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Discorso del Presidente Ganau alla seduta solenne per le celebrazioni de Sa Die de Sa Sardinia, ai sensi della legge regionale n. 44 del 1993.

Presidente Pigliaru, Onorevoli Colleghe e Colleghi, Signori Assessori,

un saluto alle autorità presenti e ai gentili ospiti che hanno voluto, accettando l’invito, condividere con noi questa particolare giornata.

‘Sa Die de Sa Sardigna’, giornata della festa nazionale dei Sardi, istituita con specifica legge da questo Consiglio Regionale il 14 settembre 1993.

La data del 28 aprile è stata scelta come giornata simbolica in riferimento allo stesso giorno del lontano 1794, che passa alla storia per l’insurrezione dei Sardi e la cacciata dei dominatori Piemontesi.

Quel giorno a Cagliari, migliaia di Sardi di tutte le appartenenze sociali, uomini e donne, giovani e meno giovani, insorsero contro i Piemontesi, dando l’assalto al Castello espugnandolo e catturando lo stesso Viceré che  fu poi imbarcato con tutti i cortigiani e i burocrati di regime e rispedito a casa.

Si tratta di un episodio storico che trae origini complesse da uno stato di malessere profondo del popolo sardo che a causa dell’intollerabile gravame delle imposizioni fiscali, all’aumento generalizzato e progressivo dei costi e alla corruzione dilagante, rivendicava da tempo una maggior partecipazione alle scelte e al governo dell’isola.

Già in precedenza nel 1793, in occasione di un tentativo di invasione via mare da parte dell’esercito francese, i sardi, vista la totale impreparazione e la sostanziale passività dei Piemontesi, organizzarono un proprio esercito e respinsero il tentativo di occupazione. Il giusto orgoglio di aver sconfitto una delle potenze europee più temute, catalizzò le rivendicazioni della classe dirigente e del popolo sardo che si concretizzarono con le famose ‘cinque domande’ degli Stamenti con cui si richiedeva di fatto una maggiore partecipazione alle scelte di governo dell’isola e una maggiore, seppur blanda, autonomia nei confronti della penisola.

In cambio e dopo l’affronto alla delegazione sarda di un attesa di tre mesi per essere ricevuti dal re e senza ottenere alcuna risposta, che in forma di diniego fu data direttamente al Viceré (mentre ancora la delegazione restava in attesa), si ottenne il divieto di riunione degli Stamenti.

Antipiemontismo e antidispotismo trovarono vigore dall’indignazione e dall’autocratica condotta del Viceré, a livello locale, e dal mancato riconoscimento del ruolo determinante dei Sardi in occasione dell’attacco francese che vide invece premiati dal re principalmente i Piemontesi che, come detto non svolsero alcun ruolo.

La data del 28 Aprile 1794 e l’episodio storico ricordato che ha rappresentato un vero e proprio atto rivoluzionario, diventano oggi simbolo dell’orgoglio sardo e il riferimento per un percorso non ancora compiuto che proprio qui trova le ragioni più profonde nella ricerca di autonomia, nella sua difesa e nell’ampliamento verso il pieno riconoscimento dei Sardi all’autodeterminazione.

Quando fu promulgata la legge istitutiva di Sa Die de Sa Sardigna, nel 1993, nello stesso anno, qualche tempo prima furono approvate altre due leggi, di grandissimo valore dal punto di vista identitario, quella sulla cultura e sulla lingua sarda. Leggi che devono ancora trovare piena attuazione ed efficacia.

Cito queste leggi perché, a rileggere gli atti di quella legislatura, emerge una forte spinta e volontà unitaria. Si arrivò a quelle leggi grazie all’unificazione delle tante proposte presentate.

Allora con grandissimo senso di responsabilità e alto senso della funzione, ogni commissario rinunciò a qualcosa, concordando e scegliendo i testi migliori per esitarne uno unitario e condiviso da tutti.

Un percorso, non sembri irrispettoso il paragone, simile a quello che i padri costituenti fecero per arrivare all’atto fondante della nostra Repubblica.

Ecco, credo che quell’esempio di buona e alta politica costituisca l’esempio da seguire e il riferimento per arrivare a quell’obiettivo, da troppo rinviato, della riscrittura del nostro Statuto.

Oggi difronte ad una riforma dell’assetto istituzionale della Repubblica che cancella ogni speranza di un percorso federalista, perseguito – seppur contraddittoriamente – per qualche decennio, e che solo pochi anni fa sembrava irreversibile, ci troviamo  al contrario difronte ad una riforma che modifica l’assetto dello Stato in senso fortemente centralista.

Riforma che, di fatto, limita e sottrae funzioni alle Regioni riportandole principalmente sotto il controllo statale ed attacca, sino a mettere in discussione la nostra specialità e gli ambiti di autonomia.

È evidente, e lo abbiamo già detto con grande chiarezza anche in questo avvio di legislatura, che non siamo disposti a fare un solo passo indietro su questi temi, ma credo che, proprio perché in tutto il popolo sardo è cresciuta ed è oggi comune la consapevolezza dei propri diritti, noi dobbiamo accettare la sfida proponendo, dopo tanto parlare, una revisione  del nostro statuto che vada nel senso opposto, nel senso di una maggiore autonomia ed autodeterminazione.

Aprendo una fase nuova, seppur difficile, di ricontrattazione con lo Stato, che dia risposte al mancato riconoscimento di diritti paritari rispetto al resto della nazione. Mancato riconoscimento di diritti fondamentali che si configura nel deficit di infrastrutture, di trasporti interni ed esterni, nell’assenza di energia a basso costo che impedisce sviluppo e competitività, fino alla negazione del diritto di essere rappresentati nel parlamento europeo.

Su questi temi dobbiamo dare risposte ai Sardi. La riforma dello Statuto è un passo fondamentale ed un obiettivo non rinviabile di questo Consiglio.

Sono convinto che questo compito sia prerogativa specifica del Consiglio Regionale e che a tutti noi spetti il compito di lavorare alle modifiche e trovare gli strumenti di coinvolgimento più ampi ma facendo riferimento al Consiglio come organo pensante, proponente e deliberante.

Questo è il senso attuale di Sa Die de Sa Sardigna, giornata dell’orgoglio sardo ma anche giornata di lotta di un popolo che non si riconosce solo in una terra ma nei suoi valori, cultura, tradizioni, luoghi, lingua, insomma nella propria forte identità e con convinzione si unisce per i propri diritti e la piena autonomia.

Spetta a noi rappresentare con convinzione queste istanze e condurre questa difficile vertenza decisiva per il futuro della Sardegna.

Quest’anno abbiamo voluto dare maggiore solennità a questa seduta di Consiglio richiamando alcuni momenti di forte rappresentazione ed identificazione a partire dalla banda della Brigata Sassari, i nostri “Dimonios”, al canto a tenore che è patrimonio dell’ umanità rappresentato dai tenores di Neoneli, all’unicità dei suoni delle launeddas  che sentiremo grazie ad Andrea Pisu tra poco.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti per la collaborazione offertaci e per la disponibilità che ci ha consentito di sottolineare con maggior forza e solennità questa giornata.

Io credo che dobbiamo fare uno sforzo ulteriore per il futuro perché il nostro incontro non appaia come una cerimonia imbalsamata e rituale, quasi obbligata, ma sia un vero momento di avvio di un’azione che deve essere quotidiana sui temi della maggiore autonomia verso l’autodeterminazione e che dalle prossime scadenze sia momento di verifica del lavoro fatto in un anno.

Credo inoltre che la scelta di creare eventi e di essere tra la gente, fuori dal palazzo in questa giornata, sia un modo per rendere più efficace la sensibilizzazione sui temi che trattiamo ma anche un modo per segnalare una maggiore vicinanza di questo parlamento al territorio e ai Sardi.

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