mantenga inalterato il significato che dal 1948 gli viene attribuito che, evidentemente costituisce una vera e propria necessità.
Quando dunque si pone la questione di un adeguamento degli Statuti secondo noi è a questa problematica che occorre riferirsi e non tanto ad una omogeneizzazione al quadro nazionale che sarà pure possibile e per taluni aspetti da perseguire.
La Sardegna punta però all’ attualizzazione dello Statuto e quindi ad una attività adeguatrice della specialità, perché ad essa lega il destino del proprio progresso e della propria crescita civile e sociale.
In questo quadro le norme di attuazione appaiono uno strumento utile e collaudato. Se correttamente utilizzate possono favorire una compiuta attuazione della specialità e una corretta ripartizione di funzioni, specie se inserite in un quadro di indirizzo condiviso e di reciproco affidamento fra Governo e Regione.
Ma attenzione, la mancanza di norme di attuazione non può essere un freno all’attuazione degli statuti. Oggi è chiarito che non sempre sono necessarie  ed è pacifico che la questione  è soprattutto di ordine finanziario. Negli ultimi anni, nella fase ormai lunga della crisi economica, delle politiche restrittive di spesa e del patto di stabilità il confronto fra Stato e Regioni sempre più si incentra sul dato delle risorse e delle modalità opportune di razionalizzazione della spesa senza incidere oltre misura sulle funzioni e sui servizi. Il Governo ha assunto spesso iniziative unilaterali, poco rispettose della specialità ed anche del particolare percorso avviato dal 2006 con la Sardegna sulla modifica dell’art. 8 dello Statuto.
Ebbene in questo caso lo statuto è chiarissimo e si tratta di norme dello statuto che devono essere modificate con legge statale sentita la Regione; pertanto le norme di attuazione potranno riguardare al più aspetti meramente attuativi e applicativi. Eppure si sono aperti contenziosi ultradecennali addirittura dopo la definizione degli accordi. E’ evidente che in questo caso il problema non è stato di ordine formale, ma sostanziale.
Certo l’esperienza sin qui maturata suggerisce per le norme di attuazione una revisione dei meccanismi che affini alcuni passaggi rendendoli vincolanti e cadenzati soprattutto in relazione all’obbligo di esame da parte del Consiglio dei Ministri, tuttavia, occorre tenere presente che il nodo centrale è e rimane di ordine politico e riguarda la effettiva esistenza di volontà comuni alle due parti. Non è semplice individuare sanzioni giuridiche adeguate per comportamenti che hanno forte contenuto politico.
Per quanto attiene l’esigenza di collegamento tra rappresentanti della Commissione paritetica  e la  Giunta, che li nomina, si tratta di un rapporto fiduciario ed anche diretto. Ormai da diverse legislature uno dei componenti della commissione paritetica è sempre il Direttore generale della Presidenza della Regione: per il suo ruolo  assicura un collegamento diretto e continuo con la Giunta regionale e il contributo delle strutture e delle competenze della Regione.
 Il rapporto tra Giunta  e Consiglio, pur soffrendo dei noti limiti e contraddizioni dell’attuale assetto istituzionale, non ha visto scollamenti o ritardi nell’espressione del parere sulle norme definite dalla Commissione, così come previsto dal nostro Statuto.
La clausola di salvaguardia che prevede la sopravvivenza degli statuti e la loro modifica ed adeguamento alle disposizioni previste dalla riforma della Costituzione, appaiono dettate più da una necessità di portare a termine rapidamente la riforma generale, evitando le lungaggini previste dalle norme per la revisione degli statuti, piuttosto che da una reale volontà di salvaguardia e ripensamento del ruolo delle autonomie.
In questo quadro il percorso di revisione degli statuti, se non correttamente interpretato, comporta un effettivo rischio di appiattimento piuttosto che rivalutazione e ammodernamento della specialità regionale. Come già evidenziato nel documento presentato dal coordinamento dei presidenti delle assemblee delle autonomie speciali l’ attuazione degli statuti speciali può rappresentare una chance per l’intero fronte regionale; le autonomie speciali intendono interpretarla in questa chiave.
Naturalmente occorrerà che da parte dei soggetti interessati (Stato e Regione) ci si muova in un’ottica di leale collaborazione e che vi sia la volontà comune di rafforzare e supportare le regioni di fondo della specialità.
La Regione Sardegna ha per esempio da subito adottato, in accordo col Governo, i principi di omogeneizzazione degli ordinamenti contabili senza attendere le norme di attuazione e così altri aspetti di ammodernamento e trasparenza del sistema possono essere recepiti (e infatti sono stati recepiti) direttamente (come si è fatto per molti aspetti sensibili tra i quali la riduzione del numero dei consiglieri, la riduzione delle spese di funzionamento degli organi ecc.).

Tuttavia non può accettare – pena la sua definitiva marginalizzazione non già solo politica ma anche economica e sociale – che manchino idonee politiche atte non solo a compensare ma anche a valorizzare la sua condizione di insularità e le specificità del territorio. Politiche cioè della specialità in molti casi e necessariamente regionalizzate.
Il regionalismo, per essere compiuto secondo gli stessi principi europei, aspira naturalmente ad una differenziazione, ossia ad una autonomia tarata sulle condizioni e sulle esigenze dei territori interessati, senza perdere di vista i vincoli  derivanti dai doveri di solidarietà nazionale.
Il regionalismo nel suo insieme deve crescere, ritrovando le ragioni fondamentali della autonomia, interpretandole in chiave positiva, valorizzando le specificità, mettendo a regime e diffondendo buone prassi e le politiche di avanguardia che a carattere locale possono esser meglio sperimentate, concorrendo con responsabilità e trasparenza alla razionalizzazione della spesa, alla legalità, alla crescita del Paese. La valorizzazione delle competenze locali non è un costo ma una risorsa. Le regioni sono consapevoli che è in gioco il proprio ruolo e la propria legittimazione.
In questo quadro il tavolo comune proposto dal sottosegretario agli affari regionali On. Bressa può essere un utile momento di confronto, sempre che nel percorso siano garantiti quegli spazi e differenti livelli di confronto alla base delle diverse autonomie.
La Sardegna interpreta e declina la specialità come questione di sostanza. Quello che si attende non è tanto un adeguamento in sé alla riforma costituzionale in esame al Parlamento (che non appare un obiettivo significativo o  di particolare incisività), ma piuttosto una valorizzazione e attualizzazione della specialità che può essere, se opportunamente declinata, un valore aggiunto per  lo Stato e  l’intero regionalismo.

Gianfranco Ganau
Presidente Consiglio regionale della Sardegna

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